giovedì,Marzo 28 2024

Cosenza, voglia d’Arcadia

l’editoriale di Federico Bria A parte il rischio di snaturare un talento come Ciccio De Rose costringendolo a fare il regista, bisogna evitare di commettere un errore tipico della città: considerare finito il campionato di calcio già al dieci ottobre. Ciccio De Rose in contrasto (foto pisani) C’è chi non ha condiviso la scelta di

l’editoriale di Federico Bria

A parte il rischio di snaturare un talento come Ciccio De Rose costringendolo a fare il regista, bisogna evitare di commettere un errore tipico della città: considerare finito il campionato di calcio già al dieci ottobre.

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Ciccio De Rose in contrasto (foto pisani)

C’è chi non ha condiviso la scelta di Soriano, non ho ben capito se per motivi letterari o no. Credo si tratti della scelta di non entrare nel merito tecnico della partita con il Benevento.
A mia parziale discolpa posso dire che mi rivedo solo nelle pagelle di Alessandro Renzetti, la cui pulizia di gioco ancora oggi sarebbe utilissima  in campo. “Renzo”, da buon toscano, non le manda certo a dire. Il voto più alto è stato 5.5, come è giusto che sia quando perdi sprecando l’inverosimile e subendo gol da polli e a difesa schierata e rafforzata. Il voto più basso è stato 4, come deve essere quando si valuta una prestazione incolore e perdente.
Potrei seguire il flusso corrente. Oggigiorno c’è chi gode a crogiolarsi nel neorealismo della trivialità, ma, confesso di non esserne capace. Non ne ricaverei alcun gusto, peraltro. Momenti come questo, semmai, mi riportano alla mente scene bucoliche e pastorali. Sull’erbetta del San Vito, d’altra parte, molti ciondolavano. Ci fossero state le margheritine, sul prato, forse si sarebbero chinati a prenderne una per sfogliarla: “vincere/perdere/vincere/perdere”.
Il problema vero è che stiamo rischiando di snaturare un talento come De Rose, costretto a vestire i panni del regista, e che alcuni punti fermi, come Raimondi e Petrocco, sembrano frastornati. Per il resto, dovendo buttare tutti a mare, si corre il serio rischio – che a Cosenza sarebbe una normalità – di considerare finito un campionato alla data del 10 ottobre.
Perciò, chiamando in soccorso il roggianese Gian Vincenzo Gravina, credo ritornato prepotente il bisogno di Arcadia. Torniamo alla semplicità del calcio, ritroviamo la purezza di una passione che non deve diventare grossolano sfogo dei problemi quotidiani, ma palestra dove affinare l’ironia e coltivare la partecipazione collettiva.
Perché non proviamo ad ipotizzare un Team Arcadia? Portiamo i nostri calciatori nel Bosco Parrasio e cerchiamo di essere chiari con loro. Cosa vorremo che facessero? Qual è la caratteristica che dovrebbero avere per meglio rappresentarci? Preferiamo fantasisti votati alla continua invenzione, oppure pretendiamo cagnacci mordi caviglie che digrignano i denti anche negli spogliatoi? li vorremmo forti o veloci? Leali o infami?
Dovendo indicare ad ognuno dei protagonisti attuali qual è il metro di paragone con cui sarà costantemente confrontato, quali nomi faremmo?
La nostra Arcadia, la squadra del sogno, da chi sarebbe composta? Penseremmo anche noi ai numeri o troveremmo la pace dei sensi perdendoci in una serpentina? 4-4-2 o Sergio Codognato che avanza palla al piede?
Ognuno sogna a modo suo, ovviamente, ma, ecco, se dovessi indicare a Degano come mi piacerebbe vederlo giocare, probabilmente riprenderei un vecchio filmato di Alberto Urban. Guarda, gli direi, tiene anche lui la palla sempre tra i piedi; pure lui punta tutti gli avversari che gli capitano davanti, ma non cade mai e punta sempre la porta avversaria. Poi lo inviterei a sedere sull’erbetta e gli chiederei: cos’è, per te, la caparbietà?
Con Raimondi parlerei di “Tunnel”, di Sabato, Ernesto Sabato, e “Sopra eroi e tombe” troverei il modo di parlargli dei Beatles e dirgli: “chiedi chi era Codognato”. Non si può giocare al centro della nostra difesa senza conoscerne il mito. Per lui organizzerei un asado al sanvitino con annessa visione delle partite di Maurizio Giovannelli.
Per Biancolino avrei in mente un altro discorso. Mi piacerebbe ragionare della inutilità della corrida e di quanto siano fallaci certe denominazioni. Cercherei, forse, di psicanalizzarlo per smontare la costruzione mentale che lo porta a comportarsi come un pitone. Nel calcio bisognerebbe muoversi un po’ più velocemente e pazienza se i piedi non sono da… Pinturicchio. Chissà, povero sciagurato, tornando in sé potrebbe diventare un ottimo testimonial per gli americani della Caterpillar.
Con Mazzeo no, non si ragionerebbe di pallone. Troppo plebeo. Mi chiederei con lui: perché Sartre dice l’uomo condannato ad essere libero? Sono sicuro che proverebbe a dimostrarmi quanto sia impegnativo il disimpegno. Gli chiederei: sei una punta esistenzialista o vivi in una eterea dimensione di mezzapunta?
Con Mario Somma parlerei di cinema. Quanto dista Miami da Venezia? Ogni domenica, ogni maledetta domenica, cosa pensa quando inizia la giornata? E, poi, gli sharks cos’hanno in comune con i lupi? Ciak, forse è il caso di rigirare una scena…
Partendo da Gian Vincenzo Gravina e passando da Pietro Metastasio si arriva al melodramma, che riporta alla mente lo psicodramma di una difesa che vede avversari dappertutto. Poverini, potremmo consigliar loro una seduta, distesi, sul lettino di uno strizzacervelli.
Con gli altri rinvieremmo ad altra data. Ma, a proposito di Arcadia e della bellezza del calcio idilliaco, come si fa a chiudere una visione così utopica e sognante senza un pensiero poetico ai nostri vicini di casa: povero Catanzaro, a furia di VivinC2 sta abituandosi a giocare in divisione second…aria.