‘Ndrangheta, la Cassazione mette in discussione il 41bis di Luigi Abbruzzese
La prima sezione penale della Suprema Corte dà ragione agli avvocati Filippo Cinnante e Luca Cianferoni che si erano opposti all’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma che confermava il regime di carcere duro per il detenuto condannato a 30 anni di carcere. Gli ermellini: «E’ assente la motivazione in ordine alla verifica del presupposto normativo
La prima sezione penale della Suprema Corte dà ragione agli avvocati Filippo Cinnante e Luca Cianferoni che si erano opposti all’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma che confermava il regime di carcere duro per il detenuto condannato a 30 anni di carcere. Gli ermellini: «E’ assente la motivazione in ordine alla verifica del presupposto normativo per la proroga».
Vacilla il 41bis di Luigi Abbruzzese, classe 1976, ritenuto dalla Dda di Catanzaro componente dell’omonima cosca operante in tutta la Sibaritide che nell’operazione “Timpone Rosso” fu duramente colpita al suo interno. Ma oggi non ci occuperemo delle vicende giudiziarie che riguardano gli “zingari” di Cassano all’Jonio, bensì della sentenza emessa dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, composta dal presidente Mariastefania Di Tommasi e dal relatore Gaetano Di Giuro, che mette in discussione l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma, competente sulla conferma o revoca del 41bis, che tempo fa aveva rigettato l’istanza degli avvocati difensori di Abbruzzese, Filippo Cinnante e Luca Cianferoni, noto difensore di Totò Riina. Oggetto della contesa è il decreto ministeriale di proroga del regime di carcere duro nei confronti di Abbruzzese che per la difesa non è legittimo in quanto Abbruzzese non ha mai rivestito ruoli apicale in seno all’associazione di riferimento e la sua partecipazione si è fermata, come statuito dalla sentenza “Lauro” al giugno 2003. Nel provvedimento – lamentano i difensori – si attribuisce al loro assistito «con motivazione apodittica» un ruolo decisionale, utilizzando l’operazione “Gentleman” del 2015, «che neppure lambiva il ricorrente, per affermare, sempre in maniera apodittica, la capacità dell’Abbruzzese di mantenere i collegamenti con l’organizzazione criminale operante sul territorio. Il secondo difensore evidenzia, richiamandosi agli argomenti dell’altro ricorso, come nel caso di specie manchi l’attualità della pericolosità». Ebbene, la Cassazione ha ritenuto fondati sia il primo che il secondo motivo.
ANNULLAMENTO CON RINVIO. Gli ermellini spiegano che «l’art. 41 bis, comma 2 bis della I. n. 354 del 1975, come sostituito dall’art. 2 della I. 23 dicembre 2002, n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno». Pertanto l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma viene annullata con rinvio perché risulta «assente la motivazione offerta dalla medesima in ordine alla verifica del presupposto normativo per la proroga e quindi della legittimità del provvedimento adottato in ragione dell’attualità del pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica», aggiungendo che «la motivazione del Tribunale a quo sulla permanenza della pericolosità dell’Abbruzzese è del tutto mancante, atteso che dai passaggi motivazionali in punto di fatto riportati emerge la attuale pericolosità della cosca di riferimento del suddetto, confermata dall’emissione di una recente ordinanza cautelare nei confronti dei suoi appartenenti tra cui non rientra l’Abbruzzese, del quale piuttosto l’ordinanza de qua ritrae il passato criminale fino al 2003, costituito dalla partecipazione associativa, peraltro neppure con ruolo apicale, e dal concorso in delitti di sangue posti in essere da detta cosca». In poche parole, il tribunale di Sorveglianza di Roma non spiega come si sarebbero consumati i rapporti tra la cosca di riferimento e il detenuto, giustificando così la sussistenza della misura richiesta senza spiegare i motivi.
IL PROFILO. Luigi Abbruzzese è stato condannato a 30 anni di reclusione per aver partecipato all’associazione mafiosa fino al giugno del 2003 e per i fatti di sangue del 15 giugno 2003; l’omicidio di Sergio Benedetto ed il tentato omicidio di Rocco Milito, ritenuti responsabili dell’omicidio di Nicola Abruzzese, fratello di Celestino, elemento di spicco della cosca in oggetto. Per i giudici Abbruzzese compose il commando omicida.
Antonio Alizzi