venerdì,Febbraio 7 2025

Giugno, l’ultimo guerrigliero del pallone tra le sponde del Campagnano

Franco Giugno riportò il Rende tra i prof con Mirabelli, ma il Cosenza resta l’amore della sua vita. «Vorrei vedere il Marulla pieno e sentire ancora quel boato della Curva Sud». Franco Giugno (62 anni) è un romantico del calcio, uno di quegli allenatori che si ama o si odia a prescindere da ciò che poi il

Giugno, l’ultimo guerrigliero del pallone tra le sponde del Campagnano

Franco Giugno riportò il Rende tra i prof con Mirabelli, ma il Cosenza resta l’amore della sua vita. «Vorrei vedere il Marulla pieno e sentire ancora quel boato della Curva Sud».

Franco Giugno (62 anni) è un romantico del calcio, uno di quegli allenatori che si ama o si odia a prescindere da ciò che poi il campo esprime. Non c’è presidente in Calabria che non abbia avuto a che fare con lui, da tecnico o da avversario ha sempre regalato argomenti di discussione. Ed anche titoli di giornale. Uno, rimasto famoso, è del settembre 2012. “Giugno tra lirica e Che Guevara” scrisse  Calabria Ora riportando le sue parole cariche di pathos alla vigilia di un campionato. Guerrigliero del pallone, amante del rivoluzionario Sarri definito «progressista», ha un solo cruccio: non aver mai allenato il Cosenza nonostante ci sia andato vicino in un paio di occasioni.

Lei ha descritto quella panchina come “un vuoto pesante” nella sua vita, conferma ancora oggi?
«Assolutamente sì. Indipendentemente dai dirigenti, io mi riferivo esclusivamente ai colori della mia città. Per la cronaca rifiutai due volte: quando c’erano Intrieri e Nucaro. In entrambi i casi non ritenevo che il progetto poggiasse su solide basi».

Nell’ultimo Cosenza-Rende allenava i biancorossi. A parte il risultato (2-3, ndr), cosa ricorda?
«Che giocammo a campi invertiti per fare l’incasso. Il fotogramma più nitido è una Curva Sud strapiena che ci fece venire la pelle d’oca, specialmente al gol del 2-2. Ripartire dalla D con entusiasmo non era da tutti, peccato che si tradì la fiducia di tanti tifosi che avevano creduto in una pronta rinascita».

Quello di domenica sarà un derby molto diverso, proprio a partire dalla cornice di pubblico: all’epoca c’erano 11mila spettatori.
«Evidentemente c’è qualcosa che non va e bisogna interrogarsi sul perché. Non tocca a noi porre la domanda, perché dovrebbero porsela dall’interno. Con il Catanzaro, la partita per eccellenza, c’erano circa 7mila tifosi che sono comunque distanti dai numeri di quegli anni lì. E’ un peccato, specialmente per chi è cresciuto come me nel mito del Cosenza».

Perché la gente non va più allo stadio? Perché a questi livelli il calcio non attira più se non con la squadra prima in classifica?
«Perché si produce un brutto spettacolo a livello di gioco. Questo avviene non solo in A, ma anche nelle serie minori. Se prendiamo ad esempio la vecchia C1, il livello tecnico non è neppure paragonabile. Addiruttura è più basso di un anno fa, inoltre le squadre in crisi e con penalità ormai non si contano. A questo aggiungiamo che gli stadi sono vecchi e fatiscenti, che le pay-tv trasmettono di tutto ad ogni ora e che se uno sportivo può scegliere…».

Il trait d’union tra le due sponde del Campagnano è stato Massimiliano Mirabelli. Lo sente ancora e perché non scelse lei nel 2007?
«Ci sentiamo ancora, certo. All’epoca puntò su Toscano e i fatti gli diedero ragione, mentre io ebbi fretta di accasarmi a Brindisi. E’ acqua passata ormai».

Tra Guarascio e Coscarella ci sono ammiccamenti continui e i due si strizzano l’occhio: si parla di darsi una mano a vicenda. Per lei, però, cosa vorrebbero ottenere l’uno dall’altro?
«Bisognerebbe chiederlo a loro e vedere se hanno l’onestà intellettuale di rispondere. Io sono del parere che una sola quadra non si possa accettare perché il calcio vive di rivalità sportiva. I tifosi del Cosenza e del Rende vorrebbero mantenere la propria identità ed è giusto permetterglielo».

giugno contro cosenzaI tre punti servono di più al Cosenza che cerca il quarto posto: è d’accordo con ciò che suggerisce la classifica?
«Certo. Il Cosenza deve vincere e il quarto posto rappresenta un traguardo accettabile visto l’inizio. Non è un piazzamento eccellente perché parliamo sempre del Cosenza in C, ma visti i presupposti può andar bene».

Cosa ha portato Braglia al Cosenza?
«Ha garantito un’inversione di tendenza alla squadra dal punto di vista dei risultati e col quarto posto si potrebbe parlare di campionato positivo nonostante la squadra abbia espresso raramente un buon gioco. Dalla lotta salvezza, si è passati ad una classifica interessante: non dimentichiamolo».

Trocini, che siglò una doppietta in quel 2-3, saluterà il Rende a fine campionato. Modesto è in pole: scelta giusta?
«Immagino che si voglia dare continuità ad un progetto fatto in famiglia. Trocini non aveva alcuna esperienza a certi livelli ed ha fatto cose egregie. Evidentemente hanno intravisto in Modesto delle qualità valide per il futuro».

Favorevole alle seconde squadre di A in Lega Pro?
«Sì, perché si interromperebbe con drasticità l’invasione straniera. Molti top-club manderebbero i giovani a maturare in C in formazioni-B, di conseguenza molti ragazzi italiani potrebbero trovare spazio altrove. Idem gli allenatori, Ancelotti è l’esempio lampante di un’eccellenza partita dalla Reggiana e dal basso».

E’ d’accordo con chi sostiene che le rose limitate siano una forzatura dei presidenti per risparmiare sugli ingaggi?
«E’ un dato di fatto. Il campionato di Serie C è scemato di interesse e di qualità proprio per questo. L’imposizione di un giovane non va mai bene, perché quelli bravi in passato hanno sempre giocato a prescindere dalle regole. I ragazzi è importante farli crescere, non farli giocare per forza limitando lo spazio dei calciatori più esperti. In questo modo il livello si abbassa sempre di più».

Perché il calcio italiano è perdente in partenza a livello europeo?
«Perché si è dispersa tutta la potenzialità tecnica che avevamo fino a 10 anni fa, inoltre non sottovalutiamo l’invasione dei mecenati stranieri negli altri paesi. I calciatori più bravi vanno in Germania e Inghilterra e ora anche in Francia. Il vero capolavoro, tuttavia, è stato in Spagna con l’esplosione dei vivai e con l’organizzazione tecnica mirata. I grandi campioni, laddove ci sono, aiutano la crescita dei più piccoli: un tempo succedeva in Italia, ora avviene altrove».

Gli allenatori migliori restano gli italiani?
«Sì. La nostra scuola è ancora la più importante e chi frequenta Coverciano sa di cosa parlo. All’estero ci sono le dovute eccezioni con Guardiola e Klopp che sono due top-manager, ma la richiesta che hanno i nostri tecnici fuori dai confini è continua e costante».

La sua stella polare adesso è Sarri…
«E’ un innovatore sia per la mentalità che per la tattica. Dopo l’avvento di Sacchi che cambiò il calcio, a distanza di 30 anni è arrivato un altro Carneade a riportare in auge il nostro sitle. Offre un calcio progressista, oserei dire».

La Serie C si riprenderà mai?
«Per rilanciarla è fondamentale ridurre il numero dei club partecipanti al massimo a 40. La programmazione cambierebbe, così come la competitività tra le società stesse».

Franco Giugno, in sostanza, si definisce più un ex del Rende o un innamorato non corrisposto del Cosenza?
«Potrei usare entrambe le definizioni. A Rende ho allenato a più riprese, ma la prima volta riportammo la squadra tra i prof dopo due campionati vinti. Del Cosenza sono stato, sono e sarò sempre un tifoso innamorato». (Antonio Clausi)

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