Chiedimi se sono felice
– l’editoriale di Piero Bria Non dimenticherò mai le parole paterne: «Le amarezze saranno talmente tante da mettere in discussione il tuo amore. Da tramortirlo e renderlo cupo. Ma sappi che vincerai anche tu e quando lo farai sarà un’emozione unica». Trent’anni fa non c’era internet, i cellulari erano qualcosa di spaziale e le dirette
– l’editoriale di Piero Bria
Non dimenticherò mai le parole paterne: «Le amarezze saranno talmente tante da mettere in discussione il tuo amore. Da tramortirlo e renderlo cupo. Ma sappi che vincerai anche tu e quando lo farai sarà un’emozione unica».
Trent’anni fa non c’era internet, i cellulari erano qualcosa di spaziale e le dirette erano viste come il “miracolo della televisione anni ’80”. Le foto poi. Erano un mix tra bianco e nero e qualche colore sbiadito.
Le distinte di gara, se presenti, rigorosamente scritte a penna e, a volte, rischiavi di non comprendere i nomi dei calciatori avversari a causa di grafie scellerate.
I tornelli pura illusione, così come i maxi schermi. Per non parlare dei percorsi che andavano studiati tre giorni prima di arrivare in un posto per muoversi con un minimo di consapevolezza (altro che Google Maps di oggi).
Ricordo Monopoli come fosse ora. Uno stadio stracolmo di tifosi. Al punto da costringere la tifoseria di casa ad uscire (scappare) per garantire l’accesso all’onda di tsunami vestita di rossoblu. Al fischio finale l’apoteosi, per il raggiungimento di un traguardo che mancava da 25 anni.
Ma non c’erano molti mezzi per condividere la gioia, l’emozione per quel grande traguardo. L’unica possibilità di trasmettere un avvenimento in diretta era la radio, con tutto il fascino di un racconto fatto solo di parole, certo, ma, se volevi vedere davvero cos’era successo dovevi aspettare diverse ore e accontentarti dei 90 secondi che riusciva a trasmettere RaiTre.
A distanza di trent’anni, il mondo sembra un’altra cosa. La diretta televisiva è una normalità e, poi, a Pescara c’erano 10.000 telefonini, uno per ogni tifoso presente. Tutti hanno potuto immortalare ogni singolo istante di un miracolo sportivo senza precedenti. E le loro comunicazioni hanno alimentato la passione di una moltitudine di appassionati rimasti a casa che, al fischio finale, si sono comportati come se avessero assistito fisicamente ad una partita che solo un veggente avrebbe potuto prevedere.
Mesi fa eravamo una squadra in coda alla classifica di Lega Pro, con un allenatore arrivato in corso d’opera e giocatori incapaci di reagire alle avversità. Oggi festeggiamo un’altra squadra. Una squadra capace di rendere possibile… l’impossibile. E questo grazie anche al lavoro di un allenatore straordinario: Piero Braglia.
Abbiamo giocato 9 gare di Play Off. Nove, esatto. Praticamente un percorso da Mondiale. E Cosenza ha vissuto il suo Mondiale con passione, una voglia straripante e in trepidante attesa.
Quindici anni dopo il black out siamo qui a scrivere nuovamente Serie B. E nel farlo è giusto condividere questo momento con chi da lassù è stato al nostro fianco, al fianco della squadra per sostenerla e spingerla verso il traguardo. Marulla, Bergamini, Catena e tutti coloro i quali ci hanno prematuramente lasciato. Una vittoria anche loro. Una vittoria dedicata a loro.
Trent’anni fa c’era un bambino che veniva tediato da parenti, cugini e amici. Andava a scuola e vedeva maglie di colore diverso indosso ai compagni. Andava dai parenti e veniva esortato a tifare per altre squadre. “Se vuoi festeggiare devi sceglie il cavallo giusto”… quante volte lo avete sentito dire. Oppure quando si partiva pe andare a trovare parenti lontani.
C’era lo zio che ti esortava a tifare Juventus perché così potevi far festa tutti gli anni. Poi i cugini milanesi divisi tra Inter e Milan che provavano a convincerti parlando di Triplete e Champions. “Altro che scudetto…”.
Logico che ti sentivi frastornato tornando a casa. Ed è in quel momento che trovavi conforto nelle mani paterne. “Mio caro figlio scegli con il cuore. Qualora dovessi scegliere di tifare Cosenza sappi che soffrirai molto e per tanti anni. Le amarezze saranno talmente tante da mettere in discussione il tuo amore. Da tramortirlo e renderlo cupo. Ma sappi che vincerai anche tu e quando lo farai sarà un’emozione unica. Sei figlio di questa terra, non dimenticarlo mai. Non serve vincere sempre per sentirti parte di qualcosa. Ama senza pretendere nulla in cambio. Questo si, puoi definirlo amore…”.
A distanza di 30 anni quel bambino oggi è un uomo e festeggia. Dopo tanti fallimenti e innumerevoli sconfitte ha deciso quale doveva essere la sua squadra del cuore. L’unico amore da non abbandonare. L’unica squadra capace di infiammare la sua anima. Ti Amo Cosenza. Non perché tu sia il cavallo giusto, perché tu sei il Lupo perfetto. Il Lupo che c’è in me.