giovedì,Marzo 28 2024

L’indagine su Antonietta Caruso e la sentenza della Cassazione: «Non era un prestito fruttifero»

Antonietta Caruso aveva chiesto il dissequestro dei 20mila euro, spiegando che si trattava di un prestito fruttifero. Questa inchiesta si intreccia (inevitabilmente) con quella della procura di Salerno.

L’indagine su Antonietta Caruso e la sentenza della Cassazione: «Non era un prestito fruttifero»

I guai giudiziari di Eugenio Facciolla e Carmine Greco, rispettivamente ex procuratore capo di Castrovillari ed ex comandante della stazione dei carabinieri forestale di Longobucco, “Cava di Melis“, iniziano quando la procura di Castrovillari arresta la dirigente di “Calabria Verde“, Antonietta Caruso, per una presunta “mazzetta” da 20mila euro chiesta all’imprenditore boschivo di San Giovanni in Fiore, Antonio Spadafora, successivamente arrestato nella maxi operazione antimafia della Dda di Catanzaro, denominata “Stige”.

Cosa è successo dopo – ci riferiamo a Facciolla e Greco – è ormai cosa nota. Quello che è accaduto di recente, invece, lo dice la Corte di Cassazione in una recente sentenza avverso il ricorso proposto proprio da Antonietta Caruso che contestava la legittimità delle indagini svolte da Facciolla e Greco, affermando che quella somma era da intendersi come «buono fruttifero» e non una “tangente”. Preliminarmente, si può dire che la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Antonietta Caruso.

Le contestazioni formulate dalla procura di Castrovillari

La procura della Repubblica di Castrovillari stava indagando ad ampio raggio su “Calabria Verde”, avendone competenza per la parte della Sila cosentina che abbraccia la zona ionica della provincia di Cosenza. Succede che il maresciallo dei carabinieri forestale Carmine Greco avvia accertamenti su Antonietta Caruso.

Nello specifico, l’ex procuratore Facciolla riteneva che Antonietta Caruso, responsabile ad interim dell’Ufficio 2 patrimonio e servizi forestali del Distretto 5 di Calabria Verde, ente strumentale della Regione Calabria, avesse ricevuto da Antonio Spadafora, titolare di una impresa boschiva, la somma di 20 mila euro per sbloccare le operazioni di taglio di alcuni lotti boschivi dell’ente regionale, sospese dal 2010.

I presunti componenti dell’illecito

Secondo la progettazione accusatoria, l’accordo illecito sarebbe stato promosso da Salvatore Procopio, agronomo che conosceva la Caruso e l’avrebbe indicata all’imprenditore, Antonio Spadafora, come persona in grado di aiutarlo. Il monitoraggio della Caruso ed il servizio di osservazione predisposto il 2 ottobre 2017 avevano consentito di osservare e riprendere l’incontro con l’imprenditore e la consegna di una busta, al cui interno era stata rinvenuta la somma di 20 mila euro.

Per l’accusa, inoltre, i colloqui intercettati nei giorni seguenti avrebbero dato atto dell’inadempimento della Caruso «e del malanimo dell’imprenditore e di Procopio», contrariati dal mancato rispetto degli accordi. «Ulteriori conferme dell’accordo illecito provenivano dall’esame dei tabulati e dalle ammissioni dello Spadafora» evidenzia la Cassazione.

«Irrilevante che Greco fosse accusato di falso»

Nel passaggio successivo della sentenza, si inserisce – seppur velatamente – l’indagine su Carmine Greco ed Eugenio Facciolla. «In base a tali elementi il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus del reato ipotizzato, risultando dai colloqui successivi alla consegna e dalle contestazioni dello Spadafora che il pubblico ufficiale aveva prospettato al privato la possibilità di aiutarlo così inducendolo a consegnare la somma richiesta» aggiunge la Cassazione.

«Ha ritenuto» riferendosi sempre al provvedimento del tribunale di Cosenza «irrilevante la circostanza che uno degli operanti fosse accusato di falso in relazione ad una annotazione redatta nel procedimento in oggetto o che l’imprenditore fosse a consapevole delle intercettazioni in corso a carico del Procopio, in quanto questi rispondeva spontaneamente alle sollecitazioni, dimostrando di essere a conoscenza dell’intera vicenda e della finalità della consegna del denaro, tanto da esprimersi in termini minacciosi nei confronti della Caruso per non aver mantenuto l’impegno».

Come si è difesa Antonietta Caruso

La linea difensiva di Antonietta Caruso si è basata sul fatto che «il ragionamento del Tribunale è viziato in fatto e in diritto, in quanto nel colloquio riportato nell’ordinanza Procopio fa riferimento a un documento e a un prestito fruttifero del quale non vi è traccia in atti, pur risultando dai filmati che la Caruso, prima di ricevere il denaro, firma e consegna un documento allo Spadafora, a riprova del fatto che l’indagata non mente e che non vi è stata alcuna condotta induttiva o coercitiva nei confronti dell’imprenditore».

Secondo la difesa, inoltre, «il tribunale ha ignorato che il maresciallo Greco, secondo il Tribunale del Riesame di Catanzaro e questa Corte è concorrente esterno dell’associazione mafiosa, cui appartiene Spadafora ed è perciò imputato dinanzi al Tribunale di Crotone (LEGGI QUI); che Spadafora concordava con Greco il comportamento da tenere nei confronti della Caruso, tanto che era stato Greco a suggerire luogo e modalità di consegna del denaro per determinare la competenza della Procura di Castrovillari e addirittura, scrivere i messaggi da inviare alla Caruso, come emerso dalle intercettazioni e dall’informativa del Ros di Catanzaro».

«L’esistenza di un accordo tra Greco e Spadafora, che ha agito su impulso di Carmine Greco, deve escludersi che Spadafora sia stato costretto alla dazione illecita dalla Caruso. Il Tribunale ha del tutto trascurato che il procedimento in esame è stato oggetto di indagini da parte della Procura di Salerno con imputazioni di falso in atto pubblico a carico del Greco e del Procuratore capo di Castrovillari e udienza preliminare fissata per il 20 gennaio 2020». Per la cronaca, tutti gli imputati sono stati rinviati a giudizio lo scorso mese di ottobre.

«Si tratta di un prestito fruttifero»

Per l’avvocato difensore di Antonietta Caruso «errata è la qualificazione giuridica del fatto, in quanto la somma non è il profitto del reato, ma un prestito fruttifero, con conseguente configurabilità del reato di traffico di influenze. Il Tribunale ha errato, confondendo l’Afor in liquidazione con Calabria Verde, ente regionale, da cui dipende la Caruso, che non avrebbe potuto sbloccare i lotti assegnati allo Spadafora dalla Afor, ente distinto e diverso; inoltre, la Caruso non è dirigente, ma semplice dipendente di Calabria Verde, quindi, al più incaricato di pubblico servizio, sicché è configurabile il reato di cui all’art. 346-bis cod. pen. che non è richiamato dall’art. 322-ter cod. pen.».

Cosa dice la Corte di Cassazione sull’indagine della Caruso

Riassumendo, la Corte di Cassazione ritiene sussistente il fumus del sequestro preventivo per equivalente. Tutto ciò si desume da:

  • «dalle ammissioni di Spadafora
  • dalla documentazione acquisita, che ne confermava le dichiarazioni relativamente all’aggiudicazione dei lotti boschivi nel 2009, al blocco dei tagli boschivi sin dal 2010 e alle ripetute, ma inutili sollecitazioni dirette all’ente per sbloccare la pratica; 
  • dall’intercettazione dell’utenza della Caruso, da cui emergevano i numerosi tentativi di contatto e i messaggi inviatile da Procopio per contestarle l’assenza di notizie e l’urgenza di incontrarla nonché i messaggi dell’imprenditore per contestarle di “aver preso i soldi senza mantenere l’impegno”; 
  • dalle conversazioni intercettate nell’ufficio di Procopio, fortemente contrariato dal comportamento della Caruso nei suoi confronti e sollecitato dall’imprenditore ad incontrarla; 
  • dai tabulati delle utenze di Procopio, di Spadafora e della Caruso, ritenuti dimostrativi della gestione del rapporto tra l’imprenditore e la Caruso da parte di Procopio, in quanto nei giorni precedenti alla consegna del denaro vi erano contatti solo tra Procopio e la Caruso, mentre quelli tra l’indagata e Spadafora erano avvenuti solo il giorno prima e il giorno della consegna». 

Il legame tra Procopio e la Caruso

«Il collegamento esclusivo tra Procopio e la Caruso – scrive la Cassazione – dimostrava il ruolo di intermediazione svolto dal tecnico nel favorire l’incontro tra il l’indagata e l’imprenditore e nel prospettare la possibilità di ottenere un aiuto concreto per sbloccare la pratica dei tagli boschivi, arenata da anni, in linea con le dichiarazioni dell’imprenditore, secondo le quali Procopio aveva favorito il primo incontro con la Caruso ed era stato presente alla richiesta di denaro, consapevole della consegna, tanto da risultare personalmente colpito dal mancato rispetto dell’impegno da parte dell’indagata, nonché informato anche della predisposizione “della carta” con indicazione del prestito infruttifero da restituire».

«Legittimo il sequestro della somma di denaro»

«Tali elementi giustificano la valutazione del Tribunale sulla sussistenza del fumus delicti, sul ruolo dell’indagata e sul concorso di Procopio nell’induzione indebita, desunto dalla sequenza dei fatti, dalla qualificazione professionale del Procopio e dall’agevolazione del contatto con l’indagata, della quale aveva prospettato la possibilità e la capacità di risoluzione del problema dell’imprenditore, in tal modo inducendo e persuadendo Spadafora ad aderire alla richiesta illecita formulata dalla Caruso in sua presenza» sottolineano gli ermellini.

Per la Cassazione, inoltre, è priva di consistenza la circostanza secondo la quale Antonietta Caruso non fosse un dirigente di Calabria Verde, ritenendo legittimo il sequestro e giusta la configurabilità del reato da parte della procura di Castrovillari.

«Elementi oggettivi contro Antonietta Caruso»

Infine, la Cassazione, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa di Antonietta Caruso, ritiene che «il Tribunale non ha eluso il tema dell’indagine avviata a carico di uno degli operanti (Carmine Greco, ndr) e dell’accusa di falso in atto pubblico elevata a carico dello stesso, evidenziando l’oggettività degli elementi acquisiti e della riscontrata consegna della somma di denaro, né ha trascurato la circostanza che lo Spadafora fosse consapevole dell’intercettazione in corso nell’ufficio del Procopio e ne provocasse i commenti sulla vicenda, rilevando la spontaneità delle risposte di Procopio, che, oltre a dimostrare di essere perfettamente a conoscenza della vicenda, non esitava ad esprimersi pesantemente e persino a minacciare ritorsioni nei confronti della Caruso inadempiente».

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