Come evitare la fine del pollo
Al fischio finale di Cosenza-Reggiana, tirato ormai giù l’intero calendario delle recriminazioni, mi sono aggrappato all’immagine di Mike McDermott. Non so se avete mai visto Il giocatore con Matt Damon – io sì e non ve ne svelerò il finale. Ad ogni modo, il film si apre con questa scena qui. Nel poker come nel calcio, per
Al fischio finale di Cosenza-Reggiana, tirato ormai giù l’intero calendario delle recriminazioni, mi sono aggrappato all’immagine di Mike McDermott. Non so se avete mai visto Il giocatore con Matt Damon – io sì e non ve ne svelerò il finale. Ad ogni modo, il film si apre con questa scena qui.
Nel poker come nel calcio, per riprendere la citazione che tutti conoscono di questa pellicola, il punto è questo: se non riesci a individuare il pollo nella prima mezz’ora di gioco, allora il pollo sei tu. E, contro la Reggiana, il Cosenza si è illuso che le nitide occasioni da gol capitate nel primo tempo sui piedi di Carretta, Vera e Balù fossero l’anticamera della prima vittoria casalinga. Invece, eccoci qui ancora all’asciutto al Marulla: cinque partite, due pareggi e tre sconfitte consecutive (Brescia, Salernitana e Reggiana: tutte molto diverse tra loro, e io credo che recrimineremo a lungo sulla prima e sulla terza), tre reti segnate. Tra le mura amiche, solo l’Entella ha fatto peggio di noi.
Il primato di peggior attacco della categoria, invece, per ora purtroppo non ce lo leva nessuno. Sta diventando una psicosi non segnare, ha riassunto il Principe a caldo. E questo è apparso chiaro anche nelle chance fallite da Ba e Petre nella ripresa. La verità è che la porta non è mai “stregata” – detesto questa parola. Il calcio è un gioco di piedi e, soprattutto, di testa. E la “psicosi” riassume benissimo cosa sta succedendo: in condizioni di scarsa lucidità, se i mezzi tecnici difettano, i piedi cercheranno sempre la soluzione più complicata. Adesso tiro alto e forte, così il portiere non la prende sicuro(Ba); angolo il più possibile così Cerofolini stavolta non ci arriva (Petre). I “killer” dell’area di rigore sono fatti diversamente e quel ragazzo col sorriso onesto e il fisico asciutto e scavato, portatoci via da questo maledetto 2020, nel 1982 portò l’Italia sul tetto del mondo perché sapeva sfruttare proprio l’astuzia per segnare sempre nel modo apparentemente più semplice. Il Cosenza, un prototipo di giocatore così purtroppo non ce l’ha. Ne aveva due (Riviere e Asencio), ma oggi non ne ha né la controfigura, né l’ombra.
Non è, dunque, una questione di gioco: il Cosenza non ha giocato male neppure contro la Reggiana (squadra “tirchia” e operaia). O, almeno, non nel primo tempo (dopo il ventesimo, Alvini è stato astuto a imporre la marcatura a uomo su Petrucci per limitarne il raggio d’azione) e, in parte, nel quarto d’ora seguito al vantaggio ospite. Occhiuzzi ha fatto bene a puntare dal principio sull’unico giocatore, nella nostra rosa, in grado perlomeno di avvicinarsi alle remote caratteristiche di un surrogato di centravanti: Gliozzi. Non vorrei che la perifrasi apparisse irrispettosa, ma quel che invece trovo io irrispettoso (per lui e per noi) è che il ruolo di punta titolare sia affidato, per ristrettezze, a un venticinquenne che, prima di arrivare a Cosenza, aveva solo 8 presenze in Serie B. Gliozzi il suo lo fa piuttosto bene, con i mezzi che ha: aiuta la squadra a salire, tiene occupati i marcatori e tutto questo è un bene per un gioco come il nostro.
Lo dimostrano, per converso, le ultime reti subite dal Cosenza. Contro la Salernitana, il Vicenza e la Reggiana, la difesa rossoblù è presa sempre d’infilata, mentre il centrocampo è impegnato nella costruzione della manovra e non fa in tempo a rientrare per fare opposizione. L’assenza di un vero centravanti obbliga quasi sempre 7/11 della formazione (spesso otto, con Tiritiello) a salire nella metà campo avversaria per aumentare la pericolosità offensiva. Cosa che libera sistematicamente spazi alle spalle della linea mediana.
Ed è per questo che io, che solitamente non critico le sostituzioni, stavolta mi ritrovo con parecchi dubbi sui cambi proposti da Occhiuzzi nella ripresa. Premesso (e sottolineato più volte) che il materiale tecnico è quel che è, l’ingresso di Ba e della Gaccia Charrua per Sciaudone e Balù mi ha sorpreso parecchio. Per come la vedevo io (e, dunque, male, perché dalla televisione le partite si capiscono peggio) ad uscire dovevano essere Petrucci e Carretta: il primo perché non in grado di dare fisicità alla mediana in un momento di svolta della partita (e, forse col senno di poi, avrei preferito Koné a Ba); il secondo perché esausto.
Qui arriviamo all’ultimo punto di ciò che serve per non fare la fine del “pollo” de Il giocatore. La caratteristica del Cosenza targato Occhiuzzi – quello della formidabile rincorsa salvezza di giugno e luglio – era il classico hit the first. Nel campionato in corso, invece, solo a Frosinone i Lupi sono andati in vantaggio. Per una squadra, che gioca impegnando molta parte dell’organico nella fase offensiva, non colpire per primo nella prima mezz’ora risulta alla lunga fatale. E rischia di esserlo ancora di più nelle prossime due sfide (Ascoli e Cremonese), che possono portare il Cosenza fuori dalle secche oppure inguaiarlo ancora di più nei bassifondi.
Come se ne esce? Ne Il giocatore, Mike McDermott torna sui suoi passi (ve l’ho detto che non vi avrei rivelato nulla della trama). Con una serie di regole precise.
La regola numero uno impone di gettare le carte quando si sa che non sono vincenti. Occhiuzzi ormai i suoi uomini li conosce bene. Faccia come a luglio: inutile cambiare ancora formazione e puntare di rincorsa su giocatori che, alla prova dei fatti, falliscono sempre. Prenda gli stessi undici, come accadde dal match col Perugia in poi, e scommetta forte su di loro. Gli affidi responsabilità con continuità.
La regola numero due è: più l’avversario è simpatico, meno sa giocare. Il Cosenza non deve “giocare bene”: deve vincere. E deve cominciare a vincerne parecchie, anche in modo brutto, sporco e cattivo.
La terza e ultima regola è che è immorale lasciare che un merlo si tenga i propri soldi. Nel mercato estivo la società ha speso poco. Qualche settimana fa (lo scrivevo qui) scrissi che, in fondo e tra mille incertezze legate al Covid, era un rischio percorribile. Adesso è chiaro cosa c’è davvero dietro quel rischio: la retrocessione, visto che la Lega ha deciso di non modificarne i criteri.
Ci sono giocatori arrivati in estate – e faccio senza problemi i nomi di tutti: Ba, Sacko, Petre, Bouah e Ingrosso – che hanno deluso. Non con la stessa faccia tosta di Kanouté e Pierini, ma hanno fallito le chance (parecchie) a disposizione. Tolgo dalla lista Petrucci e Borrelli, perché in un caso qualcosa s’è intravisto e nell’altro s’è visto ancora troppo poco. Ad ogni modo dietro quei cinque nomi (non una lista di proscrizione, ma una valutazione tecnica personale) ci sono un mediano, due attaccanti, un terzino e un difensore centrale. E devono essere i cinque nuovi arrivi di gennaio. A prescindere dai risultati che la squadra otterrà da adesso a fine dicembre. Altrimenti, dopo due miracoli (tre, con la promozione del 2018), la fine del pollo stavolta rischiamo di farla noi.