Veleni tra magistrati, la Cassazione dà ragione al giudice Abigail Mellace che aveva denunciato De Magistris per diffamazione
Fascicolo “riaperto” per la seconda volta. E’ questa la decisione della Suprema Corte di Cassazione sul caso De Magistris che vede coinvolto proprio il sindaco di Napoli, all’epoca dei fatti contestati magistrato in forza alla procura di Catanzaro. A denunciare l’ex togato per diffamazione erano stati il giudice Abigail Mellace, in servizio presso la sezione
Fascicolo “riaperto” per la seconda volta. E’ questa la decisione della Suprema Corte di Cassazione sul caso De Magistris che vede coinvolto proprio il sindaco di Napoli, all’epoca dei fatti contestati magistrato in forza alla procura di Catanzaro.
A denunciare l’ex togato per diffamazione erano stati il giudice Abigail Mellace, in servizio presso la sezione gip-gup del tribunale di Catanzaro e suo marito Maurizio Mottola. Il procedimento nasceva sulla base delle polemiche derivate dall’inchiesta “Why Not” coordinata da De Magistris, sottratta alla sua competenza dopo l’iscrizione tra gli indagati dell’allora ministro della giustizia Clemente Mastella, poi prosciolto.
La Mellace, che aveva ritenuto infondata buona parte della impostazione accusatoria di “Why Not” – e il marito avevano querelato il sindaco per alcune affermazioni scritte nel suo blog in forma, a loro dire, «parziale e non veritiera». Il gup e il marito contestano a de Magistris di aver scritto che il padre del magistrato era stato accusato di violenza sessuale, omettendo di dire che l’uomo era stato assolto in appello, che il provvedimento con il quale era stato chiesto l’arresto del marito del gup era stato rigettato in tutti i gradi di giudizio, e che il marito del gup era uscito indenne da ogni accusa di coinvolgimento nella indagine ‘Why not’ dal momento che l’unico “collegamento” era un biglietto da visita del Mottola trovato tra le carte di uno dei principali indagati e risalente all’epoca in cui svolgeva la professione di avvocato.
Nel 2012, il gup di Salerno aveva stabilito che le dichiarazioni di de Magistris erano coperte dall’immunità per essere nel frattempo diventato un europarlamentare che si occupava di corruzione. Il verdetto fu annullato dalla Cassazione nel 2014 che non riconobbe il diritto all’immunità per mancanza di collegamento tra quanto scritto nel blog in relazione a un processo italiano e le nuove funzioni ‘comunitarie’ dell’ex pm.
Nuovamente, il gup di Salerno, nel 2015 dichiarò il non luogo a procedere per de Magistris sostenendo che l’ex pm voleva solo rappresentare all’opinione pubblica – «non importa se a torto o a ragione» – che il gup che aveva sconfessato buona parte della sua inchiesta aveva contatti con gli ambienti degli indagati. Secondo il gup, de Magistris poteva usufruire dell’immunità perché aveva prodotto in giudizio dei documenti sulla multa che l’Olaf, l’organismo anticorruzione europeo, aveva inflitto all’Italia per 57 milioni di euro per illecito impiego di fondi comunitari.
Accogliendo l’obiezione del pm di Salerno, la Cassazione ha rilevato che la multa dell’Olaf non ha a che vedere con “Why not” ma a “Poseidone”. I supremi giudici hanno inoltre rilevato che questa documentazione, sulla quale il gup di Salerno aveva basato la seconda archiviazione, era stata addirittura prodotta in udienza fuori dai termini realizzando «il vulnus del principio del contraddittorio». Ora, per la terza volta, la vicenda torna a Salerno.