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L’assoluzione di Modesto: le tappe della vicenda giudiziaria

Ricostruiamo le tappe della vicenda giudiziaria che nel 2016 sconvolse il mondo del calcio. E’ la fine di agosto del 2016 quando Francesco Modesto vive l’esperienza extra-calcistica più brutta della sua vita. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Cosenza bussano alla sua porta con un mandato d’arresto, richiesto dalla Dda di Catanzaro. E’ accusato di

L’assoluzione di Modesto: le tappe della vicenda giudiziaria

Ricostruiamo le tappe della vicenda giudiziaria che nel 2016 sconvolse il mondo del calcio.

E’ la fine di agosto del 2016 quando Francesco Modesto vive l’esperienza extra-calcistica più brutta della sua vita. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Cosenza bussano alla sua porta con un mandato d’arresto, richiesto dalla Dda di Catanzaro. E’ accusato di usura aggravata dal metodo mafioso. Un colpo durissimo per chi fino a quel giorno viveva di calcio. Pochi mesi prima dell’ingresso in carcere, aveva vinto il campionato di serie B col Crotone.

L’incredulità e l’ingresso nel carcere di via Popilia

All’attuale tecnico del Rende crolla il mondo addosso quando scopre che chi lo accusa, ovvero il pentito Roberto Calabrese Violetta, sarebbe quello che lo avrebbe truffato in un’attività intrapresa nel settore edilizio. La richiesta della Dda di Catanzaro è accolta in toto dal gip Distrettuale e per Francesco Modesto si aprono le porte della casa circondariale di via Popilia. Modesto rimarrà in carcere per quasi 15 giorni, il tempo necessario per preparare il ricorso al Riesame di Catanzaro che lo scarcera. Così inizia l’avventura col Rende, prima da giocatore e ora da allenatore, illudendosi che avrebbe chiuso la carriera col Cosenza, società che agli inizi del 2000 lo fece esordire in serie B all’età di 18 anni.

Le accuse della Dda di Catanzaro

Secondo la procura antimafia di Catanzaro, Modesto avrebbe prestato soldi a tassi usurai a un imprenditore edile di Cosenza, ex dirigente rossoblù negli anni 2000. Lo avrebbe fatto attraverso il suocero Luisiano Castiglia e il collaboratore di giustizia, Roberto Calabrese Violetta. Quest’ultimo lo accusa di far parte di un gruppo di usurai che avrebbe agevolato i clan cosentini, vale a dire quelli guidati dallo scomparso Michele Bruni e dagli italiani, tra cui Francesco Patitucci. Soldi, quelli ricavati dall’attività illecita, che sarebbero finiti nella “bacinella” delle cosche. Quel teorema accusatorio, però, perde consistenza già davanti al Tdl. La Dda di Catanzaro, infatti, non ricorre in Cassazione e procede spedita verso nuove indagini.

Le dichiarazioni del pentito e dell’imprenditore vittima di usura

Il pm Antonio De Bennardo cerca altri riscontri rispetto alle prime dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Calabrese Violetta. Parte così la richiesta di rinvio a giudizio e la conseguente decisione di Francesco Modesto di voler essere processato in abbreviato. Nel processo svoltosi a Catanzaro entrano diversi documenti. Confluiscono la prima sentenza di “Laqueo”, i verbali del pentito Calabrese, resi in dibattimento, e le dichiarazioni dell’imprenditore parte offesa. Ma la novità riguarda la contestazione che viene mossa a Francesco Modesto. Al reato di usura aggravata dal metodo mafioso si aggiunge l’associazione semplice aggravata dal metodo mafioso.

Linea difensiva degli avvocati di Modesto

Gli avvocati Pasquale Marzocchi e Leo Sulla insistono sull’inattendibilità di Calabrese Violetta, depositando anche la sentenza della Corte d’Assise di Cosenza sull’omicidio di Carmine Pezzulli. Quel processo spinge la Dda di Catanzaro ad evidenziare che Calabrese Violetta continuava ad intraprendere l’attività d’usura. In udienza è lo stesso pm antimafia Pierpaolo Bruni a comunicarlo al collegio giudicante.

Gli avvocati di Francesco Modesto fanno emergere inoltre che l’imprenditore edile aveva dichiarato di non aver mai conosciuto l’attuale allenatore del Rende, non ricevendo soldi con tassi usurai dallo stesso. La contestazione mossa dalla Dda di Catanzaro riguardava la somma di 30mila euro che sarebbe stata prelevata dal conto di Modesto e data in “prestito” alla persona offesa. In realtà, quella cifra fu consegnata da Roberto Violetta Calabrese in due momenti: in un caso 20mila euro e nell’altro 10mila euro.

Subentra anche la questione relativa ai lavori svolti dall’imprenditore edile nell’appartamento di Modesto, ma è sempre la parte offesa a dire che non sapeva che quella casa fosse di Modesto. Infine, si prospetta che altri movimenti bancari dal conto corrente di Modesto avrebbero permesso di individuare altri canali di usura nei confronti di altri due ex dirigenti del Cosenza. Anche in questo caso nessun riscontro alle parole del pentito.

Per i legali di Francesco Modesto non sussistendo il reato fine, ovvero quello di usura, non poteva essere messa in discussione l’associazione semplice aggravata dal metodo mafioso. Oggi la sentenza che conferma come quelle accuse contro Modesto non erano fondate. (Antonio Alizzi)

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