giovedì,Marzo 28 2024

Frascatore, il santo liberatore. Cosenza-Sudtirol e un’infinità di destini

di Francesco La LunaGli anni 80 sono stati forse i  più floridi per la produzione musicale francese insieme a quelli a cavallo fra le due guerre mondiali. A spiccare Oltralpe erano soprattutto due gruppi che proponevano un nuovo modo di pensare e intendere la musica, capaci di mescolare la musicalità del francese con una strumentazione a

Frascatore, il santo liberatore. Cosenza-Sudtirol e un’infinità di destini

di Francesco La Luna
Gli anni 80 sono stati forse i  più floridi per la produzione musicale francese insieme a quelli a cavallo fra le due guerre mondiali. A spiccare Oltralpe erano soprattutto due gruppi che proponevano un nuovo modo di pensare e intendere la musica, capaci di mescolare la musicalità del francese con una strumentazione a tratti inquieta: si tratta degli Indochine, che ascolteremo un’altra volta, e dei Noir Desir, che invece abbiamo ascoltato all’inizio nell’esecuzione del loro singolo più famoso, Le vent nous portera. La voce pastosa di Bertrand Cantat ci guida verso il nostro destino, ricordandoci che può essere spazzato dal vento da un momento all’altro. Io non so se Allan Baclet, che pure è nato in Francia, a Lille, abbia mai ascoltato i Noir Désir, ma la notte del 10 giugno 2018 ha guidato sé stesso e il Cosenza verso il destino scelto fra un’infinità di essi. 

Nell’introdurre il capolavoro La pista di sabbia di Andrea Camilleri, che a mio insindacabile giudizio è il più grande scrittore italiano dell’era contemporanea, Salvatore Silvano Nigro ha scritto che «L’incubo è la cavalla della notte», metafora tratta a piene mani dal quadro The Nightmare, appunto l’incubo, del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli. Se per Nigro e Füssli l’incubus è rappresentato da un demòne e da una cavalla, per i tifosi del Cosenza a cavallo fra 2017 e 2018 il piccolo diavolo che ti impedisce di dormire aveva le fattezze di Daniel Semenzato, terzino del Pordenone che aveva punito i rossoblù di De Angelis al 97’ con un gol tanto giusto per dominio quanto ingiusto per il momento in cui è arrivato, con Baclet appena portato fuori in ambulanza. Come un novello mutaforma, la sera del 6 giugno 2018 Daniel Semenzato ha assunto le sembianze di Micheal Cia, centrocampista del Südtirol, che ha segnato all’ultimo secondo nella semifinale d’andata fra gli altoatesini e il Cosenza, condannando i Lupi a dover rimontare l’1-0 dello stadio Druso di Bolzano fra le mura amiche il 10 giugno 2018.

Nove giugno 2018. I biglietti per la partita sono terminati da poche ore, tanto che per la prima volta dopo circa due settimane lo store del Cosenza Calcio è deserto. Rifinitura prevista per le ore 9, aperta al pubblico. Quando inizia la seduta, al di là della rete che divide lo spazio dei tifosi dal campo d’allenamento ci sono quasi cinquecento persone, che in realtà lì non ci entrano neanche. Fumogeni, cori, urla. Tanto che a un certo punto Braglia chiede un attimo di silenzio per spiegare qualche accorgimento tattico e, come un ammaliatore di serpenti, riesce a mettere a tacere una folla mai così chiassosa. Alle due e mezza c’è la conferenza stampa, il mister devo andare a prenderlo io. Piccolo inciso: a Bolzano si è fatto male Camigliano, che è il centrale di sinistra, ed è stato squalificato Dermaku, che è il perno della difesa, quindi siamo senza due terzi della difesa titolare. Durante il tragitto in macchina, me lo ricordo come se fosse adesso, non ho osato proferire parole fino alla carraia. «Mister, ma hai deciso come fare con la difesa?» – «No». L’unico scambio di battute in cinque minuti. La partita è vicina, troppo vicina. A Cosenza la sera di sabato 9 giugno non si sente una voce, non si muove una foglia. Ma la sera dopo, alle ore 20.30 quando Cosenza e Südtirol stanno uscendo dal tunnel degli spogliatoi per il fischio d’inizio, in tutta la città si sente solo questo:

Ventimila persone cantano all’unisono sulle note di Sloop John B, capolavoro dei Beach Boys riproposto in chiave ultras dai Lumpen. I giocatori ospiti sono… Interdetti, ma non è neanche il termine esatto perché non rende abbastanza quello che stanno provando. È più della paura, è un concetto inspiegabile: quel canto gli trancia le gambe, capiscono che sarà una guerra. Il Südtirol sta benissimo in campo, è una partita davvero tosta. Nel primo tempo succede poco o nulla, anzi, a un certo punto Gyasi si invola a tutta velocità vero la porta di Saracco per un potenziale uno contro uno. L’ultimo baluardo è Manuel Pascali, che si frappone col proprio corpo e impedisce all’avversario di arrivare in porta. Il direttore di gara non ha dubbi: giallo. Il problema è che quell’ammonizione impedirà a Pascali di prendere parte all’eventuale finale di Pescara. Ne ho parlato con lui pochi giorni fa in una chiacchierata e mi ha risposto come allora: «Tornassi indietro lo rifarei altre mille volte». Paska e Corsi sono gli uomini simbolo attorno ai quali lo spogliatoio si è compattato nei momenti di difficoltà, sono loro a tenere le redini del gruppo. Manuel ha fatto un atto d’amore immenso per Cosenza con quella scivolata, ma il primo tempo finisce comunque 0-0. 

Se Andrea Camilleri, nel mio immaginario personale, è il più grande scrittore italiano contemporaneo, sempre nel mio immaginario personale che, come avrete capito, è totalmente fottuto, Fabrizio De André è il più grande italiano del XX secolo insieme ad Antonio Gramsci. E per rappresentare il pelatone, come lo ha chiamato Cami, nulla c’è di meglio di De André. Perché Allan Pierre Baclet è la perfetta rappresentazione del Sinàn Capudàn Pascià, al secolo Scipione Cicala, genovese che riuscì ad entrare nelle grazie del sultano Solimano il Magnifico. Non appena inizia il secondo tempo, Braglia si gira e gli dice: «Tu».

Ma in ogni storia c’è sempre un coprotagonista, uno che offre all’eroe l’occasione per riscattarsi. Si chiama Massimo Loviso ed entra al 17’ della ripresa al posto di Palmiero. Passano neanche dieci minuti. Punizione. Batte Loviso, il piede che ha trafitto Buffon e Julio Cesar. È entrato da poco e ogni volta che ha toccato palla ha chiesto soltanto una cosa. Calma.  La sua traiettoria è una lama affilata che trapassa l’area di rigore degli ospiti. C’è una foto, bellissima, di Michele De Marco, che è la rappresentazione perfetta dell’analogia fra Baclet e Cicala: si vede Allan che sbuca fuori dal nulla, come se non fosse mai stato lì, e le facce dei compagni che cercano di spingere quel pallone alle spalle di Offredi insieme a lui. Gol. 1-0. «Nel mezzo del mare/c’è un pesce palla/che quando vede le belle/viene su a galla»

L’impresa non è ancora completata, mancano venti minuti più recupero alla fine della partita. Lo stadio fa un macello irregolare, non si riesce a capire come ma ogni rimessa laterale carica sempre di più i ventimila che seguono la partita. È un continuo cantare, incitare, fischiare gli avversari che ormai sanno di essere le vittime sacrificali di un disegno più grande di loro, ma comunque resistono. Il Cosenza colleziona un numero imprecisato di calci d’angolo, tutti battuti da Loviso e tutti a un passo dal gol. Fino al 94’. Ultima azione della partita. Corner nella lunetta posta nell’intersezione fra la Curva Nord e la Tribuna A, che è l’unico posto dove ci sono tifosi ospiti. Sul pallone c’è sempre Max, IlConte lo chiamano in spogliatoio, per questo suo motivo nobiliare e per l’educazione che lo contraddistingue. Corre verso la bandierina, si rivolge a Michele De Marco, «Quanto manca!», gli urla. Michele risponde «È finita». Max bacia il pallone e lo mette in mezzo. Come in un film. Cross (schiocco) Sospensione del silenzio (schiocco) Boato (schiocco).

Non si sa neanche chi abbia segnato, sulle prime lo danno a Pascali, poi a Baclet, poi si capisce che è stato un autogol di Frascatore. La telecronaca, prodotta egregiamente da Giuseppe Galati e Mario Somma, è iconicamente scolpita nelle menti di tutti, perché tutti abbiamo rivisto almeno trenta volte gli highlights della partita. L’arbitro fischia la fine. Kevin Marulla libra in aria una bottiglietta d’acqua al centro del campo, poi sviene. Lo faranno rinvenire coi sali e gli metteranno addosso il saio di Padre Fedele. Certe cose succedono per caso. O forse no. Pascali prende in mano una bandiera e la srotola: c’è impressa la faccia di Gigi Marulla, e il 29 lo porta a spasso per il campo. Certe cose succedono per caso. O forse no. Ma di tutta quella notte, forse, la cosa più importante è stata l’esorcismo di un incubo che ci portavamo tutti dietro da un anno. Ed chi è stato a lanciare la rimonta? Baclet, che a Pordenone aveva rischiato la vita. Certe cose succedono per caso. O forse no. Forse, in un’infinità di destini, basta pescare quello giusto.