giovedì,Marzo 28 2024

Il Sud, l’eterno capro espiatorio

Un esperto di storia politica del cristianesimo (Agamben, Badiou, Legendre), citando San Paolo che si preoccupava della condizione dei suoi primi fratelli nella fede, potrebbe dire che siamo diventati l’immondizia di tutti, la spazzatura del mondo. E, in effetti, sentendo almeno parte del mainstream giornalistico anche televisivo, parrebbe che il Sud sia il perfetto capro

Il Sud, l’eterno capro espiatorio

Un esperto di storia politica del cristianesimo (Agamben, Badiou, Legendre), citando San Paolo che si preoccupava della condizione dei suoi primi fratelli nella fede, potrebbe dire che siamo diventati l’immondizia di tutti, la spazzatura del mondo.

E, in effetti, sentendo almeno parte del mainstream giornalistico anche televisivo, parrebbe che il Sud sia il perfetto capro espiatorio, la zavorra preferita per ogni male. Non ci hanno risparmiato questi commenti nemmeno al tempo del Covid-19, quando ci si sarebbe imposto di pensarci nemmeno come Stato, ma come comunità mondiale. Che peso ha lo sfruttamento del lavoro nella propagazione del virus in alcuni distretti produttivi? Che ruolo svolge il sovraffollamento, spesso di classi sociali emarginate, in istituzioni come il carcere? Perché le organizzazioni internazionali non hanno agito di concerto nella fase immediatamente successiva alla scoperta dei primi contagi?

Con raffinatezza argomentativa che i salotti buoni hanno apprezzato solo post mortem, Massimo Bordin invitava a non esasperare l’idea di complotti, di trattative, di sotterfugi mai chiariti. Era un tributo di schiettezza: spesso le responsabilità, è vero, sono contorte e plurime; davanti ai nudi dati di sostanza sono però non di rado tracciabili, arguibili, verificabili.

Oggi leggiamo del Sud salvato dai contagi (ovviamente non è vero: ce ne sono, e in alcune zone sono stati e sono superiori alla risposta sanitaria offribile) per le più amene viziosità meridionali: l’aria buona di chi fa la siesta dopopranzo, l’assenza di industrializzazione massiccia (e che dire delle tante zone industriali dalla Casilina a Termini Imerese: non esattamente green economy), l’attitudine a stare a casa in panciolle a lucrare aiuti di Stato – quando il grosso dell’erogazione pubblica, lo dimostrano ormai centinaia di studi di OGNI estrazione scientifica e politica, viene filtrato dagli apparati e non riversato sui bisogni materiali.

Certo, rifiutiamo anche l’opposta lettura. Che il Nord e la Lombardia si siano cercati scientemente un’ecatombe di quella luttuosa consistenza. I morti nelle case di cura per anziani, i medici e gli infermieri schierati da subito a contatto col virus (quando la mascherina si sconsigliava, per ragioni di “persuasione psicologica”), le famiglie di migranti divise… non c’entrano nulla con tutto questo. La Lombardia ha semmai palesato in modo più netto due dati strutturali. Nelle epidemie da contatto – quale più, quale meno, la maggior parte delle epidemie abbisogna di livelli anche solo occasionali di contatto sociale – più c’è noncuranza sulla profilassi, più c’è prosecuzione di attività a rischio, più c’è anche il mero pendolarismo giornaliero infraregionale… più i contagi aumentano. Ed è vero anche che la politica regionale ha ballato forse persino più di quella nazionale: all’inizio, nella pur comprensibile ansia di tenere tutti i fantasmi sotto tacco, si ostentava una pacifica continuità di consumi, di abitudini, di comportamenti. Il taglio aggressivo delle consuetudini socioeconomiche è così apparso troppo improvviso e, a danno fatto, troppo prolungato per trovare volti contenti e sereni ad accoglierlo.

Resta irritante però il sottotesto di chi, per giustificare le imperizie di una classe dirigente regionale e non, attacca il Sud perché avrebbe lucrato chissà cosa mai in una delle pandemie più critiche nella storia dell’ultimo secolo. Se noi stiamo male, gli scansafatiche siete voi. Se noi abbiamo avuto una curva ingestibile di nuove positività, è perché voi stavate in giardino a girarvi i pollici. E quando si commenta dei poli terapeutici d’eccellenza che, in condizioni spesso proibitive, gli ospedali campani e segnatamente napoletani sono riusciti a rappresentare – ma a macchia di leopardo buone esperienze in Sicilia, in Sardegna, nella stessa Calabria, nonostante le crepe dei troppi focolai – ecco la traccia di un becero stupore. “Voi? Proprio voi? Proprio da voi non ce l’aspettavamo!”.

E perché? I medici e i volontari del Sud avrebbero dovuto lasciare morire la propria gente o per l’irresponsabilità di pochi votarsi tutti all’Aventino del guardar dall’altra parte?

Le braccia del Sud hanno avuto un peso indiscutibile nel rinascimento milanese e in parte veneto e piemontese dell’ultimo decennio; un decennio, sia chiaro, di enorme, valida, appetibile, progettualità economica. E quelle stesse braccia, sebbene votate talvolta a rientri affrettati e alla chetichella, si sono trovate sotto accusa come untori da una parte (e in effetti un’incisività sul numero dei positivi è stata tuttavia verificata) e addirittura infami disertori dall’altra.

Insomma, come la si giri la si giri, c’è sempre qualcuno che se ha bisogno di accusare qualcosa – un’entità astratta, offesa però infangando storie e persone concrete – non si fa scrupolo a tirare freccette contro punta e tacco dello Stivale.

I numerosissimi cittadini bergamaschi, bresciani, lodigiani, milanesi, che hanno ricevuto da Sud attestazioni di solidarietà, spirituale e materiale, in queste settimane la pensano diversamente da chi quando scrive un editoriale intinge una penna immaginaria nel calamaio non immaginario delle sue frasi premasticate. Attenzione, però: quella stessa sicumera la rimproveriamo alle istituzioni comunitarie quando sferzano la tenuta civile, politica ed economica dell’Italia tutta. E il Sud così diventa, avendole dato il nome, Italia dell’Italia. Disse qualcuno: sei sempre il meridionale di qualcun altro.