venerdì,Marzo 29 2024

Lettera di un’educatrice di Casali del Manco: «Ed io, avrò cura di te»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Savina Donato, educatrice professionale socio-pedagogica, pedagogista e mediatrice familiare. Era l’11 marzo, il sole splendeva alto tra le montagne e, tra i raggi, faceva capolino una nuova speranza di vita. Sarebbe dovuto essere un giorno come tanti, quasi vicino al vento primaverile, ai giochi all’aria aperta e all’esplosione energica

Lettera di un’educatrice di Casali del Manco: «Ed io, avrò cura di te»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Savina Donato, educatrice professionale socio-pedagogica, pedagogista e mediatrice familiare.

Era l’11 marzo, il sole splendeva alto tra le montagne e, tra i raggi, faceva capolino una nuova speranza di vita. Sarebbe dovuto essere un giorno come tanti, quasi vicino al vento primaverile, ai giochi all’aria aperta e all’esplosione energica dei cuori dei piccoli. Un giorno che, ahimè, avrebbe cambiato il concetto di resilienza nella forza dell’umanità, soprattutto nel cuore dei più innocenti, cammino vivido del nostro futuro. Con l’emanazione del decreto #IoRestoACasa (esemplare, eccellente) sono state menzionate le più disparate situazioni, emergenze, regole e accortezze da seguire, fatta eccezione per il settore sociale.

Quali le parole di conforto per tutti gli educatori e operatori che lavorano in strutture a regime residenziale 24h su 24h, come una casa famiglia, un centro d’accoglienza o centri riabilitativi? Quali i provvedimenti di sostegno per tutti coloro che, vorrebbero condurre uno stile di vita nel rispetto delle regole ma devono pur recarsi al lavoro, con l’angoscia e la paura di arrecare danno ad un bambino ospite nelle strutture citate sopranzi? Era il 12 marzo. Cambiava il colore della Terra ma non il mio tempo, non il mio lavoro in casa famiglia, sobbarcato, ad oggi, di ingiustizie e dimenticanze da parte delle varie istituzioni.

Come spiegare ai 9 minori presenti in struttura che i Tribunali hanno dimenticato nell’oblio i decreti previsti per ciascuna emergenza, per ciascun spiraglio di luce li riguardasse? Sospesi, quindi, gli incontri con le famiglie d’origine (nei casi ove ciò sia possibile); sospesi gli incontri settimanali con le famiglie affidatarie; sospesi gli incontri protetti (nei casi più delicati e restrittivi); sospese le visite in struttura. Sospesi, in soldoni, tutti gli agganci ai cordoni ombelicali. Come sopperire alle crisi d’ansia, alle paure o all’astinenza da sostentamento psicologico? Sospese tutte le psicoterapie ed i colloqui psicologici utili al benessere  psicofisico dei minori.

Altra zavorra da trascinare, in questo marasma, la sospensione delle attività sportive, ludiche e oratorie. Come poter supportare la crescente e giustificata energia dei nostri bambini, vogliosi di scaricare tutta la tensione accumulata in questa “vacanza forzata”? Da aggiungere, non per poca importanza, sebbene citata solo adesso, la chiusura di qualsiasi scuola, definita, per antonomasia, l’istituzione volta a garantire un bene fondamentale: l’istruzione, unica arma fulminante in un mondo che procede a rovescio. Maestri e professori, di qualsivoglia ordine e grado, hanno intrapreso la strada della tecnologia (piattaforme online, gruppi whatsapp), al fine di accertare la chiusura dei programmi.

Come garantire un bene primario, quale l’apprendimento multidisciplinare, quando le scuole diventano 9 (ovviamente tutte diverse), tanto il materiale ed urgenti le richieste di consegna? Come poter rispettare tutto questo tempo se, nonostante i turni al collasso, nessuna istituzione ascolta le nostre richieste d’aiuto? Vietati (con giusta causa) gli assembramenti di persone, ragion per cui, in una struttura del genere, possono e devono ruotare sempre le stesse persone. Se per ogni 5 minori è previsto un educatore, come assicurare una turnazione non al collasso, dal momento che la “vacanza forzata” è diventata di 24 h? Educatori allo stremo, lasciati in solitudine a trascinare un carico morale di elevata portata. Educatori senza stipendio, denigrati nella loro stessa professionalità, definiti come coloro “tanto ce la fanno, devono solo guardare sti ragazzi”. Non è così.

La missione di noi educatori è di accogliere i più piccoli con amore, calore e gioia. Nel nostro giuramento prevale la parola d’ordine: pre-occuparsi dell’altro, mettendoci a completo servizio, abbassandoci al livello di un cuore fanciullesco, per poi rialzarci come faro di guida. Nella nostra legge prevale il senso d’umanità, raccolta a brandelli nelle storie strazianti di ogni bambino che, nonostante le torture donategli dalla vita, mostrano un sorriso e tanta voglia di farcela.

In ogni pezzo del loro cuore è possibile leggere la veridicità del so-stare insieme, rispettando tempi e modi di crescita; inchinandosi, ancora una volta, all’infanzia rubata, maltrattata e derisa, ponendo semplici parole di conforto, nonché una giusta preparazione professionale. “Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia” (dal film Patch Adams).

Noi ce la faremo insieme, grandi e piccoli, con la dovuta dose di resilienza, emozioni e coraggio. Ad ogni bambino: “Perché tu sei un cielo, perché tu sei un cielo pieno di stelle. Ti darò il mio cuore. Perché tu sei un cielo, perché tu sei un cielo pieno di stelle. Perché illumini il sentiero” (traduzione dal testo A sky full of stars, Coldplay). Affinché ogni sentiero diventi meno ripido e massacrante. Con l’auspicio venga acceso un barlume di luce in questa dimenticata professione dell’educatore. (*educatrice professionale socio-pedagogica, pedagogista e mediatrice familiare).

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