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COSCA MUTO | Le accuse della Dda ai quattro amministratori giudiziari

Al centro dell’inchiesta denominata “Frontiera” vi è l’attività dell’azienda “Eurofish” confiscata ai Muto circa dieci anni fa ma secondo i magistrati della Dda di Catanzaro ancora sotto controllo della famiglia di Cetraro. Il ruolo dell’avvocato Rizzo, interdetto dalla professione, e le valutazioni del gip nei confronti di Bosco, Caprino, Baldino e Brescia. Azienda confiscata da

COSCA MUTO | Le accuse della Dda ai quattro amministratori giudiziari

Al centro dell’inchiesta denominata “Frontiera” vi è l’attività dell’azienda “Eurofish” confiscata ai Muto circa dieci anni fa ma secondo i magistrati della Dda di Catanzaro ancora sotto controllo della famiglia di Cetraro. Il ruolo dell’avvocato Rizzo, interdetto dalla professione, e le valutazioni del gip nei confronti di Bosco, Caprino, Baldino e Brescia.

Azienda confiscata da oltre dieci anni ma ugualmente gestita dalla cosca Muto. A finire nei guai e sotto la lente investigativa della Dda di Catanzaro vi sono anche quattro amministratori giudiziari nominati  dal gip di Catanzaro. Si tratta di Giuseppe Nicola Bosco, Gennaro Brescia, Gianluca Caprino e Salvatore Baldino, i quali – secondo i magistrati antimafia – avrebbero reso possibile l’elusione della confisca «omettendo di denunciare le ingerenze nella gestione dell’impresa di Franco Muto, Andrea Orsino e Piermatteo Forestiero». Il “Re del Pesce” infatti nonostante il provvedimento patrimoniale relativo all’Eurofish fosse stato confermato anche dalla Suprema Corte di Cassazione – ritengono i carabinieri del Ros – avrebbe continuato ad interessarsi della ditta «reclutando la manodopera, imponendo ai pescatori di rifornirsi esclusivamente da loro, e tenevano i rapporti con gli acquirenti di pescato». Ma lo stesso Muto sarebbe venuto a conoscenza dal suo avvocato Michele Rizzo – indagato per rivelazione e utilizzazione del segreto istruttorio per «agevolare la cosca Muto» e interdetto dall’esercizio della sua professione dal gip distrettuale Gioia – che all’interno del piazzale della ditta “Eurofish” erano state installate delle telecamere su disposizione del giudice e fa intendere di saperlo in una conversazione intercettata con una donna dai carabinieri del Ros di Salerno che hanno svolto un’indagine certosina. Muto sospetta che qualcosa non stia andando nel verso giusto quando a partire dal mese di febbraio scorso, si verificavano una serie di controlli: il 16 febbraio la Eurofish viene controllata da non meglio indicati verificatori; il 24 febbraio la Eurofish è controllata dagli ispettori della A.S.L. e degli amministratori giudiziari; nello stesso giorno gli ufficiali di p.g. della Polizia di Stato perquisivano l’abitazione di Luigi Muto; il primo marzo invece i carabinieri della Compagnia di Paola controllavano Franco Muto.

Tornando agli amministratori, Baldino e Brescia – ritengono gli inquirenti – avrebbero rivelato ad Agostino Bufanio «che era “controllato” dalla procura della repubblica di Catanzaro che stava indagando sull’elusione del provvedimento di confisca». A chiarire la posizione dei quattro amministratori giudiziari ci pensa il gip distrettuale Giovanna Gioia che non condivide l’assunto accusatorio della Dda e rigetta l’applicazione dell’interdizione a loro carico. In realtà i quattro indagati i controlli li fanno e il primo viene eseguito l’11 marzo del 2016 da Caprino e Bosco i quali, essendo avviata l’attività tecnica all’interno della struttura, sono intercettati mentre effettuano controlli sulla contabilità dell’azienda parlando con Agostino Bufanio, nominato custode giudiziario con provvedimento degli amministratori del 15 ottobre del 2007.

Uno di loro – emerge dalle captazioni – sarebbe stato criticato dallo stesso Franco Muto per aver preso tanti soldi nel corso degli anni dallo Stato, nonostante le risposte seccate dell’indagato che afferma che al massimo hanno ricevuto 100mila euro da dividere in quattro e ciò si evince anche dal colloquio “attenzionato” tra Andrea Orsino e la moglie. Il giudice scrive: «Dalle suddette conversazioni non si riscontra una condotta rilevante», valutazione poi ripresa in un passaggio successivo nel quale il gip spiega che «non può desumersi, né, tanto meno, affermarsi che la condotta dell’amministratore possa configurare una soggezione psicologica del professionista» né «tanto meno una condotta agevolatrice della elusione della confisca». D’altronde il 17 marzo scorso i due amministratori Caprino e Bosco si recano di nuovo nella ditta a richiedere altri documenti contabili al ragioniere che telefona a Forestiero spiegando di aver «gabbato gli amministratori» facendo non vedere una parte consistente del pescato. Per il gip non vi è connivenza degli amministratori «tanto che gli stessi Bufanio, Luca Francesco ed Orsino erano allarmati dallo zelo degli amministratori nell’ispezionare la cella frigorifero e dalla pedanteria e frequenza dei controlli». Emerge invero il ruolo di Bufanio «nell’agevolare il controllo e la gestione dell’impresa da parte degli indagati intranei». Il gip, invece, su Baldino e Brescia dà una valutazione diversa confermando l’insussistenza delle accuse ma rilevando comunque un dolo omissivo rispetto ai doveri di un amministratore giudiziario che è tenuto a relazione all’autorità giudiziaria. Nel caso di specie i due avrebbero dovuto mettere nero su bianco la presenza di Franco Muto in azienda, “tollerata” dagli amministratori ma comportamento non idoneo «a dimostrare la conoscenza di una condotta illecita». La Dda di Catanzaro nel corso della conferenza stampa ha annunciato che presenterà ricorso in Appello ma, tuttavia, ha confermato di aver contattato l’agenzia dei Beni confiscati «ripristinando immediatamente la legalità». (a. a.)

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