Non fu peculato, prosciolto don Alfredo Luberto: ecco l’ultima sentenza
L’ultimo filone d’indagine in cui era coinvolto don Alfredo Luberto si conclude in primo grado con una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Così il presidente dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello termina il percorso giudiziario che in altre sedi lo aveva visto colpevole dei reati a lui ascritti. Dopo aver riqualificato
L’ultimo filone d’indagine in cui era coinvolto don Alfredo Luberto si conclude in primo grado con una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Così il presidente dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello termina il percorso giudiziario che in altre sedi lo aveva visto colpevole dei reati a lui ascritti.
Dopo aver riqualificato il capo d’imputazione, da peculato ad appropriazione indebita, gli estremi per procedere contro don Luberto erano pressoché scaduti. A far scattare la prescrizione è stato il lavoro svolto dagli avvocati difensori, Angelo Pugliese e Emilio Lirangi, i quali hanno dimostrato come non fosse fondata l’accusa di peculato. Reato che, tuttavia, non sarebbe stato prescritto com’è avvenuto oggi. La sentenza è stata emessa dal tribunale collegiale di Paola. La procura, rappresentata in giudizio dal pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara, in sede di requisitoria aveva chiesto la condanna a 5 anni di carcere per entrambi. La parte civile era rappresentata dalla curatela fallimentare.
Don Luberto e il consulente economico del Papa Giovanni XXIII, Fausto Arcuri (difeso dagli avvocati Giorgio Santoro e Massimiliano Cileone), erano accusati di essersi appropriati delle somme di denaro, rilasciate in loro favore dagli ospiti dell’Istituto e riferite ai ratei delle pensioni, per un importo complessivo di 1 milione 822mila e 301 euro.
Secondo l’accusa, Arcuri, anch’esso prosciolto per intervenuta prescrizione, avrebbe provveduto alle annotazioni contabili ed all’iscrizione in bilancio di spese sostenute a favore degli ospiti dell’Istituto per lavanderia, stireria, parrucchiera, barbiere, scarpe, assistenza religiosa e tante altre cose. Spese, tuttavia, mai sostenute.
DA PECULATO AD APPROPRIAZIONE INDEBITA. La difesa è riuscita a dimostrare come fosse errata la contestazione del peculato a carico degli imputati che per le mansioni svolte e soprattutto per la natura giuridica dell’Istituto Papa Giovanni – fondazione di diritto canonico civilmente riconosciuta – non potevano essere considerati incaricati di pubblico servizio e quindi per tale motivo non potevano rispondere del più grave reato di peculato che è attribuibile solo al pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio. (Antonio Alizzi)