Roselli in tribuna allo Zini: «Con Cosenza e Cremonese stagioni capolavoro»
Giorgio Roselli ha vinto una Coppa Italia a Cosenza e due campionati da allenatore della Cremonese. «Domani sera sarò in tribuna, mi aspetto una gara equilibrata sebbene Mandorlini debba lottare per le zone alte». La conquista della Coppa Italia di Lega Pro dell’aprile 2016 ha un nome ed un cognome. Tecnico e salvatore di quell’annata,
Giorgio Roselli ha vinto una Coppa Italia a Cosenza e due campionati da allenatore della Cremonese. «Domani sera sarò in tribuna, mi aspetto una gara equilibrata sebbene Mandorlini debba lottare per le zone alte».
La conquista della Coppa Italia di Lega Pro dell’aprile 2016 ha un nome ed un cognome. Tecnico e salvatore di quell’annata, che poi sarebbero state 3, era Giorgio Roselli. Roselli, noto già allora per il miracolo del Pavia, venne a guidare il Cosenza, dopo il tracollo casalingo di Cappellacci contro la Juve Stabia, in una situazione da codice rosso qual era l’ultimo posto in graduatoria. In quella stagione, terminata al decimo posto, Roselli e la sua squadra riuscirono a regalare una grande gioia alla città. Una felicità che raccolse l’entusiasmo di oltre 12mila tifosi al Marulla, l’ultimo bagno di folla dopo il centenario del 2014 e prima della conquista della Serie B.
Ma Roselli è stato, anche, il tecnico della Cremonese con cui vinse due campionati, di Prima e Seconda divisione. Le statistiche parlano chiaro: in tutta la sua carriera di allenatore, la media punti più alta l’ha timbrata con i Lupi rossoblù e le Tigri grigiorosse. Con i primi parliamo di una media punti per partita di 1,53, mentre nel club lombardo di 1,65.
Giorgio Roselli, come sta?
«Ci stiamo godendo qualche giornata al mare, dato che qui in Liguria c’è ancora il sole. Sto bene, spero che inizi il campionato nella sua interezza. Delle squadre vicino Genova non gioca nessuna. Tra Siena, Pro Vercelli, Novara, Entella. Sono tutte ferme…».
Domani pomeriggio ci sarà Cremonese-Cosenza, cosa si aspetta?
«La Cremonese è una squadra veramente importante. Ancora non è riuscita a fare partite intense per 90 minuti. Tuttavia, a sprazzi, ha dimostrato di essere una compagine molto forte. Infatti, le ambizioni sono alte. Il Cosenza è un collettivo di categoria. Sull’ossatura dello scorso anno sono stati introdotti calciatori importanti. Personalmente penso che stiano facendo bene. Peccato che con il Livorno non si è riusciti a vincere, ma ho visto grande entusiasmo nella gente. Il Cosenza è tosto. La partita sarà equilibrata, oltretutto sarò lì a vederla…».
A cosa possono ambire Cremona e Cosenza?
«Una è stata costruita con un allenatore da primissimi posti e la Cremonese è una società di altissimo livello. Ci ha messo anni per arrivare dalla C alla B, ma ci impiegherà molto meno per giungere dalla B alla A. Per il Cosenza è normale, che al primo anno, sia importante la salvezza. Spero che arrivi il prima possibile».
Un pronostico?
«Pronostico? Non n’è azzecco uno, poi mi prendono tutti in giro. Posso ipotizzare come sarà: la Cremonese tenderà a fare la partita, anche se il Cosenza con il Livorno ha disputato un primo tempo fantastico. Dunque, mi aspetto una partita tosta fin dall’inizio. Ricordiamoci che è un’infrasettimanale. Vediamo chi avrà più energie».
Cosa ne pensa di Piero Braglia?
«Allenatore molto esperto della categoria. Ha fatto tanti campionati in C e B. Ha dimostrato di saper fare grandi cose. Dopo due anni, fra Lecce e Alessandria dove il campionato era completamente vinto invece è andata come andata, ma per alcuni episodi particolari e non per sua incapacità. A Cosenza si è ripreso con gli interessi».
Mandorlini?
«Beh Mandorlini… non ha bisogno certo di alcuna presentazione. E’ un allenatore che ha fatto bene in C, B, ha allenato in A gli Scaligeri dell’Hellas Verona. Sarà una bella sfida, tra due allenatori che stimo molto».
Parliamo del suo passato, come ricorda gli anni di Cremona e Cosenza?
«A Cremona arrivai alla quarta partita in C2. Era una squadra che soffriva molto. Alla fine siamo arrivati secondi, dietro al grande Mantova. Vincemmo tutte le partite, i playoff e andammo in C1. Poi, cambiando solo un calciatore, Strada al posto di Marchesetti, stravincemmo la C1 con un mese di anticipo. Ci fu un filotto, tra fine C2 e inizio C1, dove su 18 partite ne vincemmo 17. Era una squadra imbattibile».
Il Cosenza?
«Ricordo che arrivai alla 12esima giornata con i rossoblu ultimi in classifica. Era una fase molto tesa, pochi risultati e con tanti problemi psicologici da parte di tutti, dalla squadra alla tifoseria. C’era tanta contestazione. Piano piano ci siamo ripresi…»
Infatti, poi venne la Coppa…
«Fu un percorso dove la squadra, formata da calciatori bravi, ha macinato punti in campionato, finito, poi, al 10ecimo posto, riusendo a battere il Como in finale conquistando la Coppa. Fu un crescendo fantastico. L’anno seguente contendemmo a vere e proprie corazzate la vittoria del campionato, terminando alla quinta posizione dietro a quelle compagini veramente super. L’unico rammarico è che sono andato via senza terminare l’ultimo anno…»
Fu cacciato dopo il derby contro il Catanzaro.
«Si, che pareggiammo. Dopotutto eravamo quinti in campionato. Venivamo con 7 punti fatti in 4 partite. E’ stato ed è il cruccio più grande, quello di non aver finito quell’anno, che meritavo di finire. Si potevano fare i playoff… dato l’allargamento della partecipanti a 10 squadre. Potevamo giocarcela».
Come apprese della notizia?
«Il giorno dopo il derby andai a parlare con la società. C’era qualche persona vicina al presidente, la quale pensava che noi avremmo dovuto vincere il campionato. E non eravamo su questo d’accordo. Alla fine il Cosenza arrivò settimo. Forse la mia visione era migliore di qualche collaboratore di Guarascio, che però non so chi sia stato effettivamente. Non sicuramente Cerri. Credo che ci sia andato di mezzo qualcun’altro facendo commettere un errore al patron. Ripeto, è l’unico cruccio. Meritavo di giocare nei playoff».
Cosa ne pensa della situazione in B?
«Sono disperato. Poi sono a casa… ed è un discorso che non è giusto. Non sono d’accordo nel cambiare subito l’allenatore. Da quando ho iniziato ad allenare, la classifica la guardo dalla quinta in poi. Le prime 3-4 partite per me non hanno un grande significato di punteggio. Certo, si deve vedere cosa fanno le squadre. Ci mancherebbe. Si parla subito, però, di allarmismo se non vengono i risultati…».
Si riferisce, anche, al caso Suazo?
«Si, ma al di là di questo sono cose che non dovrebbero succedere. Nel senso, che 7-8 partite sono il minimo sindacala per un tecnico. Io sono stato esonerato a Grosseto, in B, dopo 3 turni. Non ha senso. A meno che non vedi che la squadra non risponde a nulla. Il che è un altro paio di maniche. Intanto, ammetti di aver fatto una cosa poco giusta all’inizio. Questa situazione mette in difficoltà sia chi allena, perché se non giochi non si trova la condizione, sia chi sta a casa. L’unica speranza che si sia arrivati al capolinea di questi problemi. Non solo la questione dei ripescaggi, ma parlo di un calcio che deve essere riformato con regole certe. Poi, spero, personalmente, ritorni ad esserci un po’ di meritocrazia. Sopratutto da parte di allenatori e calciatori. Si vedono partite dove, allenatori e calciatori sono inferiori rispetto a prima. Non c’entrano solo i soldi. Il problema è, anche, di scelte. Io se devo far prendere un giocatore alla mia società, dico di prendere un elemento valido. Compito mio è quello di farlo rendere al meglio. Invece, spesso le scelte vengono fatte con meno meritocrazia. Il tutto si rispecchia nelle partite. Di una cosa sono sicuro: sul lavoro non vanno fatti favori. Questo non deve accadere nel mondo del calcio. Se uno gioca è perché lo merita. Non c’entra l’età».
A che livello di qualità siamo in Serie B adesso?
«Normale che non si può paragonare questa B con quella nella quale giocai. E’ una B diversa, ma pure la Serie A se raffrontata con quella di allora. Le qualità ci sono. Magari, un sono un pochino diminuite. Tuttavia, è un problema generale. Resta, ad ogni modo, un torneo affascinante. La B è un campionato fantastico. La A è un calcio d’elite. Preferisco la B. D’altronde, fino a qualche anno fa, mi piaceva la C. Adesso meno per il discorso di cui sopra».
Ci dica la sua griglia d’arrivo per la Serie B.
«Insomma, le retrocesse in primisis. Il Benevento è il favorito, poi viene il Verona. A seguire, Palermo, Crotone e la Cremonese».
Lei a Cosenza ha allenato Arrighini e La Mantia, attaccanti titolari da più anni in B…
«Sono molto contento, in parte soprattutto per La Mantia. Credo di essere stato un mister fondamentale per lui. Lo ha già ammesso telefonandomi dopo il suo arrivo alla Pro Vercelli. A Cosenza non lo trattai proprio con i guanti. L’ho trattato nel modo giusto per farlo migliorare. Soprattutto dal punto di vista caratteriale. Le qualità le ha sempre avute. Però veniva da 2 anni di retrocessioni dove segnava pochissimo. Al Cosenza ne fece 13 di gol, giocando non tantissimo e negli scorsi campionato di B è andato sempre in doppia cifra. Gli mancava un pezzetto e l’ho aiutato a raggiungerlo. Arrighini non aveva bisogno di molto. Era un calciatore di un’umiltà e intelligenza tattica fantastica. Lui gioca bene in B, magari insieme ad un bomber. E’ un giocatore che apre le difese, si sacrifica».
Quando era a Cosenza, lei schierava Perina titolare. Con Braglia sono cambiate le gerarchie. Anzi Perina ora fa il terzo…
«Pensa un po’. Il primo anno che feci al Cosenza c’era Ravaglia titolare con Saracco secondo. Secondo anno: Perina titolare, Saracco secondo, ma precisiamo che la Coppa la vincemmo con Saracco fra i pali. In questo momento Ravaglia fa il secondo a Cremona e Perina addirittura il terzo. Questo è il calcio. Rimangono tre portieri di altissimo livello. Tutti e tre meriterebbero di giocare»
Cosa fa o cosa vuole fare ad oggi Giorgio Roselli?
«Voglio fare quello che ho sempre fatto. Si, vedo sempre il sole di Genova, ma il mio sole sarà quando firmerò un contratto con una squadra, tornando così in campo. Nella mia vita le cose mi sono andate sempre bene. Senza calcio non vivo. Lo faccio da 43 anni. Spero di rientrare, anche in una situazione disperata come mi è capitato svariate volte…».
La chiamano “Santo” dopo quello che ha fatto a Pavia…
«Pavia è stato il top. Salvare quella squadra, ultima a 9 punti dopo 20 giornate, che veniva da 16 partite e 2 punti. Fu una grande impresa la salvezza. Lo scorso anno ho ricevuto discrete richieste, che non si sono concretizzate per episodi particolari. Una squadra mi fece addirittura il biglietto aereo e poi non si fece più vedere. E’ un calcio che spero possa cambiare». (Giulio Cava)