giovedì,Marzo 28 2024

A ciascuno il suo

 – l’editoriale di Piero Bria – Distorcere la realtà e pretendere dai nostri giocatori le stesse giocate che si vedono al Camp Nou è solo utopia e un modo per non accettare la realtà. Una realtà che ci vede con una squadra fatta di buoni giocatori per la categoria ma i cui equilibri non le

A ciascuno il suo

 – l’editoriale di Piero Bria –
Distorcere la realtà e pretendere dai nostri giocatori le stesse giocate che si vedono al Camp Nou è solo utopia e un modo per non accettare la realtà. Una realtà che ci vede con una squadra fatta di buoni giocatori per la categoria ma i cui equilibri non le consentono di strafare.

Il calcio è uno sport situazionale, come tale bisogna saper essere bravi a far si che i propri giocatori sappiano leggere determinati momenti del gioco riuscendo a portarli a proprio vantaggio. In Italia, poi, il gioco del calcio è un gioco di equilibri. Quello che un allenatore cerca in una squadra non costruita da lui e dove la rosa viene assemblata in base a necessità economiche e non solo. Detto questo in base all’allenatore che siede in panchina, in base al mercato del diesse, in base alla storia di una società ogni squadra ha un proprio DNA. Ci sono formazioni più portate ad offendere, altre meno. Ma tutte coscienti che la fase difensiva è il fattore determinante. Rispetto ai paesi esteri da noi vige la filosofia del “prima non prenderle” che si scontra con quella del “basta segnare un gol in più dell’avversario”.

Sono filosofie e culture diverse che, di fatto, segnano anche il nostro modo di intendere e volere il calcio.

Questo per riportare il discorso sul nostro amato Cosenza. Una squadra che, a differenza di un anno fa, ha perso pedine importanti che si stanno mettendo in mostra in serie B e Lega Pro. Roselli, dal canto suo, ha dovuto cambiare i piani e cercare di dare un equilibrio che garantisse certezze ad una squadra che non poteva più contare sulla profondità che dava Arrighini o sulla riconquista del pallone con Arrigoni e Fiordilino. Si è partiti dai concetti chiari che l’anno scorso hanno consentito al Cosenza di rimanere nelle zone alte. Equilibrio tra i reparti, buona fase difensiva e ripartenze veloci sugli esterni. Questo è il Cosenza e non possiamo pretendere che la mentalità di questa squadra possa cambiare senza incidere investendo soldi per acquisti di spessore. Ogni allenatore vorrebbe avere nel suo organico giocatori simili a quelli del Barcellona o del Real Madrid. Ma siamo in Italia, in Lega Pro, a Cosenza.

Distorcere la realtà e pretendere dai nostri giocatori le stesse giocate che si vedono al Camp Nou è solo utopia e un modo per non accettare la realtà. Una realtà che ci vede con una squadra fatta di buoni giocatori per la categoria ma i cui equilibri non le consentono di poter dettare i tempi di gioco, di giocare su ritmi alti, di vincere facile contro qualunque avversario e imporre il proprio gioco. Se Roselli avesse provato a fare calcio champagne probabilmente oggi saremmo in fondo alla classifica. La sua esperienza, invece, gli ha consentito di capire che, seppur con carte diverse in mano, si potevano ritrovare certezze partendo dalla difesa e dalla voglia di sacrificio di una squadra che deve saper soffrire.

Che sia ben chiaro, Roselli non mi esalta ma questo non significa che non capisco la necessità di dare un equilibrio (e quindi delle certezze) alla propria squadra anche attraverso una gara come quella di ieri a Reggio Calabria. Sono scelte sulle quali possiamo non trovarci d’accordo ma che alla fine (vedi la classifica) stanno pagando e premiamo il tecnico silano.

Del resto un allenatore non deve far giocare la propria squadra per soddisfare il sottoscritto, i giornalisti e i tifosi. Bensì cercare il modo migliore per far si che quei giocatori che ha a disposizione diano il meglio.

Casomai la domanda da porsi è: ma con questi giocatori il Cosenza gioca al meglio delle proprie possibilità?

Non chiedete al Cosenza di essere quello non è. E’ come chiedere ad un contadino di diventare un broker in una settimana. A ciascuno il suo diceva Sciascia.