giovedì,Marzo 28 2024

Il suicidio assistito e la battaglia di Marco Cappato (per dj Fabo)

Qualche giorno fa sono stati depositati i motivi della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale lo scorso mese di Settembre, relativamente al caso di Marco Cappato, l’attivista dell’associazione Luca Coscioni accusato di istigazione al suicidio per aver accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, tetraplegico e non vedente, per l’ottenimento dell’assistenza alla morte

Il suicidio assistito e la battaglia di Marco Cappato (per dj Fabo)

Qualche giorno fa sono stati depositati i motivi della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale lo scorso mese di Settembre, relativamente al caso di Marco Cappato, l’attivista dell’associazione Luca Coscioni accusato di istigazione al suicidio per aver accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, tetraplegico e non vedente, per l’ottenimento dell’assistenza alla morte volontaria. C’è da dire che il procedimento a carico di Cappato parte a seguito dell’autodenuncia dello stesso alla Procura di Milano, la quale, dopo aver richiesto una archiviazione non accolta dal GIP, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., nella parte in cui non prevede la non punibilità di coloro i quali agevolano il suicidio di un malato terminale, non materialmente in grado di porre fine autonomamente alla propria esistenza.

Suicidio assistito, cosa dice la Corte Costituzionale

Nei motivi posti a base della decisione della Consulta si legge che non è punibile chi aiuta al suicidio – testuale -: «una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Il reato è, pertanto, non punibile a determinate condizioni, la cui verifica deve essere compiuta da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale. 

Va precisato che la sentenza non riguarda, dunque, l’eutanasia – che potrebbe ricondursi anche all’ipotesi di omicidio del consenziente ex art. 579 c.p. – bensì il suicidio assistito ed alla luce del fatto che il dibattito nell’opinione pubblica è acceso, occorre fare chiarezza sul punto, dal momento che i termini vengono spesso usati in maniera intercambiabile.

Cos’è vietato in Italia?

Nel suicidio assistito, infatti, il farmaco necessario ad uccidersi viene assunto in modo autonomo dalla persona malata, mentre si parla di eutanasia attiva quando un medico somministra il farmaco e di eutanasia passiva quando il sanitario sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona. In Italia sia l’eutanasia attiva che il suicidio assistito, così come l’aiuto al suicidio, sono vietati.

L’eutanasia passiva, invece, dal gennaio del 2018 è regolata dalla legge sul testamento biologico approvata durante la scorsa legislatura: stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito senza il consenso «libero e informato» della persona interessata, che può dunque rifiutarsi preventivamente, anche se questo dovesse provocargli la morte.

Divieto ad aiutare al suicidio

Tornando alla non punibilità su cui è intervenuta la Corte, essa è dunque subordinata al rispetto degli artt. 1 e 2 della legge sul testamento biologico, ma anche, lo si ribadisce, alla verifica delle condizioni richieste e «delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente». 

L’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. resta quindi parziale, poiché i Giudici ribadiscono con fermezza il divieto dell’aiuto al suicidio quale presidio fondamentale per la tutela dei pazienti fragili e gravi e negano il riconoscimento di un “diritto di morire”, dal momento che sia l’art. 2 della Costituzione che l’art. 2 della CEDU sanciscono il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo. Ciò che viene in sostanza affermato è, pertanto, che non può esistere un divieto assoluto di suicidio assistito poiché esso rappresenterebbe una limitazione irragionevole del diritto di autodeterminazione, da valutare caso per caso.

Alla luce di ciò si fa sempre più necessario, dunque, l’intervento del legislatore in materia, poiché se è vero che la sentenza stabilisce come a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non sia punibile, essa non interviene direttamente sul diritto al suicidio assistito, bensì sul soggetto che eventualmente sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire. Non solo, a decidere se sussistano le condizioni per escludere la punibilità sarà principalmente il Servizio sanitario nazionale.

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