domenica,Marzo 26 2023

L’ANALISI – I nuovi pentiti, l’inchiesta della Dda su Cosenza e i doveri della politica

La collaborazione di Daniele Lamanna è sicuramente un fatto importante in termini investigativi, ma le dichiarazioni del procuratore aggiunto Vincenzo Luberto mettono un punto fermo su un aspetto non più trascurabile: non deve essere la magistratura a fare pulizia nei partiti L’intervista realizzata dal direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni al procuratore aggiunto di

L’ANALISI – I nuovi pentiti, l’inchiesta della Dda su Cosenza e i doveri della politica

La collaborazione di Daniele Lamanna è sicuramente un fatto importante in termini investigativi, ma le dichiarazioni del procuratore aggiunto Vincenzo Luberto mettono un punto fermo su un aspetto non più trascurabile: non deve essere la magistratura a fare pulizia nei partiti

L’intervista realizzata dal direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni al procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto è piena di spunti di riflessione che il mondo della politica farebbe bene ad ascoltare. In sostanza, il magistrato impegnato da oltre venti anni nella lotta alla criminalità organizzata mette un punto esclamativo su una questione che in termini diversi fu sollevata dal Pd quando all’indomani della caduta di Mario Occhiuto alcuni deputati del partito guidato da Matteo Renzi chiesero implicitamente all’autorità giudiziaria di intervenire o addirittura arrestare l’avversario politico. Sul tema, dicevamo, Luberto è stato molto chiaro: la magistratura ha i suoi tempi che non devono coincidere assolutamente con le esigenze politiche, né tantomeno devono essere accelerati in ambiti pre-elettorali, perché come ha giustamente sottolineato «se c’è la necessità di richiedere una misura cautelare lo si fa, altrimenti è facilmente comprensibile che vi sono estremi per farlo. E se c’è non posso aspettare».

Il contrasto alla ’ndrangheta cosentina negli ultimi anni ha permesso di ottenere grandi risultati grazie ai sacrifici degli investigatori e inquirenti che da tempo sollevano il “caso Catanzaro”, ovvero la mancata copertura del territorio con uomini e mezzi adeguati a fronte di soli sei magistrati che lavorano all’interno della Direzione Distrettuale Antimafia. Dal 2014, nonostante già prima fosse ben presente il fenomeno del “pentitismo”, una spinta ulteriore alle indagini dei carabinieri e della Questura di Cosenza è stata data dai numerosi pentiti che hanno deciso di collaborare con la giustizia e in particolare, visto il territorio di riferimento, con il pubblico ministero Pierpaolo Bruni. L’elenco dal 17 dicembre 2014, giorno che sarà ricordato soprattutto per il ritrovamento del cadavere di Luca Bruni, comprende Adolfo Foggetti, Giuseppe Montemurro, Marco Massaro, Marco Paura, Franco Bruzzese e infine Daniele Lamanna, esecutore materiale dell’omicidio dell’ultimo boss dei “Bella Bella” come lui ha già dichiarato alla Dda nel primo verbale di interrogatorio. Ex delinquenti, visto il nuovo status sociale, che dal 2010 in poi sono stati chi più chi meno in mezzo alla strada. Per quale motivo, almeno tre di loro, sono ritenuti importanti dagli inquirenti antimafia? Per il semplice fatto che sarebbero a conoscenza di alcuni episodi che hanno riguardato le ultime elezioni comunali risalenti al 2011.

Alcuni verbali “omissati” che la scorsa estate sono stati pubblicati su vari organi di stampa raccontano presunte connivenze tra la mafia e la politica che hanno inevitabilmente aperto un nuovo fascicolo d’indagine. Non sono più voci di strada, né chiacchiere da bar ma a confermare che la Dda di Catanzaro sta indagando sulle infiltrazioni della ’ndrangheta all’interno delle istituzioni è stata di recente la Direzione Nazionale Antimafia che a pagina 627 dell’ultima relazione scrive testualmente: «Sono in corso ulteriori procedimenti che hanno ad oggetto i rapporti con imprenditori e politici locali». Il riferimento è al clan Perna che verso la fine del 2015 è stato interessato da un’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito alcuni presunti affiliati accusati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico. Nessuno, dunque, può dire (o potrà dire) che non ne sapeva nulla perché le indagini c’erano, ci sono ed eventualmente ci saranno qualora la criminalità decidesse di offrire i suoi voti alla politica in cambio di un tornaconto. Argomento che il procuratore aggiunto Luberto ha anche trattato nei 44 minuti di intervista con Pollichieni. «C’è una struttura di tipo criminale che controlla i voti, o almeno un pacchetto di voti, e quel pacchetto può vendere. Ci sono – si legge sul sito del corrieredellacalabria.it – delle investigazioni che dimostrano quanto la ‘ndrangheta controlli degli ammortizzatori sociali illeciti e di conseguenza controlla voti che possono essere venduti al miglior offerente. C’è poi qualcuno che li compra. Ma la tragedia sta nel fatto che è sempre più difficile essere liberi di scegliere chi votare». Così il pm Luberto. Come dargli torto specie quando è la politica che va dalla mafia a chiedere aiuto e supporto elettorale.

Finora a Cosenza non ci sono state inchieste in tal senso e di conseguenza condanne che hanno dimostrato “rapporti malati”, ma a furia di sentire pentiti, i quali aggiungono dettagli su dettagli su ogni fatto a loro conoscenza, i magistrati di Catanzaro si convincono sempre di più che qualcosa di poco chiaro sia successo in epoca precedente a quella di oggi. Il quadro completo potrebbe darlo proprio Lamanna che, come detto, in quel periodo – ovvero il 2011 – era libero di girare e agire come meglio credeva. Poi un periodo lo passa agli arresti domiciliari: dal 12 luglio del 2012 all’11 gennaio del 2013. Se sono veri i pestaggi o le minacce dalla retrospettiva politica sicuramente l’ex presunto promotore e organizzatore dell’associazione mafiosa denominata “Rango-zingari” lo dirà senza dubbio, anche perché è un suo dovere farlo nel momento in cui decide di “saltare il fosso”. Non che Bruzzese sia un pentito meno eccellente, anzi. Lui – ritengono gli investigatori – era il capo società e dava le direttive dal carcere. I messaggi mandati dal penitenziario di Benevento all’esterno sono abbastanza inequivocabili. Insomma, la politica non può nascondersi dietro un dito o mettere la testa sotto la sabbia. Rispetto alle indagini in corso ovviamente toccherà alla Dda dimostrare il coinvolgimento di eventuali soggetti interessati da intrecci pericolosi con le varie cosche, ma non dovranno essere gli inquirenti di Catanzaro a comporre le liste delle prossime elezioni. Non si può credere nella giustizia a giorni alterni e prenderne quasi le distanze o rimanere in silenzio quando l’indagato o l’arrestato fa parte della stessa corrente politica. La giustizia è una cosa seria e la criminalità organizzata affinché non arrivi a condizionare l’azione amministrativa si deve combattere all’interno dei partiti. (a. a.)

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