La lucida follia di Stefano Ambrosi: «A Cosenza eravamo una banda di matti»
L’ex portiere rossoblù ricorda le due promozioni: «Per distrarre gli attaccanti dicevamo loro che il ds pensava a loro per il mercato. La città non può restare in Lega Pro». Quando Stefano Ambrosi fu ingaggiato dal Cosenza, ai molti diceva poco. Era però il portiere che deteneva il record di imbattibilità in Serie D con 1058
L’ex portiere rossoblù ricorda le due promozioni: «Per distrarre gli attaccanti dicevamo loro che il ds pensava a loro per il mercato. La città non può restare in Lega Pro».
Quando Stefano Ambrosi fu ingaggiato dal Cosenza, ai molti diceva poco. Era però il portiere che deteneva il record di imbattibilità in Serie D con 1058 minuti e fu determinante per la vittoria di due campionati dei Lupi. Come tutti i portieri aveva una lucida follia a caratterizzarne l’esistenza. Eclettico, solare, sorridente anche dopo le poche papere commesse e amato dai tifosi, spesso si fermava a parlare con loro dopo l’allenamento. Era un leader, diverso dal fratello Alessandro che al San Vito durò appena una stagione. Nel 2007 scendeva in campo un Cosenza che dava spettacolo e che scalava le classifiche, vincendole. Doppio salto dalla D alla Prima divisione. Il numero uno era lui, anche quando in campo intimoriva gli avversari con uno sguardo. Una volta, in combutta con Nello Parisi, dissero all’attaccante della Casertana Polverino che il Cosenza lo aveva già ingaggiato per la prossima finestra di mercato: non toccò palla.
Ambrosi, se lo ricorda? Quante altre ne avete combinato?
«Me lo ricordo benissimo perche era una partita delicatissima. Noi avevamo all’interno della squadra due o tre personaggi, cosentini doc, che sotto questo profilo erano formidabili. Parlo di Perrelli e Morelli. Siccome Polverino era un elemento molto valido per la catagoria dovevamo disinnercarlo in qualche modo. Allora, durante la partita, Maurizio e Nello iniziarono a dirgli di giocare non al massimo visto che il direttore era interessato a lui per la stagione successiva. Il trucchetto funzionò. Erano partite decisive e ci provavamo in tutti i modi a disorientare l’avversario. La cosa bella è che venne a fine partita nello spogliatoio per lasciare il suo numero di telefono. È stato un episodio molto divertente. Ma erano cose che si facevano».
In Sicilia davate il meglio…
«Sì! Ad esempio quando vincevamo uno a zero in trasferta e partiva la palla lunga, sentivi Massimo o Maurizio che urlavano “buttala fuori che si è fatto male!”. Gli avversari tiravano la sfera fuori, si giravano e non vedevano nessuno a terra. Intanto, però, si era conquistata una rimessa laterale. Erano piccoli trucchi che si usavano. Cose belle e piacevoli con le quali si ci divertiva. Nel gruppo avevamo personaggi fenomenali. Nel collettivo che veniva da Rende conoscevo già Occhiuzzi, Novello e Moschella. Tutti giocatori estrosi dentro e fuori dal campo.»
Stefano Amborsi che fa nella vita adesso?
«Ho finito di giocare nel 2013 con la Ternana in Serie B e ho rilevato un campo dove ho una bella scuola calcio. Lavorare coi ragazzi mi diverte e ora è diventata una vera e propria azienda. Ho 18 allenatori, segreteria, il bar all’interno della struttura. È un’attività che mi prende tutto il tempo. Infatti mi sono arrivate anche proposte da team manager da Terni, ma per questi impegni non ho potuto cogliere l’occasione.»
Il calcio le è rimasto dentro, ha provato un po’ a disintossicarsi?
«Vi dico la verità, io presi l’abilitazione per fare il commercialista. Feci l’esame di stato quando ero a Cosenza e mi sono preparato per quello che poteva essere un futuro lontano dal calcio. Però poi non ne vale più la pena esercitare in quel campo perchè è un settore saturo come molti altri. Ho avuto la fortuna di rilevare questo campo e di conseguenza sono rimasto nell’ambiente, contento e sereno. È una cosa che ti prende, stai coi ragazzini, stai sempre all’aperto. Diciamo che non mi posso proprio lamentare.»
Parliamo un po’ del Cosenza. Sta seguendo le ultime stagioni? Conosce qualcuno?
«Da quando ho appeso le scarpette al chiodo diciamo che ho perso le abitudini da buon calciatore e quindi non compro più il giornale. Ogni tanto sento qualche amico di giù e mi piacerebbe sempre scendere a trovarli ma, come dicevo prima, ho poco tempo. Ogni tanto sento Moschella che è nello staff del Crotone, Toscano con il quale ho condiviso anche due anni a Terni e Michele Napoli. Tutte grandi persone. Seguo indirettamente le sorti del Cosenza, ogni tanto vedo qualche filmato in televisione ma sempre un po’ distaccato per i vari impegni. Penso comunque che una piazza come Cosenza non può non assaporare il calcio vero e, oramai, il calcio vero si ha solo in Serie A e B perchè la Lega Pro sembra quasi un campionato Primavera».
Che effetto le fa vedere Massimiliano Mirabelli direttore sportivo del Milan?
«Non credevo che così in breve tempo potesse arrivare a certi livelli. L’ho sentito e posso garantire che ha fatto grandi sacrifici. Quando era capo-osservatore dell’Inter era sempre in giro per l’Europa e la famiglia la vedeva si e no una volta al mese. Si è ritagliato uno spazio importante. Anche quando eravamo in C1 in tutti i successi c’era la mano di Mirabelli. Doveva essere ingaggiato anche dalla Ternana, ma per alcuni sporchi giochetti interni il suo passaggio in rossoverde sfumò. Lui ha sempre dimostrato il suo valore. Credevo che sarebbe arrivato ad alti livelli ma, ripeto, non in così poco tempo. Ha saputo lavorare a fianco delle persone giuste, ha saputo stare al suo posto e quando è arrivata l’occasione l’ha colta al volo e sono felicissimo per lui. Ovviamente più si sale di categoria, più lo spetacolo è grande e più è complessa la situazione da affrontare. Massimo le sa gestire bene tutte, perchè anche nei due campionati vinti col Cosenza, per quanto si possa pensare che c’era una società forte, in realtà la forza era solo nell’organizzazione amministrativa. Senza nulla togliere alla dirigenza, ma, secondo me, la forza necessaria per fare quello che è stato fatto l’ha data lui».
Che pensa di Mimmo Toscano?
«Di Mimmo ho una marea di ricordi, è come un fratello. A parte i due anni a Cosenza, abbiamo giocato insieme a Rende e poi ho condiviso altre due stagioni con lui a Terni. Se dovessi dire cosa penso di Toscano ci vorrebbe un mese. Posso dire che è una persona determinata, è tosto, duro. Anche se in realtà non è quello che sembra in appaernza. Io parlo da calciatore: se un atleta dovesse esprimere un pensiero senza conoscerlo sarebbe molto critico. Mimmo, per raggiungere i suoi traguardi, è una persona che esige molto e usa anche metodi ruvidi. Però, conoscendolo, capisci che quello che fa è per il bene della squadra. Dicamo che gli sono stato molto utile a Terni insieme a Michele Napoli che, secondo me, lo completa perfettamente. Io e Michele gli facevamo da collante con lo spogliatoio. A volte i suoi modi non erano capiti e tante quante volte mi è capitato di dover spiegare ad alcuni compagni che il mister se faceva in quel modo era solo per spronarli e non per penalizzarli».
Lei è arrivato in B tardissimo, perché?
«Ai miei tempi era diverso. Non c’erano tutte queste regole che agevolano i giovani in modo così esplicito ed eclatante. Quando mi affacciavo in C2 e in C1 per fare una partita dovevi sudare sette camice perchè ti ritrovavi i mostri sacri di 33, 34 e 35 anni. Non li spostavi nenache a cannonate. A parte quello, nel corso degli anni, sicuramente qualcosa di mio ce l’ho messo, nel senso che fino a 25-26 anni ero un portiere che prendeva 5 o 6 giornate di squalifica. Caratterialmente ero troppo caldo sia nei rapporti con la società che coi dirigenti. Quando non mi stava bene una cosa mi facevo subito sentire. Diciamo che qualcosina ho da rimproverarmi, nel senso che non sono sottostato a determinati giochi perchè in quel periodo il calcio funzionava un po’ diversamente da quelle che poi possono essere le dinamiche tradizionali. Non ho mai avallato situazioni che per me, all’apparenza, potevano sembrare un po’ scorrette. Credendo di fare le cose per bene, mi sono reso conto che alla fine facevano fuori sempre il sottoscritto. Se ho cambiato categoria, è perché vincevo i campionati. Perdendoli, come avviene ad altri, non mi è mai capitato. A buon intenditore poche parole…».
A Cosenza cosa trovò dal punto di vista umano e professionale?
«Ho una marea di amici. Il dottore Canonaco, tutto lo staff dei massaggiatori, eravamo una famiglia. Si stava insieme, si andava spesso a cena. È stata un esperienza magnifica sia dentro che fuori dal campo».
Ogni giovedì andava a cena col vicepresidente Citrigno nel Centro storico, parlavate un po’ di calcio?
«Non si parlava d’altro! Auguro a tutti i calciatori di avere un rapporto col proprio presidente come quello che avevo io con Citrigno. C’era cordialità anche con Chianello e Paletta, ma con lui si trattava di un legame fraterno. In Pino non vedevi il presidente, vedevi il tifoso verace. in più viveva al centro di Cosenza e carpiva benissimo gli umori della gente. Io, inoltre, sono un appassionato di cinema e quando c’era qualche prima visione, mi invitava spesso. La nostra amicizia la porterò sempre nel cuore. Sia con il vicepresidente che con tutto lo staff del suo cineteatro»,
Perché non le rinnovarono il contratto?
«Sono cose che capitano quando si esaurisce un ciclo di paio d’anni. C’entrò anche il contenzioso di mio fratello. Ad ogni modo non furono molto chiari e fu mandato via l’anno della promozione in C2 in maniera un po’ scorretta. Probabilmente incise anche il pensiero che non mi vedevano adatto ad affrontare un torneo di C1 al San Vito. Presero un portiere più esperto, Pinzan, che alla fine non espresse il potenziale che tutti si aspettavano. Fecero altre scelte, ma la soddisfazione più grande fu che le stesse persone che le presero, mi richiamarono dicendo di aver commesso l’errore più grande della loro vita. Nel frattempo, andai alla Cisco Roma e vinsi il campionato. L’anno dopo, a gennaio, mi richiamarono da Cosenza tentando di bloccarmi per giugno, ma a quel punto la Cisco non mi dava più via perchè ero diventato uno dei leader della squadra.Che gioia quando Toscano scelse me per la Ternana! Quella chiamata è stata molto appagante, perchè quando un allenatore pensa a te nel momento in cui deve costruire la squadra per vincere il campionato, vuol dire che qualcosa in carriera hai seminato».
Quando la rivedremo in città?
«Spero il più presto possibile. Appena sarò un po’ più libero scenderò molto volentieri anche per salutare i tanti amici che ho giù». (Francesco Pellicori)