venerdì,Marzo 29 2024

Ustica, un mistero lungo 40 anni: è l’ora della verità

È la sera del 27 giugno 1980 quando il volo di linea Itavia DC-9 IH870 scompare dai radar. Ustica è una storia piena di depistaggi.

Ustica, un mistero lungo 40 anni: è l’ora della verità

È la sera del 27 giugno del 1980 quando il volo di linea Itavia DC-9 IH870, decollato con oltre 100 minuti di ritardo da Bologna e diretto a Palermo, scompare dai radar. Solo alle prime luci dell’alba, un elicottero di soccorso individua a circa 110 km a nord di Ustica alcuni detriti in affioramento. Nel giro di qualche ora cominciano ad emergere altri frammenti meccanici ed i primi cadaveri dei passeggeri: l’aereo con 69 adulti e 12 bambini, che si trovava a metà strada tra Ponza e Ustica, è precipitato. Nessuno si salva e solo 38 salme vengono recuperate.

Ustica, i tanti depistaggi

Da quel momento in poi iniziano una serie di depistaggi volti ad attribuire la causa dell’incidente prima ad un cedimento strutturale poi alla matrice terroristica. Ipotesi smentite dopo anni, dall’idea ormai consolidata secondo cui quell’aereo si trovava purtroppo nel posto sbagliato al momento sbagliato. D’altronde appare evidente sin da subito, dall’esame autoptico completo avvenuto però purtroppo su sole 7 salme, che nessuno dei cadaveri mostrava segni di ustione o di annegamento, né la presenza di corpi estranei riconducibili all’eventuale frammentazione di involucri di un qualsiasi ordigno esplosivo.

Non solo, la scatola neradel velivolo aveva registrato dati di volo assolutamente regolari: la velocità era di circa 323 nodi, la quota circa 7630 m con prua a 178°, l’accelerazione verticale oscillava e si poteva ascoltare un  tranquillo dialogo tra il comandante Domenico Gatti e il copilota Enzo Fontana, che però si interrompeva improvvisamente e senza alcun segnale allarmante. I misteri, le omissioni, i documenti scomparsi, nonostante tutto si susseguono per anni, fino all’ultima rivelazione relativa ad un allarme rosso, lanciato la mattina del 27 giugno del 1980 dal Libano alla sede centrale del Sismi. Circostanze che rendono, però, la storia ancora più drammatica.

L’ipotesi rilanciata da “La Stampa”

Nello specifico, secondo quanto rivelato recentemente da La Stampa, esisterebbe un telegramma coperto da segreto di Stato e parzialmente declassificato solo nel 2014, che rilancerebbe la pista scartata dell’attentato palestinese. L’allarme sarebbe arrivato poche ore prima del disastro aereo ed il telegramma cifrato porterebbe la firma del colonnello Stefano Giovannone.

Esso sarebbe, tra le altre cose, solo l’ultimo di una sequenza di comunicazioni con le quali il colonnello avrebbe segnalato la probabilità di «una situazione di pericolo a breve scadenza», parlando di «due operazioni da condurre in alternativa contro obiettivi italiani: dirottamento di un Dc9 Alitalia” o “occupazione di una ambasciata», come da colloqui con fonte fiduciaria. Esiterebbero poi ulteriori documenti inviati dai Servizi segreti a Beirut che segnalerebbero l’imminente attacco contro l’Italia da parte del Fronte popolare di liberazione della Palestina di George Habbash.

Familiari delle vittime in cerca della verità

Questa teoria, però, non fa che riaccendere le polemiche da parte dei familiari delle vittime, che ancora attendono risposte sulla morte dei loro cari spariti nel nulla e che ritengono che riproporre l’ipotesi della bomba, significhi continuare a seguire la linea dei depistaggi, tentati sin dal primo giorno da agenti del Sismi vicini alla P-2.

Più credibile, dunque, è la ricostruzione di chi è certo che l’aereo sarebbe finito in un vero e proprio incredibile teatro di guerra in atto nei cieli del Mediterraneo e, dunque, abbattuto per errore nel corso di un combattimento tra alcuni velivoli Nato e un Mig libico a bordo del quale, secondo le dichiarazioni rilasciate a suo tempo dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si sarebbe trovato addirittura lo stesso Gheddafi. 

Quel ritrovamento sui monti della Sila

Non è un mistero, del resto che successivamente, oltre a vari relitti, furono ritrovati in mare anche due salvagenti e un casco di volo della marina americana, così come è noto il rinvenimento a Messina di frammenti di aerei bersaglio italiani. Da vicino, invece, ci riguarda il ritrovamento della carcassa di un MiG-23MS dell’Aeronautica militare libica, il 18 Luglio 1980, sui monti della Sila in zona Timpa delle Magare, nell’attuale comune di Castelsilano.

Proprio in relazione a questo ritrovamento, infatti, furono depositate agli atti del processo volto ad accertare le cause della strage di Ustica, le dichiarazioni di diversi militari in servizio in quel periodo, tra le quali quelle del caporale Filippo Di Benedetto e dei suoi commilitoni del battaglione “Sila“, del 67º battaglione Bersaglieri “Persano” e del 244º battaglione fanteria “Cosenza” , che affermavano di aver effettuato servizi di sorveglianza al MiG-23 non a luglio, bensì a fine giugno 1980, il periodo cioè della caduta del DC-9 Itavia.

Un teatro di guerra

Si ritenne, dunque, che il caccia libico non fosse caduto il giorno in cui fu dichiarato il ritrovamento da parte della popolazione locale alle forze dell’ordine, ma presumibilmente la stessa sera della strage, e che quindi il velivolo fosse stato coinvolto nelle circostanze che causarono la caduta dell’aereo Itavia. Sono questi gli elementi concreti, dunque, che proverebbero il dato secondo cui l’area tirrenica, fosse in quel periodo teatro di una intensa ed inquietante attività militare, in tempo di pace.

D’altra parte è certo che nel 1980 l’Italia si trovasse al centro dello scontro tra la Francia di d’Estaing e gli USA di Regan da un lato e la Libia di Gheddafi dall’altro, mentre in Medio Oriente regnava l’instabilità dopo l’ascesa di Khomeini in Iran, l’invasione sovietica in Afghanistan e la morte di Tito. Uno scenario, pertanto, che si sposa sempre di più con la tesi secondo cui ciò che è accaduto a quell’aereo civile si conosce esattamente ma si ha difficoltà ad ammetterlo: è stato colpito da un missile, perché sulla sua scia si celava, fuori dai radar, l’effettivo bersaglio mancato.

Il vero mistero sul quale non si sa se mai si potrà far luce, nonostante gli appelli delle nostre autorità ed i moniti del Presidente Mattarella ai nostri alleati, è pertanto arrivare a conoscere quale degli aerei abbia effettivamente premuto il pulsante. 

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