Due sacerdoti di Vibo sono accusati di tentata estorsione (mafiosa)
Due sacerdoti della provincia di Vibo Valentia sono accusati di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Due sacerdoti di Vibo Valentia, don Graziano Maccarone, segretario particolare del vescovo di Mileto, e don Nicola De Luca, reggente della chiesa Madonna del Rosario di Tropea, rischiano il processo. Su di loro pendono accuse gravissime formulate dalla Dda
Due sacerdoti della provincia di Vibo Valentia sono accusati di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose.
Due sacerdoti di Vibo Valentia, don Graziano Maccarone, segretario particolare del vescovo di Mileto, e don Nicola De Luca, reggente della chiesa Madonna del Rosario di Tropea, rischiano il processo. Su di loro pendono accuse gravissime formulate dalla Dda di Catanzaro. I preti infatti avrebbero minacciato un conoscente per avere indietro dei soldi che gli avevano prestato vantando amicizie con la cosca di ‘ndrangheta Mancuso di Limbadi. Maccarone, secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbe scambiato più di 3000 messaggi a sfondo sessuale con la figlia disabile del debitore.
Le accuse ai due sacerdoti
La complessa attività d’indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Vibo Valentia, e coordinata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e dal pm della Dda Annamaria Frustaci, risale al 2012. E’ il periodo in cui don Maccarone e don De Luca minacciano, secondo l’accusa, un uomo a cui avrebbero prestato complessivamente 9200 euro. De Luca avrebbe consegnato 2500 euro, mentre Maccarone ben 6700 euro. Somme che sarebbero dovute servire a compensare un debito contratto dalla vittima e dalla figlia con un’altra persona.
Questo debito, sfociato poi in un causa giudiziale, rischiava quindi di far scattare il pignoramento dei beni della figlia, motivo per il quale l’uomo si sarebbe deciso di rivolgersi ai due sacerdoti. In tutto ciò, il segretario particolare del vescovo di Mileto, don Graziano Maccarone avrebbe iniziato ad interloquire con la figlia dell’uomo, la cui disabilità è pari al 100%. Messaggi a sfondo sessuale conditi di foto hot e indumenti intimi che sarebbero stati recapitati direttamente al prete. Negli oltre 3000 messaggi, sarebbe emersa anche una richiesta di incontro in un albergo di pizzo che tuttavia, precisano gli inquirenti, non ci fu.
Maccarone, qualche mese più tardi, avrebbe assunto un atteggiamento diverso nei confronti dell’uomo, convocandolo in uno studio legale per affrontare la questione del debito e per chiarire la situazione “intima” con la figlia disabile, la cui presenza era stata richiesta all’incontro. Questo avviene tra dicembre 2012 e gennaio 2013.
La minaccia “mafiosa”
La vicenda, secondo la Dda, precipita quando l’uomo non riesce a saldare il debito e allora, dopo una successiva riunione tra i due sacerdoti e il debitore, don Maccarone avrebbe fatto riferimento ai suoi «“cugini di Nicotera”» legati alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso. La vittima, a quel punto, sarebbe pronta ad adempiere al suo debito, ma avrebbe richiesto, prima di pagare, una copia della liberatoria firmata dal creditore originario, che il segretario particolare del vescovo di Mileto avrebbe mentito di non avere. Invece, era in possesso di una scrittura privata.
L’aggravante mafiosa, secondo la Dda di Catanzaro, scatta nel momento in cui don Maccarone, in uno degli ultimi incontri, specificherebbe che «“il cugino mio è Luigi, il capo dei capi”». E in un secondo momento, avrebbe fatto contattare un parente di Nicotera, «ritenuto vicino al boss Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni” facendo poi arrivare, tramite don De Luca, il messaggio al debitore di stare attento “che avrebbe fatto una brutta fine”». Il denaro don Maccarone lo avrebbe recuperato «“per vie traverse”». Ora, però, i due sacerdoti rischiano di essere processati. Udienza fissata il prossimo 3 ottobre.