giovedì,Marzo 28 2024

Il circo mediatico giustizialista sulla scarcerazione di Massimo Carminati

La scarcerazione di Massimo Carminati non è un favore al principale imputato di "Mafia Capitale", ma un suo sacrosanto diritto. Ecco perché.

Il circo mediatico giustizialista sulla scarcerazione di Massimo Carminati

Quanto si è scatenato intorno alla scarcerazione di Massimo Carminati è l’ennesimo circo mediatico giustizialista, privo di qualsivoglia fondamento giuridico che, in un’ottica frutto del più bieco populismo penale, cerca di fuorviare l’opinione pubblica con l’idea che i Magistrati non svolgano correttamente il proprio lavoro e che gli Avvocati siano degli ambigui personaggi in combutta con l’imputato da loro assistito. Non mi soffermo sugli ormai quotidiani attacchi all’esercizio del diritto di difesa, evidente manifestazione di idee da stato di polizia che purtroppo attecchiscono in chi è intellettivamente e culturalmente povero.

È invece doveroso stigmatizzare le affermazioni di alcuni Procuratori antimafia che, pur avendo tutti  gli strumenti culturali e le conoscenze per sapere che in un Paese civile la forma è sostanza, a garanzia dei diritti inviolabili di tutti i cittadini di fronte al potere punitivo dello Stato, dichiarano testuale: “Che un personaggio ritenuto pericoloso venga scarcerato per motivi di forma è incomprensibile per i cittadini“, facendo così passare l’idea che se le norme poste a tutela delle garanzie individuali, vengono mal percepite dall’opinione pubblica è perché esse sono inutili meccanismi che vanno aboliti.

Quello che sembra, dunque, un atteggiamento di grande empatia nei confronti degli italiani lontani dalle dinamiche processuali è in realtà prova di scarsa considerazione e poco rispetto dei cittadini stessi. Quanto meno di quelli intelligenti, che sono capaci di arrivare a comprendere che il Processo penale è qualcosa che riguarda tutti, perché è lo specchio della civiltà di un Paese: non è un “mondo di mezzo” che riguarda solo i cattivi, per citare la teoria sulla realtà criminale romana che è tanto piaciuta a molti sceneggiatori ma meno ai magistrati giudicanti, da quello che emerge dalle sentenze. 

In verità in un paese normale si dovrebbe agire nell’ottica per cui se i cittadini non capiscono alcune decisioni processuali, perché non hanno le competenze tecniche per farlo, ai cittadini va semplicemente spiegato come funziona: quei “termini prettamente giuridici” sono la “forma” che rende sostanza la nostra Costituzione. Piuttosto che trattarli come incapaci e bombardarli con informazioni intellettualmente disoneste, al fine preciso di far perdere loro ogni fiducia nei confronti della giustizia, sarebbe semplice enucleare che la ragione per cui i termini  di custodia cautelare ad un certo punto scadono, è perché lo Stato non può sequestrare un soggetto in attesa di giudizio finché non arriva la sentenza definitiva.

I paladini del giustizialismo dovrebbero avere la decenza di focalizzarsi sul fatto che se dopo anni e anni non arriva una sentenza definitiva e quindi l’imputato non può restare in carcere, non è colpa di quei “tecnicismi” della procedura, non è colpa degli Avvocati che “trovano i cavilli” o dei Magistrati che applicano semplicemente quella “legge” che è e deve essere “uguale per tutti”. Bisognerebbe piuttosto ammettere che se c’è un problema, quello è dato dalla irragionevole durata del Processo penale, che invece quegli stessi Giustizialisti hanno contribuito a incancrenire con la riforma sulla Prescrizione, facendo passare nell’opinione pubblica l’idea esattamente contraria.

Se invece proprio non ce la fanno ad esprimere questi semplici concetti, dovrebbero avere la stessa onestà che vanno predicando, di chiarire ai cittadini che se si eliminano o si rimodulano estendendoli i limiti imposti alla detenzione cautelare, la possibilità di restare reclusi finché lo stato non avrà deciso se si è colpevoli o innocenti, riguarderà tutti. Anche loro. Una informazione corretta non avrebbe infatti imposto titoli come “Massimo Carminati è libero” ; piuttosto avrebbe parlato di come egli sia in attesa di giudizio, con l’obbligo di dimora ed il divieto di espatriare perché i termini di custodia cautelare in carcere sono scaduti dopo 5 anni e 7 mesi, per derubricazione dell’accusa più grave: quella di essere un mafioso.

E non poteva essere altrimenti, perché una volta caduta la contestazione del 416 bis c.p., è rimasta quella della corruzione, i cui termini della custodia cautelare erano scaduti già il 30 marzo scorso. Si dovrebbe mettere in chiaro inoltre, con molta serenità, che se dovesse essere condannato ad una pena superiore a quella già scontata in fase cautelare, Carminati ritornerà in carcere. Si poteva poi dare la stessa enfasi al fatto che resta invece ai domiciliari, ad esempio, Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative rosse ed altro elemento di spicco della criminalità, che avrebbe con lui alimentato la corruzione nella capitale.

Servirebbe poi ricordare più spesso quello che la Cassazione ha scritto in sentenza e cioè che il carattere mafioso di una associazione è dato da elementi concreti ben specifici che la distinguono da associazioni per delinquere semplici, seppur criminali, a prescindere da quello che si vede nelle serie tv.

Basterebbe infine chiarire ai cittadini che un modo di agire diverso rispetto a quello per cui si è proceduto nei confronti di Carminati, e dunque il richiedere azioni ad personam nei confronti di specifici soggetti, o l’incrementare il ricorso alla custodia cautelare in carcere, è tipico dei sistemi autoritari o illiberali. Di quegli Stati i cui esistono Ministri che inviano gli ispettori ad intimorire e a minacciare i Magistrati ogni qual volta non sono d’accordo con le loro decisioni, ad esempio. Sono sicura che si spiegasse bene tutto questo, i cittadini capirebbero e sceglierebbero adeguatamente che tipo di giustizia vogliono.