domenica,Marzo 26 2023

Cosenza, la storia di quando la terra trema: date e luoghi

La storia sismologica della Calabria si intreccia alla storia delle nostre istituzioni. Ripercorrere quando la terra trema significa scoprirci quelli che siamo e che siamo stati. Non è del tutto un inedito, insomma, quel che è successo nel pomeriggio del 25 Febbraio, quando Cosenza e Rende e aree limitrofe si sono riversate per strada, intontite

Cosenza, la storia di quando la terra trema: date e luoghi

La storia sismologica della Calabria si intreccia alla storia delle nostre istituzioni. Ripercorrere quando la terra trema significa scoprirci quelli che siamo e che siamo stati. Non è del tutto un inedito, insomma, quel che è successo nel pomeriggio del 25 Febbraio, quando Cosenza e Rende e aree limitrofe si sono riversate per strada, intontite da quell’indocile boato improvviso. 

La memoria storica calabra racconta ancora il tremendo terremoto di Messina e Reggio del 1908; nella tradizione collettiva, anzi, il lutto messinese fu persino più grave e prendendo le mosse dalla sgomenta emergenzialità di quel sisma Massimo La Torre dedicò uno splendido libretto alla storia giuridico-politica della città. 

Quando la terra trema nella Valle del Crati

Nella valle del Crati abbiamo indizi di un terremoto forse parimenti intenso, ma poco quantificabile nei danni che vi furono, nel 1184; nel 1767, quasi sei secoli dopo, in una Calabria secondo Le Goff ancora dall’economia feudale, ma in cui le nascenti idee illuministiche cominciavano a circolare, Luzzi, Rose e l’attuale Castiglione sono malamente asfaltate. I danni riverberano, e molto, anche in centro città. Lo spavento si ripete (persino più forte, secondo le stime sulla gradazione di quel terremoto, che pure a secoli di distanza e con criteri diversi di misurazione sono più complicate) nel 1854.

È una Calabria contemporaneamente simile e radicalmente opposta a quella del 1767: ci si avvia all’unificazione; serpeggiano idee socialiste, repubblicane, carbonare. Avremo da lì a pochi decenni testimonianza di attivi circoli anarchici e radicali, attenzionati con non sorprendente continuità da vecchio e nuovo regime. Bisognerebbe tornare a riflettere sull’incriminazione per reati politici prima e dopo l’intervenuta unità d’Italia: al netto delle certo specifiche contingenze, le sospette cospirazioni, le censure sulla stampa, la repressione, a volte persino gli stessi imputati … non sembrano poi molto cambiare. E sedici anni dopo il 1854, sotto le insegne regio-savoiarde, il terremoto si prende la scena del lutto: si stimano cinquecento morti tra Aprigliano e Cosenza, tra Longobucco e Mangone, tra Rogliano e Rovito.

Cosa succede dal 1980 in poi?

La terra ballerà e ballerà più volte fino al fine del secolo lungo, disciplinandosi appena nel secolo breve. Anche nella paura, il pop ci mette lo zampino e allora arriviamo allo sconvolgente terremoto notturno del 20 febbraio 1980: roba di quarant’anni fa, roba di ieri, di come stavamo ieri. Un’immagine vivida e impattante di una città diversa, che però aveva forse dalla propria l’ingenuità di prime, grandi, speranze. Il 1980 è sul crinale di due fasi completamente diverse nella vita pubblica italiana. 

Subito prima gli apparentemente plumbei e divisivi anni Settanta, subito dopo la transizione alla tv commerciale che, insieme all’uso politico del debito e dell’impiego pubblici, darà l’illusoria ventata di un nuovo boom economico. Anche le abitudini sociali diffuse sono ancora a metà strada, nonostante la vera transizione nell’agire collettivo e nella legislazione civile sia avvenuta tra il 1968 e il 1977. Negli anni Settanta la criminalità percepita è poi soprattutto quella extraparlamentare, quella sovente fatta percepire come tale; nei primissimi Ottanta l’Italia scopre la violenza delle mafie; le faide a Napoli, a Palermo, a Reggio Calabria (in modi e consistenze diverse a Cosenza). 

La classe dirigente e gli istinti predatori

La classe dirigente meridionale nei decenni precedenti aveva molto a cuore il tema della prevenzione sismica e più in generale della disciplina edilizia e urbanistica. Se vediamo il sacco dell’Irpinia, si comprende bene come prevalsero i soli istinti predatori. 

Il politico socialista Giacomo Mancini aveva carezzato l’idea di riformare per intero la materia, ma s’era poi convinto che fosse necessario un pacchetto di modifiche transitorie per preparare una nuova stagione di intervento pubblico in edilizia, urbanistica e viabilità (la cd. Legge ponte, n. 765 del 1967). 

A Cosenza, lungo tutti gli anni Sessanta, è intensa la produzione scientifica di un magistrato locale, il giudice Gentile, che dedica anche allo specifico delle misure antisismiche corposi lavori monografici nazionalmente pubblicati e articoli a stampa sulle diverse testate del dibattito giuridico e giurisprudenziale. 

Dallo Stato sociale al coro degli ultrà

Il know how di quel mondo intellettuale – che fosse politico, amministrativo o dottrinale – si è purtroppo largamente disperso nelle stagioni successive. Mancini era un socialista, impegnato nella politica attiva, nella rappresentanza parlamentare; Gentile, di intrinseche ma remote simpatie repubblicane, tuttavia, non fece mai parte del mondo politico – anche perché visse con monastica separazione la funzione giurisdizionale che ricopriva, rispetto alle altre forme del fenomeno associativo. Eppure gli uni e gli altri esprimevano la felice sorpresa di una generazione di studiosi che credeva nell’ampliamento responsabile dello stato sociale, persino in modo paternalistico, nel beneficio di una Calabria che si doveva liberare dai vecchi condizionamenti dal punto di vista formativo, lavorativo, infrastrutturale e culturale. 

Cinquant’anni dopo, e con una certa amarezza in ragione delle intervenute e poco leggibili modificazioni sociali ormai internazionali, siamo drammaticamente allo stesso punto. Con l’immissione dei giovani nel lavoro che è ostruita da leggi alluvionali, ma fondamentalmente poco garantistiche; con la mobilità periferica che insegue ancora l’autostrada e la ferrovia; col boato di un terremoto. Che accende di empatica paura i cuori di chi si abbraccia nei parcheggi e negli androni; che fa traballare come una miccia minacciosa i centri storici tutti. Gli ultrà, guasconi fino in fondo, ancora allo stadio cantano: “in un boato che farà tremar la terra e il mar … “. 

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