Autismo e quarantena, il dramma di vivere senza routine
Porte prese a calci, oggetti lanciati per terra, tic a ripetizione. La convivenza con un figlio autistico non è semplice, soprattutto in un periodo in cui è stata sconvolta quella routine che spesso – per chi soffre di autismo – diviene una culla protettiva. Giornate intere trascorse senza andare a scuola, senza uscire, senza vedere
Porte prese a calci, oggetti lanciati per terra, tic a ripetizione. La convivenza con un figlio autistico non è semplice, soprattutto in un periodo in cui è stata sconvolta quella routine che spesso – per chi soffre di autismo – diviene una culla protettiva. Giornate intere trascorse senza andare a scuola, senza uscire, senza vedere qualcuno. Senza ciò che prima si faceva, semplicemente.
«Non so cosa sia meglio…»
«Simone ha 16 anni, un disturbo dello spettro autistico e un’età difficile; riuscire a contenerlo in quattro mura non è semplice», così racconta Paola, la mamma. La giornata sembra non finire mai e riuscire per me anche a lavorare tra urla e lo sbam di porte che per poco non cadono, è un’impresa. A volte non so se è meglio avere il coronavirus che convivere con un autistico. C’è la didattica a distanza, è vero, ma per mio figlio non si è rivelata una valida alternativa alle ore di lezione in classe. Sarà pure che come ogni adolescente vive un rapporto conflittuale con la scuola, immaginiamoci se lo si deve affrontare da dietro uno schermo. In questi giorni di quarantena non ha fatto altro che ripetere il nome del suo educatore. Il suo unico amico. Purtroppo le associazioni di riabilitazione sono ancora chiuse, ma da tre giorni l’educatore di Simone, a nostre spese, viene a prenderlo per fare una passeggiata sotto casa o fino al parco. E mio figlio vive per queste due ore a settimana».
La didattica a distanza non funziona, andare al parco l’abitudine preferita
«La possibilità di accedere al parco è stata una grande vittoria, siamo grati al comune di Rende per aver da subito accolto le nostre richieste. Perché a mio figlio non posso dire “usciamo per andare a zonzo sotto casa”. Per lui, come per ogni autistico, ogni azione deve avere uno scopo chiaro. Se usciamo dobbiamo avere una meta. E per fortuna il parco Robinson è diventata una meta possibile nei giorni difficili dell’emergenza. Senza maglie azzurre, perché i nostri ragazzi di tutto hanno bisogno, tranne che di un marchio. Devono essere riconosciuti, non differenziati con segni di riconoscimento». «Sarebbe necessario riaprire le scuole, magari con classi di pochi ragazzi, con spazi all’aperto in cui poter fare anche passeggiate o attività per socializzare. Mio figlio in questo periodo purtroppo è ancora più solo e lasciato solo».
«Più crescono e più sembra siano invisibili» dice Valentina, parlando del suo piccolo Mirko. «Riuscire ad andare sul lungomare lo ha reso meno nervoso, ma sono stati giorni pesanti in cui lanciava per aria ogni cosa. Tirava pugni sul tavolo fino a farsi male, non comprendeva il perché una delle sue abitudini preferite fosse venuta meno. Ha ancora 7 anni e tenerlo a casa ora che le sua agenda giornaliera è stata sconvolta non è stato semplice. Grazie alla pazienza dei suoi terapisti, nostra e degli insegnanti, siamo riusciti a farlo integrare in classe: finalmente lo invitavano anche ai compleanni! Ora invece ha contatti solo con il computer e molto spesso si rifiuta di stare seduto a seguire le lezioni. Mi auguro si possano a breve trovare delle soluzioni diverse e che presto riaprano le associazioni. Io e mio marito seguiamo alla lettera ciò che educatori e psicologi ci dicono nelle videocall, ma non è la stessa cosa».
Le associazioni: supporto a distanza in attesa di mascherine trasparenti
«Ciascuno di noi operatori ha cercato anche a distanza di dare il proprio contributo gratuitamente a genitori e agli stessi utenti in grado di interagire via telefono. Il più delle volte – dichiara Mara Filippo, terapista presso l’associazione onlus Prometeo di Cosenza– le famiglie lamentano la difficoltà di far seguire le lezioni a distanza ai propri figli, dal momento che il protocollo non prevede lezioni differenziate e farli stare seduti al pc, quando prima erano abituati all’insegnante di sostegno seduto di fianco, diventa quasi impossibile. Anche se molti si sono rivelati super mamme e super papà, ci auguriamo di aprire per la fine del mese e di riaccompagnare di nuovo i nostri piccoli utenti al Parco Piero Romeo per farli giocare assieme agli altri bambini. Per ovviare al problema delle mascherine, ostacolo per noi che spesso dobbiamo intervenire con riabilitazione del linguaggio, useremo quelle trasparenti».
Riaperture sicure, ma nessuna ordinanza precisa
«Stiamo cercando di fare il possibile per ascoltare gli appelli dei genitori e riaprire il prima possibile in modo sicuro, anche se non abbiamo ad oggi nessuna ordinanza ufficiale rivolta alle associazioni come la nostra. In questo periodo di emergenza Covid-19 abbiamo cercato di supportare anche a distanza le famiglie, in modo da non far perdere ai propri figli i progressi raggiunti». Così Andrea Guido, uno dei soci di Batti cinque, un’altra delle associazioni attive sul territorio cosentino che come Casa delle Fate si occupa della riabilitazione di bambini e ragazzi con disturbi cognitivo-comportamentali. Autismo fra tutti. «L’associazione è nata a Rende nel 2002 e siamo in quindici tra psicologi, psicoterapeuti, analisti del comportamento, educatori. Oggi seguiamo circa 40 bambini e ragazzi dai 2 ai 16 anni con ore di terapia individuale o mini gruppi di due e con attività nelle scuole, quando non ci sono certificazioni tali da consentire l’insegnante di sostegno. Dovremmo riaprire il 1 giugno ma, considerando che abbiamo a che fare anche con bambini per cui il contatto fisico è spesso terapeutico, speriamo di avere disposizioni più precise da parte delle istituzioni preposte in merito alle norme anticontagio. Il rischio, infatti, sarebbe ritrovarci ad agire in totale autonomia».
Le spese di riabilitazione pagate con i buoni dell’Inps
E di autonomia parla, seppure in altro modo e con un significato differente, Enrico, papà di Giovanni Paolo, bimbo di 9 anni. «Mio figlio, a modo suo, anche se autistico, è un bimbo socievole. Lui non guarda negli occhi, ma ama che quando gli si parla, gli si tocchi la spalla. È un modo per sentirsi ascoltato e coinvolto. Lunedì scorso è iniziata la didattica a distanza nella sua scuola, pare abbia gradito il fatto di rivedere i suoi compagni di classe. Ma come tutti gli autistici bisogna evitare che diventi insofferente. Il suo rigido microcosmo è stato sconvolto da un virus di cui non comprende l’entità, né il significato; ne avverte solo l’esito. Una serie di caselle standard costituiscono la sua giornata che inizia con una lavagna visiva in cui gli mostriamo in sequenza foto che lo raffigurano mentre compie varie azioni, dall’alzarsi dal letto, al lavarsi i denti, al vestirsi. La nostra fortuna è il cortile sotto casa, perché altrimenti una giornata intera sarebbe interminabile».
Per quanto utile, infatti, possa essere stare nell’ambiente domestico e stimolare Giovanni con i tanti (per molti banali) «carica la lavastoviglie, togli i panni dalla lavatrice, asciuga le posate», molte altre attività e ambienti sono venuti meno. «E questo, oltre a limitare la possibilità di apprendimento, ha contribuito a renderlo molto più irascibile: lui non lancia oggetti per aria, ma provoca me e mia moglie in tutti i modi, cercando di attirare l’attenzione con l’intento di farci cambiare ambiente e situazione. Ad esempio, alle 15 in punto ogni giorno va a rispondere al citofono, urlando chi è. Quello è l’orario in cui bussava Chiara, la sua terapista. Che solo da qualche giorno ha ripreso a venire e che lui aspetta impaziente, seduto al tavolino. Un’ora di lavoro, ma un gioco per lui e uno dei momenti più attesi della settimana. Peccato solo che tali spese sarebbero dovute rientrare nel decreto Cura Italia e che invece affrontiamo di tasca nostra,ricorrendo ai buoni spesa dell’Inps. Spesso molti diritti, oltre bisogni, vengono fatti passare per concessioni. Eppure bisognerebbe ottenerli senza pietismi o autocommiserazioni. Io non mi sento un genitore inferiore, semmai un privilegiato, Giovanni mi ha fatto conoscere un nuovo mondo e il significato di una nuova parola: autistico vuol dire autentico».