martedì,Maggio 13 2025

La ‘ndrangheta della Sibaritide dietro il “caporalato”: lavoratori alloggiati in stalle e porcili [FOTO]

La Guardia di Finanza chiude le indagini su una attività di sfruttamento del lavoro che era intrecciata ad alcuni soggetti locali legati alla criminalità organizzata. La Tenenza di Montegiordano ha scoperto che gli operai erano costretti a lavorare in condizioni prive di sicurezza in quanto sprovvisti di dispositivi di protezione individuale e percepivano una paga inferiore

La Guardia di Finanza chiude le indagini su una attività di sfruttamento del lavoro che era intrecciata ad alcuni soggetti locali legati alla criminalità organizzata. La Tenenza di Montegiordano ha scoperto che gli operai erano costretti a lavorare in condizioni prive di sicurezza in quanto sprovvisti di dispositivi di protezione individuale e percepivano una paga inferiore rispetto a quanto previsto.

Le Fiamme Gialle della Tenenza di Montegiordano hanno concluso una complessa indagine in materia di intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro cosiddetto “Caporalato”. Sono 49 i soggetti segnalati alla procura di Castrovillari, diretta dal procuratore capo Eugenio Facciolla.

Le indagini, avviate a seguito del controllo dei transiti sulla statale ionica e poi delegate dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, hanno interessato il periodo dal mese di febbraio 2015 al maggio del 2016 ed hanno permesso di identificare un soggetto extracomunitario, di nazionalità pakistana tale M.B., ritenuto vero e proprio punto di riferimento, nella piana di Sibari, per quegli imprenditori agricoli che necessitano di manodopera illegale ed a basso costo.  Il “caporale”, nella gestione dell’attività illecita, intratteneva rapporti con due soggetti in regime di “protezione” già affiliati ad una ‘ndrina locale e con 19 immigrati irregolari nonché con un soggetto latitante. I lavoratori reclutati, venivano alloggiati in stalle e porcili adibiti a veri e propri dormitori ed in condizioni igieniche-sanitarie degradanti. I loro documenti di identità erano detenuti dal “caporale” che conservava in appositi armadi metallici, dei quali solo lui deteneva la chiave. Gli operai erano costretti a lavorare in condizioni prive di sicurezza in quanto sprovvisti di dispositivi di protezione individuale (calzature antiscivolo, guanti, casco con visiera protettiva) e percepivano una paga inferiore rispetto a quanto previsto. L’esame delle transazioni finanziarie ha consenti di ricostruire i guadagni illeciti del “caporale” quantificati in circa 250mila euro, incassati in poco più di un anno, in parte destinati anche alle cosiddette “bacinelle” delle organizzazioni criminali. La rimanente parte dei guadagni dell’attività di intermediazione venivano trasferiti in Pakistan, paese di origine del “caporale”, attraverso servizi di money-transfer e post-pay. Quanto emerso evidenzia che la richiesta e la successiva “assunzione” illegale di personale da impiegare nella Sibaritide costituisce ancora una diffusa prassi illecita.

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