OMICIDIO COCO’ | Campilongo crolla e scoppia a piangere in aula: «Non sono stato io, Gesù Cristo lo sa»
Le condizioni carcerarie sono durissime per tutti, soprattutto per chi ritiene di trovarsi in cella ingiustamente. Oltre al 41bis, norma dell’ordinamento penitenziario, che annulla tutti i collegamenti con l’esterno, vi è l’isolamento. Oggi Faustino Campilongo, detto “Panzetta”, ha dichiarato di non poter più convivere con questo tipo di trattamento disciplinare e ha chiesto l’intervento dell’autorità
Le condizioni carcerarie sono durissime per tutti, soprattutto per chi ritiene di trovarsi in cella ingiustamente. Oltre al 41bis, norma dell’ordinamento penitenziario, che annulla tutti i collegamenti con l’esterno, vi è l’isolamento. Oggi Faustino Campilongo, detto “Panzetta”, ha dichiarato di non poter più convivere con questo tipo di trattamento disciplinare e ha chiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria.
In realtà, il presunto autore dell’omicidio del piccolo Cocò Campolongo, di Giuseppe Iannicelli e della ragazza marocchina, è andato oltre l’appello lanciato al presidente della Corte d’Assise di Cosenza. “Panzetta”, infatti, al termine dell’udienza è scoppiato in lacrime. «Presidente, vi comunico che non riesco più a sopportare questo regime carcerario, fate qualcosa vi prego», ha detto l’imputato.
Dal canto suo, il presidente del collegio giudicante Giovanni Garofalo ha precisato che Campilongo dovrà rivolgersi al suo avvocato, il penalista Vittorio Franco, al fine di segnalare le circostanze che ha descritto in aula, collegandosi in videoconferenza dal carcere di Torino.
Ma il momento clou è arrivato un attimo dopo, quando lo stesso Campilongo ha aggiunto che «sono in carcere da innocente, non c’entro nulla con questa vicenda. Non sarei capace di commettere un delitto del genere. Io non sono stato, Gesù Cristo lo sa chi è stato e chi non è stato». E infine ha usato il termine “noi”: plurale maiestatis o riferimento indiretto a Cosimo Donato? «Mi sento calunniato, ora basta. Leggetevi bene le carte perché io sono innocente». (a. a.)