venerdì,Marzo 29 2024

Roselli: «L’addio al Cosenza mi ha fatto male. Il derby, Guarascio, De Angelis: vi dico tutto»

L’ex allenatore del Cosenza Giorgio Roselli risponde per la prima volta in maniera diretta sull’argomento Cosenza. «E’ un posto stupendo dove si vive di calcio, ma da dicembre in poi sono stati mesi duri». Un’altalena di giudizi: amato nei momenti belli, criticato aspramente in quelli negativi. Giorgio Roselli ha vissuto così il suo rapporto col Cosenza e

Roselli: «L’addio al Cosenza mi ha fatto male. Il derby, Guarascio, De Angelis: vi dico tutto»

L’ex allenatore del Cosenza Giorgio Roselli risponde per la prima volta in maniera diretta sull’argomento Cosenza. «E’ un posto stupendo dove si vive di calcio, ma da dicembre in poi sono stati mesi duri».

Un’altalena di giudizi: amato nei momenti belli, criticato aspramente in quelli negativi. Giorgio Roselli ha vissuto così il suo rapporto col Cosenza e con Cosenza, una città che gli ha riservato sentimenti intensi ma talvolta agli antipodi. Persona per bene, refrattario alle polemiche, ha definito sorprendente e amaro l’esonero di dicembre, così come ha ammesso di non aver più sentito Stefano De Angelis. La Coppa Italia e il torneo 2015-2016, tuttavia, restano due capolavori. Come capolavoro è stato confermare in blocco una squadra sprofondata in fondo alla classifica e portata al decimo posto in pochi mesi. Da oggi il suo legame con i rossoblù si è esaurito ufficialmente. «Il contratto è scaduto, ma sono felice di aver allenato in luogo del genere – dice Roselli – A Cosenza si respira calcio ovunque, è un posto fantastico. Ho vissuto la città tutti i giorni e la gente mi ha dimostrato grande affetto. Per quello che era nelle mie capacità ho cercato di ricambiare: avevo nella testa solo i Lupi, anche mettendo un po’ da parte la famiglia».

Roselli, è d’accordo con chi l’ha definita troppo aziendalista?
«No, non direi, ma bisogna capire cosa si intende per aziendalista. Se ad esempio è aziendalista chi cerca di valorizzare un giovane per il club, allora lo sono da sempre. Se invece si utilizza il termine nell’eccezione che credo in questo caso, direi proprio di no».

Non ha mai nascosto che l’esonero di dicembre l’abbia sorpresa, perché?
«Mi ha amareggiato più che sorpreso, forse è stato tra i momenti più duri dei miei 43 anni di carriera. Gli addii con Camilli a Grosseto e Gaucci a Viterbo non mi hanno ferito così, del resto dopo il derby era la prima volta che il Cosenza usciva dal quinto posto. Posso capovolgere la domanda?».

Prego.
«Da parte della stampa non ho letto niente in merito e questa cosa sì che mi ha sorpreso. Nel 2014 firmai dopo 11 partite a margine di 7 sconfitte e arrivammo decimi vincendo la Coppa Italia. L’anno dopo partimmo migliorando la squadra con lo stesso budget della stagione precedente: grazie ad un lavoro pazzesco totalizzammo 60 punti e stazionammo per settimane ad un passo dalla vetta. A giugno 2016 fu il finimondo: perdere sette elementi di alto livello più il direttore non è una cosa che capita ogni giorno. Si è parlato, ad esempio, del fatto che io non volessi La Mantia. Beh… sono stato una delle prime persone che Andrea ha chiamato dopo essersi legato alla Pro Vercelli. A volte ciò che all’esterno passa come un gesto ostile ad un calciatore, è invece la soluzione migliore per la sua crescita».

A margine del match col Catanzaro parlò con il presidente, cosa vi siete detti?
«Mise in evidenza come le prime si stessero allontanando. Io risposi che erano più forti e che sarebbero arrivate di certo più avanti di noi. Aggiunsi, però, che avremmo avuto a disposizione il mercato per ovviare ai ko di Pinna e D’Anna. Sapete, l’accordo iniziale era di costruire una squadra competitiva a luglio e di mettere i puntini sulle “i” a gennaio: Cerri e Guarascio programmarono la stagione in questa direzione ed è quello che poi avvenne seppur con persone diverse. Più avanti il ds Valoti parlò, senza essere mai smentito, di obiettivo quinto posto. Io chiedo a Guarascio: perché per Roselli il traguardo era il vertice, mentre poi per gli altri andavano bene anche posizioni differenti? Questo aspetto mi ha regalato purtroppo dei mesi particolari, perché la ritengo una cosa non giusta».

Sia sincero, non ha mai avuto il sentore che Guarascio potesse sollevarla dall’incarico?
«No, mai. Anche se vedevo in Guarascio meno partecipazione. Mi ha sempre chiamato un paio di volte a settimana e ci vedevamo a Lamezia per fare il punto. Ho un ottimo rapporto con lui e ancora oggi lo stimo perché Cosenza può stare tranquilla almeno per le basi societarie. Credetemi che non è poco».

Roselli, di rado l’abbiamo ascoltata dire una parola fuori posto. I messaggi li ha sempre lanciati e saputi lanciare. Quale è rimasto inascoltato?
«Io ho cercato di passare alla società tutte le mie esperienze passate riferite ad una lunga carriera. Ogni giorno d’allenamento cerco di apprendere qualcosa dai ragazzi e di dare loro qualcosa».

C’è qualcosa invece che avrebbe dovuto fare?
«Ho fatto sempre quello che ho pensato di fare. Dopo di me la squadra ha cercato di mettere in atto qualcosa di diverso anche grazie ai volti nuovi, ma il dna era quello e si è visto. Noi ci esprimevamo al meglio in base alle nostre caratteristiche ed è quello che risposi a Padalino dopo un Cosenza-Matera in cui ci tacciò di aver giocato peggio dei suoi. Io devo mettere i miei nelle condizioni migliori per poter far male all’avversario. Secondo me, pertanto, era sbagliato dire che fossi difensivista visto l’esito della stagione».

Come risponde a chi le dice che lo è?
«Che fare i raffronti è abbastanza facile. Il Cosenza nel 2014-2015 in 11 partite fece 7 punti, con me ebbe una media da quinto posto e il sottoscritto non parlò mai di Cappellacci che è persona che stimo. Andato via Roselli dopo un derby, arrivata gente del calibro di Mendicino, Calamai, D’Orazio e Letizia, rientrati Pinna e D’Anna dagli infortuni la media è stata inferiore. Parla la matematica, perciò è pazzesco quello che è successo. A chi mi definisce figlio di un calcio antico rispondo: è possibile che un difensivista fa sempre più punti di tutti gli altri?».

Non ci ha mai detto una cosa: i social le hanno riservato elogi e critiche aspre come se non ci fosse un domani a secondo dell’esito del match. Che effetto le faceva il web?
«Sono fortunato perché penso che la libertà di espressione sia sacrosanta, tolta l’offesa diretta e familiare. Se si è un personaggio pubblico, bisogna conviverci: fa parte del gioco».

Qual è la cosa più bella che a Cosenza è stata scritta di lei?
«Ce ne sono diverse. Fino alla decima giornata di quest’anno non avevamo mai perso due gare di fila. Passeggiando per il corso un giorno incontrai un signore che mi disse: a Cosenza è difficile allenare perché in casa non si può pareggiare, se vinci 3-0 gli avversari sono scarsi, se vinci 1-0 si è sofferto fino alla fine. E’ la bellezza delle grandi piazze e Cosenza lo è. Ricevere lettere e incontrare persone da tutto il mondo perché tifosi rossoblù è la gratificazione maggiore avuta dall’esperienza al Marulla».

A molti dei suoi vecchi calciatori il Cosenza non ha rinnovato il contratto. Giusto voltare pagina per tutti?
«Innanzitutto sottolineo che ho trovato già in rosa questi calciatori e poi sono diventati tutti miei giocatori: è un aspetto bellissimo perché ho la tendenza a far diventare mio figlio chi trovo nello spogliatoio. Due anni fa avevamo una lista di cinque esterni da prendere, ebbi il pensiero di non puntare su Statella perché non volevo dare adito a pensieri maligni in quanto lo avevo già allenato in passato. Fu bravo Meluso a portarlo a Cosenza. Tornando alla domanda, ritengo che se Tedeschi e compagni abbiano fatto il loro tempo allora la risposta è sì. Tedeschi, Blondett e Caccetta, però, non hanno mai avuto un comportamento che potesse nuocere al club, ma ci sta che si possa cambiare».

Cosa ha fatto Roselli in questi sette mesi?
«Ha sofferto molto, ripeto che è stata la cosa che mi ha ferito di più in carriera. Ho maturato l’idea a campionato in corso che non potessimo arrivare primi: i miglioramenti c’erano, ma non tali da impensierire le battistrada. Ho sempre ritenuto, però, che con una serie di acquisti la squadra sarebbe diventata più competitiva e ragionai in ottica playoff: ero convinto di poter andare in B grazie alla nuova formula. Tale pensiero mi ha logorato perché, guardando la post-season dal vivo, forse avevo ragione».

Si aspettava il Cosenza ad un passo dalle semifinali playoff?
«Sì, decisamente. Anzi me lo aspettavo in semifinale perché lo scoglio vero era il Matera, superato con merito e con un po’ di fortuna. Il Pordenone a Cosenza avrebbe sofferto l’ambiente, lo disse alla vigilia lo stesso Tedino. Alle final four sarebbero venute fuori motivazioni e fame».

Che ci dice di Stefano De Angelis?
«E’ stato il mio secondo per due anni e mezzo, sono stato benissimo con lui e con l’intero staff per l’intera durata dell’avventura in rossoblù. All’inizio, sapete, non ho portato nessuno con me a livello di staff. Ho valutato chi c’era ed ho scelto di trattenerli. De Angelis mi diceva che stava imparando tanto a livello gestionale e che in futuro avrebbe avuto piacere a lavorare ancora con il sottoscritto: le sue parole mi resero contento. Il fatto che da quando sia andato via non l’abbia più sentito, sono sincero, mi ha generato un leggerissimo fastidio. E’ una cosa anomala, definiamola così. Ho letto inoltre interviste opinabili, ma non porto rancore a nessuno. Gli auguro che presto possa rientrare, perché il campo per un tecnico è tutto. Lo sto provando sulla mia pelle».

Roselli quando e dove tornerà in pista?
«Qualche volta mi ha fregato la fretta. All’inizio io punto sulla passione, così come quando venni a Cosenza. Avevo contatti ben avviati con Cremonese e Pavia, poi una sera mi chiamò Angeloni (al Sunderland con Mirabelli, ex capo scout dell’Inter e ds della Fiorentina fino a qualche mese fa, ndr) dicendomi che Dionigi aveva declinato l’offerta per motivi personali e se poteva passare il mio contatto a Guarascio. Ci sentimmo, ma rifiutai di approfondire la questione con il presidente al telefono. Presi un aereo e lo incontrai di persona informando nel mentre Meluso. Il resto è storia recente». (Antonio Clausi)