giovedì,Maggio 15 2025

Calabria connection: gli affari restano, i malati muoiono

Gli stessi investigatori che ne avevano attivamente patrocinato la cattura si meravigliarono molto a non trovare nelle carte di Bernardo Provenzano alcun diretto riferimento al traffico di droga. Non una parola su quello, né su “ammazzatine” o “garrusi da astutari”. Molti invece i pizzini dove si faceva riferimento alle ditte del trasporto e del movimento

Calabria connection: gli affari restano, i malati muoiono

Gli stessi investigatori che ne avevano attivamente patrocinato la cattura si meravigliarono molto a non trovare nelle carte di Bernardo Provenzano alcun diretto riferimento al traffico di droga. Non una parola su quello, né su “ammazzatine” o “garrusi da astutari”. Molti invece i pizzini dove si faceva riferimento alle ditte del trasporto e del movimento terra, oltre che alle forniture, anche in pasti e sanità. Il capo dei corleonesi non era diventato pacifista, come pure qualcuno bislaccamente commentò. Era solo la vecchia mafia del capitale parassitario che si spostava e si spendeva dove lucrava di più. Non basterebbero un Saramago o un Bolaño a raccontare il senso di ripulsa e smacco che viene dalle vicende calabresi in sanità.

Cominciamo da un punto: il commissariamento nasce come strumento eccezionale e fisiologicamente interinale, a tempo. È diventato un istituto di ulteriore indifferenza al diritto: sotto il cappello plenipotenziario, a quanto pare, si sono mossi per decenni i peggiori affari sul crinale tra pubblico e privato. Il commissariato non è una diga, è stato piuttosto interpretato come un cappello pieno di pioggia dal quale far illusoriamente vedere che si sta togliendo acqua dallo scafo per non farlo annegare: sol che nel frattempo lo scafo si è inabissato. La politica ci ha messo del suo: quella centrale a scaricare messi coloniali che hanno interpretato il ruolo con astioso risentimento, fino al terzetto dei dimissionari consecutivi. Fatto salvo il rispetto verso chi è stato denigrato oggi in tutti i modi, dopo i finti ossequi di ieri, i Magi di questo presepio mondano e blasfemo non hanno fatto nulla per indurre impressioni diverse.

Uno ha detto che non sapeva di dover occuparsi di Covid-19, uno ha affermato la non contagiosità del virus rapportandola a lunghi e sfiancanti baci mozzafiato che è impresa da ragazzini e innamorati riuscire a scambiarsi, il buon ultimo ha rinunciato per ragioni familiari che però, nel modo in cui sono state raccontate alla stampa, sembravano più caricaturali che altro. Siamo ora in attesa dei prossimi personaggi, augurandoci, come Pirandello, che ci si possa fermare a sei e che uno dei sei, anche solo incidentalmente, sia quello buono.

Chissà… chi ha partecipato ai tanti sit-in spontanei avutisi dopo l’indizione della zona rossa fa insistentemente il nome di Gino Strada. Concediamoci un inciso: la Calabria finisce in zona rossa non per il rapporto tra contagi e popolazione, ma per il dato generale della sua assistenza medica (screening, posti letto, terapie intensive e dotazioni straordinarie). Ci stiamo adeguando: non potendo in breve tempo riportare su la qualità della salute, crescono inesorabili e nella distrazione i positivi – anche lì, il boomerang è rigorosamente homemade: come si fa a processare un tampone dopo giorni e giorni, perché si deve ricorrere a un test extraregionale con numeri che altrove erano gestiti in (relativa) tranquillità? Quanto a Strada, ci si perdonerà la malizia: un decennio di generali non lo si cura con un subcomandante se il mandato non è normativamente e amministrativamente chiaro. È a volte persino più sincero e agevole ripulire un campo da mine antiuomo che non spalare le polveri accumulate da carte, cartoni, bilanci, acquisti, posti e faccendieri. 

Del resto, alte magistrature (che pure non dovrebbero avere questo come terreno preferenziale di esercizio del diritto d’opinione, almeno se ci fossero condizioni normali e democraticamente sostenibili) pur dicono che una bonifica deve essere seria, fatta col pallottoliere, con la coscienza e con la serrata conoscenza degli accadimenti locali. Staremo a vedere: a modo nostro, “tifiamo”, ma mai come stavolta il risultato conterebbe assai più dell’attaccante che fa goal. 

Ieri mattina, poi, i calabresi si sono svegliati con l’ennesima maxi-inchiesta, che sa come sempre di commistioni ardite tra i piani alti della ‘ndrangheta e gli omologhi della politica e dell’amministrazione. E non sappiamo che augurarci: fedeli al dato costituzionale e ostili allo scandalismo, tutti gli indagati di “Farmabusiness” sono innocenti sino a prova contraria. Da questo non si può transigere, e ciò diciamo sia per quelli che sono stati già classificati “indagati eccellenti” sia per quelli che invece il racconto comune non prende nemmeno in considerazione. Per molti d’essi, tuttavia, era da anni insistente, anche nello specifico ramo delle attrezzature farmaceutiche e parafarmaceutiche, una vox populi se non di colpevolezza, almeno di commistione. L’intrallazzo, direbbe insomma De Filippo. Questa vox populi così smaliziata dal barbiere o a fare la spesa nell’urna elettorale ha sempre nascostamente inclinato in altro verso, tuttavia: e se tutto era marcio, perché tutti hanno ingoiato? Si può sputare dopo aver digerito? C’è attonimento, delusione e anche sincero dispiacere, perché dire sanità in Calabria sembra dire debito pubblico a Roma: dichiarare l’immortalità della sventura nel momento stesso di volerla risolvere. I movimenti sono frenetici, ma, si sa, i gattopardi sono spesso costretti a cambiare posto a sedere per trovarsi a tavola allo stesso punto in cui erano all’inizio del pranzo

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