Gigi Marulla, simbolo oltre il calcio
Nel giorno del suo compleanno riproponiamo l’editoriale di Federico Bria. “E’ stato il nostro numero 9, il centravanti di una intera generazione, il simbolo di una città”. Ci sono notizie che non vorresti sentire mai, come quella che ci raggiunge in questa assolata domenica di luglio. Gigi Marulla non c’è più! Sembra impossibile… Ho ancora
Nel giorno del suo compleanno riproponiamo l’editoriale di Federico Bria. “E’ stato il nostro numero 9, il centravanti di una intera generazione, il simbolo di una città”.
Ci sono notizie che non vorresti sentire mai, come quella che ci raggiunge in questa assolata domenica di luglio.
Gigi Marulla non c’è più!
Sembra impossibile…
Ho ancora in mente il rimbombo dei tacchetti, triste colonna sonora ai titoli di coda di un decennio fantastico, iniziato nel 1988 dopo una rabbiosa vittoria del campionato e finito al Sant’Antonio di Padova in una cocente delusione. E dire che lui, Gigi, ancora una volta aveva tirato fuori il coniglio dal suo cilindro e con una rete a tempo praticamente scaduto ci aveva regalato la serie B per il decimo anno consecutivo. Eravamo ancora ebbri della felicità che ci aveva regalato, quando il Padova riuscì a trovare il pareggio cacciandoci in terza serie.
È stata la sua ultima partita col Cosenza. Ricordo ancora il servizio televisivo, che lo inquadrava, a testa bassa, mentre si voltava per raggiungere mestamente gli spogliatoi.
La sua storia col Cosenza e con Cosenza era nata molti anni prima. Era un ragazzino con tanti capelli. Proveniva dalla primavera dell’Avellino, dove aveva fatto uno splendido “Viareggio” e un campionato Primavera da favola, perso in finale solo col Cesena di Arrigo Sacchi. Aveva anche giocato in prima squadra, ma in Serie D, ad Acireale. A Cosenza si giocava la sua prima, vera chance.
Lo aveva voluto in rossoblù Lucio Mujesan, come giovane promessa dietro a calciatori affermati come Andrea Conte, proveniente dal Palermo. Ma un ritiro fantastico lo aveva fatto partire in prima linea. Se non fosse stato per un infortunio, avrebbe proseguito.
I primi due anni, alla fine, si rivelano buoni solo per far innamorare la tifoseria. Chi non lo avrebbe fatto davanti a questo ragazzino d’origine calabrese capace di accelerazioni da favola?
Ma i suoi allenatori lo vedevano ancora troppo leggero per la prima squadra. De Petrillo, addirittura, lo “bolla” come calciatore da un tempo solo.
Il terzo anno, con Vincenzo Montefusco, è la sua consacrazione. Gli gioca di fianco un vecchio marpione del calcio italiano, Costante Tivelli, grandissimo centravanti mai approdato in Serie A pur essendo il più prolifico in cadetteria del suo tempo. Tivelli s’innamora del suo compagno di reparto e gioca per lui. L’attacco del Cosenza, quell’anno, è fantasmagorico e lui, Gigi Marulla, è il bomber per eccellenza. Segna 18 reti, finendo in testa alla classifica cannonieri insieme al catanzarese Lorenzo (che, però, aveva segnato di più su rigore).
Potrei continuare, perché, per chi ama le statistiche, Gigi le fece saltare tutte: maggior numero di partire, maggior numero di gol.
Però il ricordo dell’uomo è più importante. Per quello che ci fece vivere e per come sposò Cosenza fino a farne la sua città.
Il suo passaggio al Genoa, quando eravamo ancora in Serie C e la B sembrava una chimera, è stato vissuto dalla città come un riscatto collettivo.
Il suo ritorno, dopo la breve parentesi con l’Avellino, è stata la consacrazione di un amore infinito. Un sentimento sbocciato quando lui era ancora un ragazzo e rafforzatosi davanti ai suoi gol. Tutti ricordano quello trasmesso in diretta da Rai Uno durante lo spareggio giocato con la Salernitana.
Io ricordo un ragazzo dolcissimo (avevamo la stessa età) che più volte mi sorprese, dribblando quello che pensavo di lui come fossi uno dei tanti birilli che gli piazzavano davanti per l’allenamento. Una sera, in treno, di ritorno da una trasferta al nord, mi confidò di essersi iscritto all’università con l’intenzione di laurearsi.
Ma era Gigi Marulla, impossibile pensare di vederlo in un’aula e fare finta di niente. “Non ci permettete di vivere una vita normale” fu costretto ad ammettere qualche tempo dopo. E il sorriso che gli illuminava il volto, quella volta, aveva una piega un po’ amara.
A Cosenza ha fatto anche l’esperienza di allenatore, ma era un’altra storia, con la società implosa e la squadra precipitata tra i dilettanti.
Lui, dilettante non lo è mai stato. Neanche quando era un ragazzino, tanta era la voglia di arrivare a fare il calciatore di professione.
E lo ha fatto, bene, benissimo. Con l’unico rimpianto di non aver mai calcato i campi della serie A. Sarebbe stato il coronamento meritato di un grande sogno.
A Cosenza aveva ridato vita al campo Morrone, su Via Popilia, e la sua società, MARCA, era diventata un punto di riferimento per centinaia di famiglie e migliaia di ragazzini entusiasti.
Giacomo Mancini disse una volta, che in campagna elettorale avrebbe temuto solo Gigi Marulla per la popolarità che aveva nella sua città.
Sergio Crocco, suo grande tifoso, lo ha chiamato ad un cameo nel corso di “Conzativicci”, la fortunatissima commedia vista da decine e decine di migliaia di cosentini. Quando entrava in scena Marulla, palleggiando, l’ovazione era scontatissima.
Così come, lo spazio riservatogli durante la festa dei cento anni. A lui, capocannoniere di tutti i tempi con 91 reti, è stato riservato uno spazio ad hoc, con nove rigori che lo hanno simbolicamente portato a segnare il suo gol nr. 100 sotto la curva dei suoi tifosi.
Addio, Gigi. Abbraccia per noi Denis e Massimiliano.
Sono sicuro che, quando ti raggiungeremo, capiremo dove sei dal tifo dei cosentini che non ti lascerà mai.
Sei stato il nostro numero 9, il centravanti di una intera generazione, il simbolo di una città in un ambito, qual è il calcio, che è molto più di una semplice palla che rotola.
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