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COSA CI SALVERÀ DALL’EPIDEMIA/1 – I FARMACI

In una sola parola, l’unica cosa che conta adesso, si chiama cura. E non è una via breve. Negli ultimi due mesi, la ricerca spasmodica di una soluzione scientifica, ha portato gli esperti di tutto il mondo a mettere in campo ogni talento, intuizione, esperienza per dare al pianeta quello di cui ha più bisogno: la speranza

COSA CI SALVERÀ DALL’EPIDEMIA/1 – I FARMACI

In una sola parola, l’unica cosa che conta adesso, si chiama cura. E non è una via breve. Negli ultimi due mesi, la ricerca spasmodica di una soluzione scientifica, ha portato gli esperti di tutto il mondo a mettere in campo ogni talento, intuizione, esperienza per dare al pianeta quello di cui ha più bisogno: la speranza di una guarigione. L’obiettivo è arrivare a un vaccino il prima possibile. E il prima possibile era già ieri. Intanto distinguiamo tra la somministrazione, ai malati di Covid, di farmaci già esistenti, che hanno dimostrato una certa efficacia per combattere i sintomi del virus, e il percorso che condurrà (si spera) a un vaccino che dovrebbe immunizzare tutta la popolazione sana e impedire che questa patologia continui a dilagare.

Fino a questo momento, la Cina, che è il Paese da cui tutto è nato, è quello che ha dettato un po’ il ritmo della ricerca sia su un versante che sull’altro. Oggi parliamo di cure e cominciamo dall’inizio. 

E venne chiamato Covid-19

È il 9 gennaio, siamo a dieci giorni dall’individuazione del primo focolaio a Wuhan, nel cuore dell’Oriente. I ricercatori cinesi studiano un nuovo agente patogeno che attacca le vie respiratorie, e riescono a isolare un nuovo ceppo di coronavirus, che viene chiamato 2019-nCoV. A dargli un nome definitivo, quello che oggi ci è tragicamente familiare, è l’Organizzazione mondiale della Sanità che lo battezza Covid-19 (cioè Coronavirus disease 2019), il virus che causa la malattia vera e propria, viene chiamato Sars-CoV2, per le sue similitudini con il virus Sars. E sulle somiglianze si basano alcune delle terapie che oggi vengono applicate per migliorare la condizione dei pazienti Covid-19. 

I FARMACI ALLEATI

Remdesivir

Il primo farmaco a cui viene dato il via per l’utilizzo off label (cioè fuori dai casi indicati) è l’antivirale Remdesivir. Si tratta di una molecola che impedirebbe al virus di invadere le cellule e replicarsi. A produrlo è la Gilead Sciences, un’azienda americana, che concede al China-Japan Friendship Hospital di Pechino di utilizzare per il farmaco in via sperimentale, dopo averlo testato con risultati soddisfacenti, su un paziente di Snohomish, Washington, sofferente per una polmonite da Covid-19. In Italia i primi a sottoporsi a Remdevisir sono due cittadini cinesi che hanno scoperto la malattia durante una visita turistica a Roma. Vengono ricoverati allo Spallanzani nel mese di febbraio. Saranno dimessi un mese dopo. Il 7 marzo, il primario della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, annuncia che il primo guarito dopo il trattamento con Remdesivir è un paziente di 79 anni.

Tocilizumab

Anche qui, il primo colpo di bacchetta è cinese ma l’Italia segue a ruota, dando subito il via alla sperimentazione su pazienti. Capofila per il nostro Paese è la Fondazione Pascale di Napoli. Il Tocilizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato, solitamente utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide. Questo tipo di anticorpi si rivela fondamentale per la cura di malattie cosiddette “autoimmunitarie”, quelle patologie, cioè, in cui, per ragioni spesso sconosciute, le difese dell’organismo, anziché difendere il corpo, lo attaccano. E per il Covid-19 si verifica proprio questo: il corpo risponde al virus rilasciando un quantità eccessiva di citochine, tra cui le interleuchine-6 che provocano come effetto collaterale, una iper-infiammazione che divampa nel disperato tentativo di difendere l’organismo.

Ivermectina

Questa volta sono gli australiani a condurre uno studio su un farmaco, l’Invermectina (ma in qualche modo anche qui c’entra l’Oriente, questa volta il Sol Levante), che sembra dia risultati eccellenti, tanto da far gridare quasi al miracolo, dando per buoni i titoli che lo danno come panacea contro il male del momento. Secondo questi studi, il farmaco, usato tra gli altri come cura per malattie causate da parassiti e anche in ambito veterinario, riuscirebbe a bloccare la carica virale del Covid-19 in sole 48 ore. Ma ancora non ci sono sufficienti appigli empirici per poterlo incoronare cura regina.

Le avermectine, di cui l’ivermectina fa parte, sono state scoperte nel 1975 da due studiosi: Satoshi Ōmura (Università Kitasato di Tokyo) e William Cecil Campbell (Merck Institute for Therapeutic research) . Questa scoperta li portò a conquistare il Premio Nobel per la medicina nel 2015. Oggi il farmaco, che ha pochi effetti collaterali, lo troviamo nella lista ufficiale delle “Medicine essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità”. Parliamo, dunque, di un antiparassitario. Ma come può avere effetto contro un virus? La risposta parla italiano. Nel 2005, infatti, i ricercatori Ibf-Cnr Eloise Mastrangelo e Mario Milani, alla guida di un gruppo di biologia strutturale scoprirono che l’ivermectina, oltre che un antiparassirario aveva anche effetti da antivirale.

Ruxolitinib

A marzo la casa farmaceutica produttrice del Ruxolitinib concede ai medici dell’Annunziata di Cosenza il via libera per l’utilizzo su pazienti Covid-19. La sperimentazione parte in contemporanea con altri ospedali italiani, ma Cosenza ottiene per prima il lasciapassare ufficiale per l’applicazione secondo i metodi legali. È un farmaco usato per spegnere l’infiammazione in pazienti affetti da mielofibrosi. Anche qui la spia è la reazione autoimmune scatenata dall’infiammazione conseguente al virus, con conseguente rilascio di una quantità eccessiva di citochine (tra cui l’interleuchina-6) proprio come avviene nei malati di mielofibrosi

Eparina

Da qualche giorno l’Eparina, che è un anticoagulante, è balzata agli onori della cronaca, come farmaco potenzialmente efficace per combattere gli effetti del Covid-19. Alcuni medici hanno osservato come la morte di molti pazienti, malati di Covid-19, sia stata causata da una trombosi massiva, cioè dalla formazione di coaguli nel sangue che ostruendo le vene profonde arrivano anche a bloccare la circolazione.

Di qui danni non solo ai polmoni ma anche ad altri organi. Già il 22 febbraio, Paolo Prandoni, del Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari dell’Università di Padova scriveva: «Le cronache provenienti dalla Cina riportano spesso decessi “improvvisi” tra i ricoverati per polmonite da coronavirus. Non escluderei che in qualche circostanza sia stata proprio un’embolia polmonare ad assestare il colpo di grazia. Tutti i soggetti che in questi giorni vengono ricoverati per polmonite imputabile al Coronavirus dovrebbero ricevere (in assenza di controindicazioni) l’instaurazione di una profilassi con basse dosi di eparina. Tale provvedimento, che ha carattere d’urgenza (va cioè adottato sin dall’inizio dell’ospedalizzazione), non interferisce con alcuna delle terapie antivirali/antibiotiche che vengono abitualmente impiegate».

E infine il “caso Avigan”

Chiamarlo caso non è un caso. La ribalta per L’Avigan, o Favipiravir, è arrivata dal Giappone per mano di un giovane commerciante italiano, dopo un post su fb. Immediatamente, forse un po’ troppo, il governatore del Veneto Zaia, ha sollecitato l’applicazione immediata nei suoi ospedali di questo farmaco antivirale che, a detta del ragazzo, era l’arma segreta del Giappone per superare l’emergenza mondiale senza quarantena. Peccato che, come ci confermò a fine marzo il giornalista Pio D’Emilia, inviato storico in Giappone per Sky, che il farmaco in questione (sperimentato su un range molto basso di pazienti affetti da Covid-19) non si trovi neanche in commercio e che anzi, venne ritirato dalla grossa distribuzione anni fa (ed è in ri-sperimentazione) per i forti effetti collaterali che manifestava sulle donne incinte.

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