martedì,Ottobre 15 2024

Violenze sulle donne, il problema non è solo giuridico-processuale

Invece di analizzare l’origine della patologia, ci si concentra di più sul sintomo, e si agisce guidati dalla solita errata ottica punitiva.

Violenze sulle donne, il problema non è solo giuridico-processuale

La questione della violenza sulle donne è oggettivamente esplosa negli ultimi venti anni e questo sviluppo è avvenuto perché il dibattito e l’analisi sulla violenza di genere si è inserito in un processo di trasformazione complessiva della società e della sensibilità collettiva iniziato a fine anni sessanta. A partire da quel periodo, infatti, i contributi teorici sono stati decisivi per la creazione di un contesto sociale in cui l’attenzione, la sensibilità, la denuncia per le violenze subite dalle donne hanno spinto a cercarne i motivi, le cause, ma anche le radici culturali e storiche.

Nonostante ciò, però, il problema della violenza di genere, spesso trattato superficialmente e non correttamente analizzato, tanto da arrivare alla banalizzazione ed all’uso improprio del termine “femminicidio” ogni qual volta ci si imbatte nell’uccisione di una donna, è ben lontano dall’essere risolto. Il motivo è che probabilmente non si interviene in maniera precisa sui modelli culturali che ancora guidano molti dei comportamenti di ambo i sessi, ma ci si limita a circoscrivere il problema all’aspetto giuridico-processuale, che in realtà è chiamato in causa quando il fatto ormai si è verificato.

In sostanza, invece di analizzare l’origine della patologia, ci si concentra di più sul sintomo, e dunque si agisce guidati dalla solita errata ottica punitiva secondo cui basterebbe produrre nuove leggi per arginare il male. Un operare al contrario, dunque, che ha dimostrato tutto il suo fallimento con l’ormai famoso Codice Rosso al quale per l’effetto, sono seguiti soltanto intoppi nella gestione dei casi ed un impietoso incremento costante delle denunce per violenze domestiche.

Poca attenzione, invece, si dedica al vero limite esistente rispetto al raggiungimento di un’effettiva uguaglianza di genere: gli stereotipi, il sessismo e la violenza femminile contro le donne. Eppure non solo quest’ultima è altrettanto preoccupante, ma è spesso pericolosa e dannosa quanto quella maschile per la vittima destinataria, nonché pregna di preconcetti.

Basti pensare al recente caso di cronaca che ha visto protagonista una maestra, non solo vittima di revange porn, ma anche licenziata a causa della cultura sessuofobica, maschilista e violenta del contesto in cui il fatto si è verificato. Proprio in questo episodio è, infatti, emersa in tutta la sua grettezza, la trasformazione delle donne coinvolte in terribili carnefici e personificazione del pregiudizio. La violenza che nasce dall’invidia femminile e dall’impossibilità di essere se stessa e non solamente di non poter essere l’altra, sfocia, d’altra parte, in sentimenti di violenza crudele.

Non a caso l’invidia è il sentimento della mancanza e non della perdita, che è invece il sentimento della gelosia: si è invidiose per ciò che non si ha e che le altre hanno e si è gelose per ciò che si aveva e non si ha più, in quanto perduto. Questo non è certamente un discorso di genere, perché anche gli uomini gelosi o invidiosi si comportano allo stesso modo. La differenza sta, però, nel fatto che la violenza dell’uomo è indirizzata verso gli altri indifferentemente, salvo essere più facilmente realizzabile contro le donne per una serie di variabili, in cui la debolezza fisica femminile non è mai causa bensì effetto.

In essa è in gioco l’immagine simbolica dell’altro, perché l’uso della violenza è causato dalla necessità di affermazione del valore di se stesso e dunque per un senso di prevaricazione sull’altro annullandone l’esistenza. Quella della donna contro la donna è spesso, invece, una violenza punitiva dell’immagine femminile. La sua “necessità” di violenza non è tanto finalizzata all’annullamento, quanto più al recare sofferenza e distruzione morale: la conseguenza di questo atteggiamento interiore sono il parlarne male o la divulgazione quasi compiaciuta di immagini pregiudizievoli, come nel caso sopra citato.

Allo stesso modo, si spiega il perché, interrogate su fatti concreti, molte donne insistono nel ritenere che siano alcuni comportamenti delle donne a generare interessi sessuali non corrisposti. È oggettivo, inoltre, come ancora oggi, una gran parte delle donne stesse continui a pensare che per l’uomo, più che per la donna, sia molto importante avere successo nel lavoro e che gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche, giudicando negativamente la donna che decide di intraprendere un percorso di vita non proprio ordinario, secondo i loro stereotipi.

Concludendo, dunque, va benissimo celebrare la giornata del 25 novembre con manifestazioni, simboli sulla faccia, panchine e scarpette rosse per strada, ma non bisogna dimenticare che la data in questione è stata scelta per ricordare il giorno in cui tre giovani donne furono uccise per delle ragioni ben precise.

Erano attiviste politiche molto esposte ed impegnate sul fronte di opposizione di resistenza democratica del Movimiento Revolucionario Dominicano, che agivano concretamente in nome di una cultura del rispetto come parte integrante della formazione degli individui e, per questa ragione, messe a tacere.