giovedì,Marzo 28 2024

LE TALPE DEL CLAN | Dal carabiniere al poliziotto: ecco come i sodali di Rango sapevano tutto

L’operazione antimafia contro i presunti servitori infedeli dello Stato accende i riflettori della Dda dal 2012 al 2014. Il procuratore Bombardieri: «Piena fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine, ma quei militari non meritavano di indossare la divisa» C’è da chiedersi quali siano le vere ragioni che portano un esponente dello Stato, nel caso in

LE TALPE DEL CLAN | Dal carabiniere al poliziotto: ecco come i sodali di Rango sapevano tutto

L’operazione antimafia contro i presunti servitori infedeli dello Stato accende i riflettori della Dda dal 2012 al 2014. Il procuratore Bombardieri: «Piena fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine, ma quei militari non meritavano di indossare la divisa»

C’è da chiedersi quali siano le vere ragioni che portano un esponente dello Stato, nel caso in questione più elementi delle forze dell’ordine, a scendere “a patti” con la ’ndrangheta (Leggi qui). Servitori infedeli che avrebbero aiutato la presunta cosca “Rango-zingari”, informata su qualsiasi movimento che carabinieri e poliziotti mettevano in campo per prevenire e reprimere il fenomeno mafioso. In alcune circostanze le “talpe” sarebbero state funzionali per sfuggire alla cattura di ordinanze cautelari, come nel caso di “Nuova Famiglia”, ed evitare dunque il carcere. Così è avvenuto nel novembre del 2014 quando grazie alle informazioni che un poliziotto all’epoca dei fatti in servizio presso la Squadra Mobile di Cosenza, Vincenzo Ciciarello di 60 anni, tre presunti partecipanti all’associazione mafiosa capeggiata da Maurizio Rango e Franco Bruzzese (oggi collaboratore di giustizia) non furono trovati nelle rispettive abitazioni. Si trattava di Antonio Abbruzzese, detto “Tonino Banana” (classe 1975), Ettore Sottile e Ciccio Bevilacqua, alias ’u zuappu, costituitisi chi qualche giorno dopo chi nel pomeriggio dell’esecuzione dell’ordinanza del gip Distrettuale. Il collegamento tra la presunta cosca e l’agente infedele era Enrico Francesco Costabile, finito agli arresti domiciliari come Ciciarello perché accusati entrambi di concorso esterno in associazione mafiosa. Stesso reato contestato all’ex carabiniere Antonino Perticari, detto “Nino il Messinese”, oggi in pensione, che nel 2012 a seguito delle indagini avviate dalla Procura di Cosenza sull’omicidio di Francesco Messinetti, si recò più volte – anche quando non avrebbe dovuto farlo – a casa di Maurizio Rango per comunicargli notizie riguardanti indagini e in particolare di non far pervenire richieste estorsive a un commerciante perché non viveva nell’oro. Perticari, inoltre, avrebbe anche favorito il presunto clan non annotando la presenza di due pregiudicati nell’abitazione del presunto boss che in quel periodo erano sottoposti alla sorveglianza speciale: Gennaro Presta e Riccardo Bruzzese. Poi emerge la figura dell’impiegato civile della Polstrada, Fabrizio Bertelli che in più di un’occasione avrebbe permesso al pentito Adolfo Foggetti di superare questioni abbastanza delicate come il possibile sequestro di una macchina che al momento del controllo da parte dei poliziotti fu sprovvista di assicurazione. Come se non bastasse lo stesso Bertelli, di volta in volta, comunicava – come risulta dalle intercettazioni telefoniche – i vari posti di blocco presenti sul territorio. E aspetto ancora più discutibile – secondo quanto riferito dal “biondo” – l’indagato avrebbe acquistato diverse dosi di sostanze stupefacenti per poi rivenderle. Nel primo caso, ovvero del concorso esterno in associazione mafiosa, il gip Distrettuale Assunta Maiore non ha ravvisato i requisiti necessari per configurare il reato, né tantomeno quello relativo alla presunta partecipazione al narcotraffico, associazione per delinquere riconosciuta tale nella sentenza di primo grado emessa ad inizio aprile dal gup Tiziana Macrì. Grave invece la posizione di Perticari al quale non è stata applicata nessuna misura in quanto i fatti contestati risalgono al 2012 e soprattutto perché lo stesso non è più in servizio. Insomma, la Dda di Catanzaro come aveva promesso nel corso delle passate conferenze stampa ha messo mano anche su una parte dei servitori infedeli. L’inchiesta – portata a termine congiuntamente dalla Squadra Mobile di Cosenza e dal Reparto Operativo del Comando Provinciale di Cosenza – è stata coordinata dal pubblico ministero Pierpaolo Bruni e dal procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto presente davanti ai cronisti insieme al procuratore aggiunto facente funzioni della Dda Giovanni Bombardieri che ha ribadito di avere piena fiducia «nei confronti delle istituzioni e dei corpi di appartenenza dei due personaggi coinvolti, al punto – ha aggiunto – che sono stati carabinieri e polizia a condurre le indagini nei confronti dei loro stessi appartenenti». Fiducia nutrita «nei confronti dei vertici dei due corpi che hanno ottenuto sempre risultati importanti con le loro operazioni». «La Procura – ha aggiunto il magistrato – è determinata a perseguire qualsiasi condotta di collusione o anche di possibili legami». E infine: «I due militari non meritavano di indossare la divisa». Sulla stessa linea d’onda il questore di Cosenza Luigi Liguori: «Mi dispiace molto, umanamente: purtroppo sono il capo di questo personale, ma sottolineo che ci siamo molto impegnati nelle indagini. La Questura è stata protagonista nel gestire le indagini, abbiamo spostato quell’agente un anno e mezzo fa – ha detto Liguori – ed è stato un onere pesante riuscire a svolgere delle indagini senza che l’agente se ne accorgesse». (a. a.)

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