Savoldi ora fa gol sul web. «Ma come scordare De Angelis e Valoti?»
Gianluca Savoldi, ex centravanti del Cosenza, indossa i pani di blogger sportivo ed ha già fatto arrabbiare Sarri. «Aladino un fratello maggiore, Stefano il mio vecchio compagno di stanza». L’ultima volta che Cosenza Channel fece una chiacchierata con Gianluca Savoldi, fu nel 2015. Era nell’aria un derby contro la Reggina e fu chiamato in causa in
Gianluca Savoldi, ex centravanti del Cosenza, indossa i pani di blogger sportivo ed ha già fatto arrabbiare Sarri. «Aladino un fratello maggiore, Stefano il mio vecchio compagno di stanza».
L’ultima volta che Cosenza Channel fece una chiacchierata con Gianluca Savoldi, fu nel 2015. Era nell’aria un derby contro la Reggina e fu chiamato in causa in qualità di doppio ex. Ci raccontò del ritorno turbolento al San Vito con un’altra maglia e degli sputi ricevuti. Parlò di quando una domenica visitò il Castello da turista e conobbe dei ragazzini che giocavano a pallone nel centro storico, ragazzini che poi tornò a trovare tutto l’anno. Ci disse anche che aveva cambiato vita e che col calcio non aveva più niente a che fare. Lo ritroviamo oggi nelle vesti di “blogger sportivo”, uno di quelli che non le manda a dire, tanto da diventare virale in un lampo. L’entry level è stato superato: ha mandato su tutte le furie l’entourage di Sarri e la tifoseria napoletana.
Il blog è online da meno di un mese ed è già scoppiato il primo “caso”. Cos’ha combinato?
«Ridendo e scherzando ho toccato un tasto dolente. Ho espresso la mia idea su un anno e mezzo di gestione Sarri a Napoli, che si traduce in un eccessivo entusiasmo per un buon calcio, fatto sì di molti gol segnati, ma anche di moltissimi subiti. Il bilancio? Le due rose in mano a Sarri, nelle due stagioni, non hanno portato alcun risultato. Le reazioni del popolo del web sono state sproporzionate: mi sono accorto che i napoletani sono particolarmente suscettibili quando si parla dei loro idoli del momento. Ma il mio non voleva affatto essere un affronto. Era una critica ad un allenatore, non alla città, non ai colori, non alla gente. Evidentemente in questo momento i tifosi hanno massima stima di quest’uomo e lo sentono come la parte migliore del Napoli. Ma io ho una visione più distaccata, non di parte».
Il video in questione ha avuto oltre 20 mila visualizzazioni e duemila commenti, la querelle è rimbalzata su tutte le testate partenopee. Si aspettava tutta questa risonanza?
«Alla lunga me l’aspettavo, ma non credevo arrivasse subito così. Mi aspettavo che, col tempo, parlando di calcio, avrei avuto attenzioni. Questo perché oggi nel panorama mediatico, escludendo chi riporta le notizie, non c’è gente che parla di calcio in senso tecnico. Ed è quello che invece vorrei fare io, non avendo ambizioni di tipo giornalistico. Diciamo che forse ho centrato un argomento delicato in un momento delicato».
Ci racconti com’è nata l’idea del blog.
«Tutto è iniziato condividendo con gli amici di facebook i miei pensieri sul calcio. Sollecitato da qualcuno di loro, durante i campionati europei dello scorso anno, pubblicai il primo video dove “massacravo” la difesa del Belgio, in maniera anche simpatica poiché le immagini mi ritraevano in giro per casa, in pantaloncini e calzini, a mimare le azioni di gioco. La cosa è piaciuta e allora mi sono chiesto : “Gianluca, vuoi davvero uscire dal mondo del calcio? Sei ancora giovane e hai una valigia piena di esperienza…”. Quando all’epoca presi la mia decisione, ero talmente stanco che dovevo staccare. Ma è come un fumatore incallito che decide di smettere e dopo qualche mese ci ricasca. Eccomi qua. Ho deciso di aprire la pagina facebook, scindendola dal mio profilo personale, in modo da poter scambiare opinioni con tutti i calciofili, così da non bombardare la home degli altri miei amici a cui il calcio non piace».
Accanto alle polemiche e agli attacchi personali, ha riscontrato anche qualche lato positivo?
«Ieri ho pubblicato un gol di Van Basten, agli europei del 1988 in Germania. Un gol incredibile che nel mio immaginario di bambino è rimasto indelebile, forse perché volevo fare l’attaccante. Da lì ho preso spunto per chiedere, a chi segue la pagina, quale fosse il primo gol che viene loro in mente come più bello della storia del calcio, in modo da poterne poi creare una top 5. Già di per sé trovo bellissimo che la persone ti raccontino le loro personali emozioni, ma la cosa fantastica è stato che qualche tifoso (sicuramente di parte) ha votato alcuni miei gol, come quello in un Napoli-Reggina o in uno Spal-Pisa. Sicuramente non li conteggerò nella classifica finale, ma mi ha fatto capire quanto un gol, anche se non storicamente importante, possa significare tanto per chi tifa quella squadra e ciò mi ha fatto sentire orgoglioso, anche se non sono stato Van Basten. Quei ricordi sono una conferma che, con alti e bassi, hai condiviso qualcosa con degli sconosciuti che oggi, grazie ai social, puoi ritrovare e conoscere. Questo è il bello del calcio all’infinito. Perciò non mi pento, nonostante gli insulti gratuiti, che poi un po’ fanno sempre male. Ma come dice Vasco Rossi “forse non è stato poi tutto sbagliato”».
Il lavoro nel mondo della ristorazione lo considera un capitolo chiuso
«Assolutamente no, non mi sono ricreduto della mia esperienza. Continuerò la prossima estate con un nuovo progetto in Sardegna. Ho sempre detto che il mio chiudere col pallone era momentaneo. Adesso c’è stata una riapertura, poi vedremo cosa diventerà».
Ha dato un’occhiata a Cosenza? C’è Valoti come direttore sportivo e De Angelis in panchina.
«Sono al corrente – ride divertito – Sorrido perché prima di immaginarli l’uno che allena e l’altro che compra i giocatori, per me sono stati due amici, due persone splendide. Quell’annata fu stupenda anche dal punto di vista dei rapporti tra compagni. Ci ripensavo giusto l’altro giorno, quando ricorreva l’anniversario della morte di Imbriani. Io e Carmelo all’epoca eravamo i due single in un gruppo di sposati. Eravamo diventati i “figli” di tutti, perché gli altri erano più grandi e con famiglia al seguito, ma molto attenti a non lasciarci mai da soli. Tant’è che noi spesso facevamo da babysitter ai loro bambini. Ogni volta che si usciva era l’intera squadra tutta insieme, parlo di tavolate di 20/30 persone. Ed anche quando ci venivano a trovare a turno i nostri genitori, dovevano unirsi al gruppo, perché non esisteva che qualcuno restasse a casa».
Anche nella precedente intervista ci disse che Valoti l’aveva quasi adottata. Per lei che lo conosce bene, è l’uomo giusto per la piazza rossoblù?
«Si, Aladino lì è a casa. Era già di casa quando sono arrivato io, e quindi è tornato a casa. È stato sempre un grande uomo-gruppo. Se, per esempio, qualcuno si demoralizzava, lui era il primo ad andare a consolarlo e tirarlo su. Allo stesso modo quando le cose andavano bene, lui era lì a pungolarti per non farti sedere sugli allori. Era il classico fratello maggiore, un ragazzo stupendo, per di più bergamasco come me».
Altri ex compagni sostengono che già 15 anni fa era chiaro che De Angelis avrebbe fatto l’allenatore. E’ d’accordo?
«In realtà se provo a vederla con gli occhi dell’epoca, non l’avrei dato così per scontato. Forse avrei scommesso più su Aladino allenatore, per le caratteristiche di cui parlavo prima. Io e Stefano, invece, siamo stati per lungo tempo compagni di stanza in ritiro e ho dei ricordi meravigliosi che lo riguardano. Spero che non me ne voglia se racconto un aneddoto un po’ buffo su di lui. Prima di ogni partita, avvertiva talmente tanto la tensione da avere problemi di stomaco. Infatti era sempre l’ultimo a raggiungere il terreno di gioco e io mi divertivo a prenderlo in giro. Ma pensandoci oggi, sentire quella tensione, avere quelle emozioni, è sintomo di qualcosa di bellissimo: significa che a ciò che fa ci tiene con tutto se stesso».
Con questa nuova avventura è riesploso il suo amore per il calcio. Cosa vuole fare da grande?
«Non vorrei perdere la passione per il food e continuare nella ristorazione, esperienza per la quale ho studiato e fatto gavetta. D’altra parte ammetto che, adesso che ho rotto nuovamente il ghiaccio, mi dispiacerebbe perdere l’interazione con i tifosi e gli amanti del calcio, anche se non si tratta di un mestiere. Mi piace perché ho creato un rapporto che, per ora, mi permette di non abbandonare il resto. Se arriverò un giorno a dover fare una scelta, si vedrà. Certo è che non ho mai pensato “qualsiasi cosa pur di restare nel mondo del calcio”. Per decidere di tornare, dovrei trovare una via che mi dia la possibilità di divertirmi e di sentirmi un privilegiato, come quando giocavo, il che accade quando una passione diventa lavoro, e non viceversa. Chi vivrà vedrà…». (Carmen Esther Artusi)