Agguato alla famiglia Sacco, le motivazioni: «Così Rovito tentò di uccidere padre e figlio»
Il 18 giugno del 2016 Filippo Rovito tentò di uccidere l’ex consigliere comunale Roberto Sacco e suo figlio Vincenzo. I due si recarono poi in Questura per denunciare l’azione criminale, mentre l’allora indagato andò nei pressi dello svincolo autostradale di Altomonte a nascondere la pistola usata qualche ora prima. Il gup gli ha concesso le
Il 18 giugno del 2016 Filippo Rovito tentò di uccidere l’ex consigliere comunale Roberto Sacco e suo figlio Vincenzo. I due si recarono poi in Questura per denunciare l’azione criminale, mentre l’allora indagato andò nei pressi dello svincolo autostradale di Altomonte a nascondere la pistola usata qualche ora prima. Il gup gli ha concesso le attenuanti generiche nonostante lo abbia descritto come una personalità pericolosa, visti anche i suoi precedenti penali.
Sei anni e 4 mesi a Filippo Rovito per il tentato omicidio aggravato commesso ai danni di Roberto Sacco, ex consigliere comunale di Cosenza, e di suo figlio Vincenzo. Azione criminale avvenuta il 18 giugno del 2016, quando un tranquillo sabato sera stava per essere trasformato in un sabato di sangue. Una tragedia evitata grazie, dirà Sacco, alla Divina Provvidenza o forse perché Rovito guidando la sua auto non riuscì ad essere preciso nell’esecuzione. Meglio così, perché le due vittime immediatamente si recarono presso la Questura di Cosenza a raccontare quanto successe qualche minuto prima.
Gli agenti della Squadra Mobile si misero sulle tracce dell’imputato che nel frattempo si allontanò da Cosenza dirigendosi verso lo svincolo autostradale di Altomonte dove nascose la pistola che ai poliziotti disse di aver ritrovato 20 anni prima in un’auto rubata. L’arma usata per il tentato omicidio fu presa da Rovito a Zumpano, lo stesso tornò a Cosenza e si diresse verso via Popilia, intercettando con la macchina i due Sacco. Che la situazione fosse tesa la moglie di Roberto Sacco l’aveva già intuito qualche ora prima quando andò nel locale dove lavorava la figlia di Rovito per capire se il padre fosse lì o se da quelle parti erano passati il marito e il figlio.
La dinamica del tentato omicidio in quelle fasi fu confusa e ovviamente descritta in modo diverso. I due dissero di aver subito minacce di morte prima di rischiare di rimanere feriti gravemente sotto i colpi di arma da fuoco, mentre Rovito ai poliziotti dichiarò di essere stato aggredito dai due e in quel momento decise di prendere la pistola, aggiungendo che mentre sparò verso i due non proferì alcuna parola.
In realtà, i due Sacco sono vivi per miracolo. Le analisi fatte dalla polizia Scientifica hanno dimostrato che i colpi erano stati esplosi ad altezza d’uomo e, fortunatamente, si fermarono sulle lamiere. Rovito voleva uccidere il figlio di Sacco, perché riteneva che fosse la causa della sua separazione con la moglie. L’imputato, dopo essersi reso irreperibile, su accompagnato dall’avvocato Antonio Sanvito in Questura per costituirsi. Una decisione che alla lunga ha portato dei benefici all’uomo, al quale sono state riconosciute le attenuanti generiche come evidenziato in sede di discussione dal legale di fiducia. E nonostante il gup Francesco Luigi Branda abbia scritto che «possono comunque concedersi circostanze attenuanti generiche prevalenti attesa la piena confessione resa nell’immediatezza dal prevenuto. Nella determinazione della pena occorre comunque tener conto che le condotte accertate sono molto gravi e denotano una spiccata personalità del Rovito, il quale ha inscenato una sparatoria in una strada pubblica e in pieno centro abitato ed in orario (21.35 circa) frequentato da passanti».
Infatti il figlio di Sacco non si capacitava del fatto di aver seminato Rovito nel traffico, facendo manovre che avrebbero potuto compromettere la sua incolumità e quella di suo padre. «La personalità dell’indagato è negativamente delineata oltre che dalle modalità cruente di commissione dell’illecito, anche dai precedenti penali e giudiziali annoverati nel casellario dove sono iscritte condanne definitive per i reati di rapina, furto, violenza privata, porto d’armi e minaccia». La linea difensiva, per questi e altri motivi evidenziati dal giudice in sede di motivazione, ha pesato tanto nel giudizio finale, attutendo una condanna che per come sono andate le cose poteva essere anche più alta. (Antonio Alizzi)