La tua ingratitudine
La tua ingratitudine, la tua arroganza (…) ringrazia il cielo che sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro. Questo sono io. Venerdì sera al Festival di Sanremo, davanti a milioni di telespettatori, un discreto cantante indie (Bugo) e un talentuosissimo autore allo sbando da anni (Morgan) hanno regolato in diretta tv i
La tua ingratitudine, la tua arroganza (…) ringrazia il cielo che sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro. Questo sono io. Venerdì sera al Festival di Sanremo, davanti a milioni di telespettatori, un discreto cantante indie (Bugo) e un talentuosissimo autore allo sbando da anni (Morgan) hanno regolato in diretta tv i conti del loro rapporto artistico (e personale). La gente si è divisa: ha fatto bene o no Bugo a lasciare il palco? Nel nostro piccolo mondo capovolto, è accaduta la stessa cosa con la conferenza stampa del 6 febbraio. Guarascio, Trinchera e Braglia: tutti allo stesso tavolo. E molti, fuori, si attendevano parole di fuoco da parte dell’ultimo contro i primi due. Insomma, un regolamento di conti pubblico alla Morgan: se ci pensate le parole citate in apertura, avrebbero potuto stare tranquillamente sulla bocca dell’allenatore, ricordando la promozione in B di due anni fa. Piero Braglia non l’ha fatto, e la vulgata popolare lo ha trasformato da “eroe” a “complice” e “traditore” dei primi due.
Un allenatore che si mette pubblicamente contro il proprio datore di lavoro può essere affascinante, ma la vita reale non è Fight club e Braglia non è Tyler Durden che si fa licenziare dopo essersi picchiato da solo. Fare come Morgan può sembrare una figata, ma la verità è che i conti dei rapporti si regolano in privato e non in pubblico. Tutti siamo, a tratti, un po’ scontenti del nostro capo e magari glielo diciamo anche in faccia (o alle spalle). E Braglia ha fatto sicuramente entrambe le cose. Ma quello che non possiamo (e non poteva fare nemmeno lui) è lavare quei panni in piazza. Poteva dimettersi – e glielo avevo consigliato. Restare in sella è stato un grosso rischio, per lui e per noi. Spero che lo faccia per convinzione, e non per inerzia.
Sicuramente, all’età che ha, non lo fa per soldi. E, chi lo pensa, più che in malafede è poco lucido proprio come chi accusa Pierini (al quale non ho mai risparmiato critiche su questo blog) di aver sbagliato apposta la punizione in area contro il Benevento. Accanimenti che sono entrambi indice del peggioramento del clima attorno al Cosenza. Così come non mi sono piaciuti i fischi a fine gara a D’Orazio – colpevole dell’errore che ha portato al gol di Insigne, l’unico vero errore della retroguardia nell’arco di novanta minuti contro lo schiacciasassi del campionato.
Le cacce alle streghe non portano mai a nulla di buono. Resto convinto che il vero problema di questa squadra (e Pierini ne è la prova) non sia tecnico – non si spiegherebbe, ad esempio, la buona prova di Pescara, nonostante il risultato – ma psicologico. E le 5 sconfitte di fila ovviamente lo acuiscono. Giocatori come Lazaar (lo ha detto bene Braglia sabato), Pierini, Machach e Kanouté hanno i mezzi tecnici, ma non gli strumenti per mordere le gare che ci attendono.
Sulla punizione in area, tutti ci saremmo attesi da Pierini una botta secca, dritto per dritto. Vederlo spedire il pallone in meta alla ricerca dello spazio tra la barriera e la traversa, invece, è perfettamente in linea con chi è convinto di meritare altri stadi, altre maglie, e quindi sempre alla ricerca del gesto tecnico che gli permetta di dire Ve l’avevo detto, no, che qui al Marulla sono solo di passaggio…
Ed è questo, oggi, il problema principale di questa squadra. Poco operaia, scarsamente aggressiva, zero umiltà (come il passaggio orizzontale di Kanouté a Pescara, che propizia l’espulsione di Sciaudone), senza la raggia che invece, con tutti i suoi limiti, aveva un anno fa. L’involuzione da Pescara alla sconfitta con il Benevento è forse la cosa più preoccupante. Soprattutto perché, nelle prossime gare, i rossoblù affronteranno tra gli altri Livorno, Venezia, Cremonese e Trapani – tutti scontri diretti verso l’obiettivo minimo, in questo momento, di agguantare i playout. In mezzo un paio di gare difficili (Frosinone) o contro formazioni in lotta playoff (Cittadella, Chievo ed Entella). Braglia ha indicato in 25 i punti necessari per salvarsi: queste sono gare in cui il Cosenza non può permettersi di non farne almeno quindici – e ricordo che, finora, ne abbiamo fatti 20.
Inutile nascondersi – e liberissimi di impallinare il sottoscritto per la personale convinzione sulle qualità di questa squadra: arrivati a questo punto, e a prescindere dalle mie valutazioni, salvarsi è un’impresa. Il primo posto utile per la permanenza diretta in B è distante 9 punti. I playout (in attesa del recupero della Cremonese) a 3 e 7 lunghezze. Ma, paradossalmente, è proprio l’impresa ciò che spero possa servire a questo Cosenza. Non la salvezza in sé, ma la rimonta, con la necessità urgente di tirare fuori gli attributi e cominciare a vincere dopo due mesi a secco di punti.
E Livorno è davvero l’ultima spiaggia. Non ci saranno prove d’appello. I tre punti sono l’unico risultato possibile. Ci arriviamo divisi, arrabbiati e pieni di sospetti verso singoli giocatori. Un clima pessimo, al quale invito si salvi chi può a sottrarsi, e del quale sono responsabili tutti, la società più di chiunque altro. Vedere domenica al fischio finale il presidente Vigorito a bordo campo, per sostenere il suo Benevento, una squadra che ha quasi venti punti di vantaggio sul terzo posto (e che, quindi, potrebbe essere già con la testa in vacanza), e ripensare alle parole di Guarascio che stigmatizza come “isolate” le contestazioni e se la prende con la stampa colpevole di enfatizzarle, è la plastica rappresentazione della distanza siderale dalla realtà del presidente.
Mi rendo conto che sia in fondo più semplice fischiare D’Orazio o prendersela con Pierini che saluta un avversario a fine gara, accusare Braglia che tarda a inserire Lazaar o Trinchera che non trova un difensore centrale utile alla causa. La verità è che una proprietà seria, oggi, troverebbe il modo di mettere tutti spalle al muro. Non averlo fatto, per tornare alla canzone di Bugo e Morgan, è Sincero sulle intenzioni del presidente, sull’interesse che ha nei confronti del calcio e di questa città. Ed è, purtroppo, terribilmente triste.