Così la Cassazione demolisce le accuse contro Sebi Romeo
La Cassazione smonta le accuse contro l'ex consigliere regionale del Pd, Sebi Romeo. «Questa inchiesta si basa soltanto su congetture».
La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, demolisce a 360° gradi le accuse della Dda di Reggio Calabria contro l’ex consigliere regionale del Pd, Sebi Romeo e del maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Romeo, accusati di tentata corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Libro Nero”. (LEGGI QUI LA NOTIZIA).
Così come avvenne per l’ex governatore Mario Oliverio (LEGGI QUI), gli ermellini anche questa volta usano parole durissime contro l’operato dei magistrati del Distretto giudiziario di Reggio Calabria. Critiche che sgretolano il castello accusatorio, venuto alla luce dell’opinione pubblica il 29 luglio 2019.
La ricostruzione dei fatti
Secondo la Dda di Reggio Calabria, il maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Romeo, in servizio di polizia giudiziaria presso la Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria, avrebbe chiesto a Sebi Romeo, nella sua qualità di consigliere regionale della Calabria, l’interessamento per la assunzione di un suo conoscente in una impresa privata esercente attività di trasporti in concessione, offrendo in cambio la sua disponibilità a fornire notizie su procedimenti pendenti presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
Tale attività sarebbe stata mediata da Concetto Laganà che avrebbe messo i due Romeo, che non si conoscevano, in contatto. Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria aveva illustrato come il fatto fosse emerso in alcune intercettazioni effettuate anche tramite “captatore informatico” in un procedimento per reati di criminalità organizzata. Per cui, tali intercettazioni erano ritenute utilizzabili dal TDL non ricorrendo il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen., in quanto per la vicenda odierna si è proceduto nel contesto dello stesso procedimento (inteso quale stesso “fascicolo”).
Le motivazioni della Cassazione su Sebi Romeo
La prima bordata, di carattere giurisprudenziale, riguarda l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. Sul punto, la Cassazione scrive che «sono fondati i motivi con i quali si afferma la inutilizzabilità delle intercettazioni. Da un lato, l’affermazione secondo la quale il “procedimento” di cui all’art. 270 cod. proc. pen. va riferito alla identità del “fascicolo” è di per sé erronea, perché la norma citata fa riferimento ad un concetto sostanziale di procedimento; dall’altro, lo stesso Tribunale riconosce l’assenza di connessione, anche solo probatoria, con i fatti per i quali le stesse furono autorizzate. Ne deriva, in linea con il recente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., sent. n. 51 del 28.11.2019 – dep. 2020, Rv. 277395), peraltro adesivo alla giurisprudenza maggioritaria, la sussistenza della dedotta inutilizzabilità».
Quanto al reato contestato dai pm reggini, gli ermellini ritengono che «dalla lettura dei fatti accertati dal Tribunale, in base ad intercettazioni inutilizzabili di cui però è legittimo fare uso “a favore”, si comprende che non vi è alcuna evidenza di una effettiva “offerta”: il Tribunale riporta che il mediatore Laganà parlava al Romeo Sebastiano di una generica offerta di disponibilità da parte del finanziere a favorire il politico, ma nulla si dice di concreto; e, pur essendo il p.u. un addetto alla Procura Generale della Repubblica, non si dice cosa avrebbe “offerto in vendita”, considerato che non era ruolo che lo mettesse in grado di conoscere intercettazioni riservate, se del caso gestite dalla Procura presso il Tribunale».
«Dal TDL di Reggio Calabria solo congetture»
La seconda stoccata arriva nel momento in cui gli ermellini valutano in diritto le motivazioni espresse dal TDL di Reggio Calabria che, in precedenza, aveva revocato la misura degli arresti domiciliari, applicando al politico reggino il divieto di dimorare in Calabria. Misura cautelare, quella adottata dal gip di Reggio Calabria, che aveva causato un terremoto politico in Regione, in quanto Sebi Romeo era il capogruppo del Pd (immediatamente sospeso da Zingaretti) e uomo più vicino all’allora Governatore, Mario Oliverio.
Quindi, in riferimento al finanziere Francesco Romeo, la sesta sezione penale evidenzia che «nonostante i quattro anni di tempo a disposizione degli inquirenti, decorrenti dalle intercettazioni, non si dà atto di alcuna indagine mirata a individuare eventuali fughe di notizie, accessi abusivi etc., tanto che il Tribunale del Riesame, per trovare prove a carico, fa ricorso essenzialmente all’interrogatorio di garanzia di Francesco Romeo – nonostante sia di assoluta negazione del fatto – ovvero alla affermazione di un collegamento tra la cessazione di funzionamento del “trojan” nel telefono del politico e la presenza nell’ufficio di Romeo Francesco, dopo quattro anni, di un articolo scientifico sulla utilizzabilità del dato tipo di intercettazione».
«L’affermazione di un tale collegamento è del tutto estranea a qualsiasi legittimo ambito di opinabilità, tanto da apparire indice della ricerca di elementi giustificativi di una tesi di accusa priva di qualsiasi aggancio concreto. In definitiva l’accusa è del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza con i pochi dati fattuali, e, risultando esaminato tutto il materiale probatorio disponibile (di cui ampia parte inutilizzabile), non vi è alcuna prospettiva di una diversa decisione in sede di rinvio. Va quindi disposto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza».