Voltiamo pagina
Il calcio alle volte sa essere beffardo. Sui titoli di coda di Salernitana-Cosenza ripensavo a otto mesi fa e all’1-2 dell’Arechi: forse la vittoria più bella dello scorso campionato. Una partita “senza pensieri”, per dirla alla Gomorra, con la salvezza in tasca e la soddisfazione sportiva di conquistare tre punti al novantesimo, con una prodezza di
Il calcio alle volte sa essere beffardo. Sui titoli di coda di Salernitana-Cosenza ripensavo a otto mesi fa e all’1-2 dell’Arechi: forse la vittoria più bella dello scorso campionato. Una partita “senza pensieri”, per dirla alla Gomorra, con la salvezza in tasca e la soddisfazione sportiva di conquistare tre punti al novantesimo, con una prodezza di Palmiero, in una delle rivalità più acerrime per i Lupi. Probabilmente, una delle migliori partite della gestione Braglia.
Quel cerchio si è chiuso proprio a Salerno. Con lo stesso punteggio, ribaltato. E di nuovo con la squadra, che avrebbe dovuto giocare col sangue agli occhi (stavolta il Cosenza, allora i campani), senza nerbo né rabbia agonistica, svuotata. Incapace di chiudere in copertura sulle incursioni, quasi identiche, che hanno portato la Salernitana a pareggiare e vincere la sfida già nel primo tempo. In più, una serie di scelte discutibili sulla formazione iniziale – su tutte quella di Trovato, inguardabile e non interamente per colpa sua. E tutto questo non può che avere nell’allenatore uno dei responsabili (se non il principale).
Chi segue questo blog sa che ho sostenuto Piero Braglia sempre. Against oll odds, come dicono in terra d’Albione. E probabilmente si domanderà perché non faccio lo stesso ora. La prima risposta è che la coerenza è una virtù che, fortunatamente, non mi appartiene. Mio padre conservava con sé una frase: Si possono portare le proprie idee a destra o a sinistra, purché rimangano immutate. La vedo esattamente come lui. Non ho difeso Braglia, ma il Cosenza, e la convinzione che Braglia fosse la soluzione alle difficoltà che stiamo incontrando. In una stagione, vale la pena ricordarlo, nella quale la rosa è stata allestita con colpevoli ritardi, dove aleggiano i fantasmi di Lazaar e Schiavi, un esterno e un difensore centrale che in questo momento servirebbero come il pane. E, dopo le due vittorie contro Pisa ed Empoli, ero persuaso che Braglia avesse trovato la chiave di volta del campionato. Questa è la vera squadra, ho urlato sullo 0-3 all’Arena Garibaldi, e credevo di averne le prove.
Invece la sconfitta con il Crotone ha messo a nudo ancora una volta le carenze del reparto difensivo. Mi spiace fare nomi, ma non ho amicizie né tra i calciatori né tra i procuratori (e iddio me ne scampi): elementi come Corsi, Idda e Capela funzionavano lo scorso anno con Dermaku come guida difensiva, un ruolo che Monaco non è mai riuscito davvero a interpretare. È il motivo per cui ho sperato che, già prima del derby con i pitagorici, potesse arrivare uno stopper di ruolo. Purtroppo le carenze, di cui sopra, il 2-1 dell’Arechi le ha confermate, con l’aggiunta di qualche incertezza di Perina sui gol subito. Segno che, dietro, le cose non funzionano per mancanza di una leadership. Solo con Circati e Voria avevamo visto di peggio.
Chiedere l’esonero di un tecnico a me non è mai piaciuto. Prima di tutto perché quello dell’allenatore è un lavoro, e io il lavoro lo rispetto. Chi fa un lavoro collettivo, poi, sa che si sbaglia spesso. E l’allenatore non è chi non sbaglia, è un fesso chi lo pensa, ma chi sa capire chi ha sbagliato e cosa e dove, e insieme ai giocatori apporta le correzioni.
Il secondo motivo per cui non amo chiedere l’esonero è che, come tutti sanno, l’allenatore paga per tutti – e questo a me spiace, perché vorrei invece veder pagare tutti i responsabili di questo terzultimo posto. Il terzo è che, spesso, non serve. Lo dimostra, per esempio, la storia recente dell’Empoli: retrocesso dalla A dopo un discutibile cambio Andreazzoli-Iachini-Andreazzoli; in zona playout in B dopo aver sostituito Bucchi con Muzzi, ora pure lui sulla strada dell’esonero.
U pisci puzza d’a capu, dice la saggezza popolare cosentina, e vale anche qui. Senza che l’adagio citato implichi alcun riferimento alla capigliatura del presidente, credo che Guarascio ora dovrebbe avere il coraggio di presentarsi in conferenza stampa e chiedere scusa alla città, nel momento in cui la B conquistata dopo 15 anni è dannatamente a rischio. Purtroppo non lo ha fatto dopo l’episodio del “gol fantasma” di Sciaudone, e temo non lo farà nemmeno qualora si presentasse accanto a un nuovo allenatore.
Non è questa la sede per lanciare il “toto nomi”. Anche perché, per quanto mi riguarda, farei un torto a uno dei cinque allenatori (Vignolini, Zsengeller, Di Marzio, Sonzogni e Braglia) capaci nella nostra storia di portare il Cosenza in serie B. Una persona seria, onesta, calcisticamente preparata, forse non abbastanza smaliziata per cogliere fino in fondo la complessità di certi meccanismi che girano oggi attorno al calcio, che ha preso in mano una squadra allo sbando nell’autunno 2017 e l’ha condotta a vincere i playoff, senza dubbio la più grande impresa sportiva dei suoi cento anni e più. E che poi, con la stessa rosa (o quasi) che aveva chiuso quinta in campionato in C, ha ottenuto una salvezza tranquilla in B.
Lo scrissi già mesi fa, lo riscrivo ora. Un allenatore così avrebbe meritato ben altro trattamento da parte della società già in sede di mercato estivo. E, dopo aver guadagnato 20 punti al termine del girone d’andata, ponti d’oro per puntellare questa rosa. Si ripete una storia triste, quella del 1998, quando a Sonzogni fu scippato (le “vedove” di Pagliuso se lo ricordino) Stefano Morrone dopo appena sette presenze in B, prendendo al suo posto Scaringella e scaricando sul tecnico di Zogno la responsabilità dei risultati che arrivavano più. Stavolta lo scippo non c’è, ma Piero Braglia una vera squadra l’ha avuta a disposizione soltanto al primo anno in C. Il resto sono stati surrogati, più o meno riusciti.
Il titolo di questo post è meno scontato di quanto possa apparire. Spesso nella vita diciamo voltiamo pagina per andare avanti, oltre qualcosa. Per me voltare pagina sta invece pianamente nella metafora del libro. Quando volti pagina, sei uno sciocco se dimentichi quello che hai letto prima, se pensi di poter fare a meno di come sei arrivato fin lì.
Voltare pagina a questo punto significa due cose: esonero o dimissioni. La prima sarebbe un’assunzione di colpa da parte della società. La seconda un atto d’orgoglio del tecnico. In entrambi i casi sarebbe sportivamente doloroso, per l’uomo che dobbiamo lasciarci alle spalle. Al di là degli errori di Braglia, quello che dobbiamo capire è che i suoi ultimi, quasi disperati tentativi di raddrizzare il Cosenza ci raccontano due possibili verità: un tecnico che, dopo aver affrontato e superato mille problemi, è entrato in confusione; oppure una squadra irrecuperabile, oltre il valore reale della rosa, bisognosa di una scossa tecnica autorevole e di innesti importanti, senza i quali sarà difficile salvare la pelle. A prescindere dalle scelte della società e del tecnico, una brutta situazione che spezza il fiato all’entusiasmo rinato attorno ai colori rossoblù dopo anni grigi e neri. Voltiamo pagina, ma ricordiamoci tutto. I conti si faranno alla fine.