martedì,Aprile 22 2025

La violenza del “branco”: quelle sfide (inaccettabili) tra ragazzi

Gli ultimi casi di cronaca devono far riflettere sui modi di agire di gruppi di ragazzi che generano la cosidetta violenza del "branco".

La violenza del “branco”: quelle sfide (inaccettabili) tra ragazzi

Gli ultimi fatti di cronaca che più hanno scosso l’opinione pubblica, dal caso di Colleferro a quello di Pisticci e di San Felice Circeo, seppur molto diversi tra loro ed al di là di quelle che saranno poi le effettive responsabilità accertate in giudizio dei soggetti coinvolti, hanno in ogni caso, come comun denominatore, la violenza di gruppo.

Essi richiamano, infatti, l’attenzione sul “branco”: una dimensione bestiale, nella quale gli istinti primordiali sembrano dettare legge e guidare le azioni dei singoli, che nel gruppo perdono la propria individualità. E la richiamano non solo in riferimento ai soggetti molto giovani, protagonisti delle vicende di cronaca prima citate, ma anche in relazione all’agito violento dell’opinione pubblica, che allo stesso modo ha attaccato in modo feroce i medesimi protagonisti, prima ancora dell’intervento dell’autorità giudiziaria.

Si tratta in tutti i casi di agiti violenti di gruppo, seppur scaturiti da eventi diversi e mossi da motivazioni difformi e non sovrapponibili, che però evidenziano come le persone in gruppo possano arrivare a compiere azioni, anche cruente, che normalmente non attuerebbero per una serie di fattori che consentono al singolo, nel momento in cui il gruppo attacca, di non azionare un limite o mettere un freno a ciò che sta accadendo.

La prima spiegazione a tale cambiamento è data dall’effetto deresponsabilizzazione: in branco vengono messi in atto una serie di meccanismi di disimpegno morale e di divisione della responsabilità tra i membri, per cui un soggetto si sente o meno colpevole o colpevole tanto quanto gli altri, autogiustificandosi ed attribuendo la colpa all’esterno o a qualcun altro e deumanizzando la vittima. Ad ogni modo, questo meccanismo consente al soggetto di nascondersi dietro al gruppo come “entità” ed anzi, in alcuni contesti sviluppa l’idea che se ci si tira indietro, si rischia di essere allontanati.

Quando poi ci si trova davanti ad un altro gruppo, come nel caso, pare, di Colleferro, il livello della violenza può aumentare perché scatta la supremazia del branco ed il dover dimostrare di essere più forti attraverso il controllo sul territorio. Il gruppo, dunque, può portare alla perdita di autoconsapevolezza, poiché genera una sensazione di quasi anonimato che rende più facile assecondare impulsi antisociali che invece il singolo è portato a controllare.

Non solo, esso genera il desiderio dell’approvazione sociale e dunque il bisogno di piacere a tutti i costi agli altri membri, tanto da spingere a conformarsi a comportamenti anche insensati per via del fatto che non si percepisce più neanche la paura di quello che si sta compiendo. È il caso delle sfide pericolose ed autolesionistiche fra i ragazzi, che sono sempre esistite, ma che oggi sul web assumono una diversa diffusione ed un’altra forma. 

Quando si arriva ad attuare comportamenti che compromettono la propria vita o quella delle persone identificate come bersaglio, non è detto dunque, che ci si trovi di fronte a soggetti affetti da particolari disagi. Semplicemente, purtroppo, il branco può annullare tragicamente la capacità critica e l’individualità di chiunque ed a qualsiasi età.

Ma il fatto di non percepire in quel momento il disvalore della condotta collettiva, tanto da non attivare quei meccanismi che consentono di opporsi agli altri componenti del branco, non esula da responsabilità penali, anzi, può aggravare la posizione di chi ne resta coinvolto.

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