mercoledì,Novembre 13 2024

Cardona: “Io primo prefetto a fare zona rossa, scelta più difficile mia carriera”

Il senso del dovere ha motivazioni più forti di qualsiasi paura. Lo sa bene Marcello Cardona, “primo prefetto in Italia ad avere la delega del governo a realizzare la zona rossa in Italia” e a prendere una decisione che non esita a definire “la più difficile” della carriera. Intervistato dall’Adnkronos ricorda ogni istante di quei

Cardona: “Io primo prefetto a fare zona rossa, scelta più difficile mia carriera”

Il senso del dovere ha motivazioni più forti di qualsiasi paura. Lo sa bene Marcello Cardona, “primo prefetto in Italia ad avere la delega del governo a realizzare la zona rossa in Italia” e a prendere una decisione che non esita a definire “la più difficile” della carriera. Intervistato dall’Adnkronos ricorda ogni istante di quei momenti vissuti a Lodi con la lucidità di chi è abituato ad affrontare scelte importanti, ma anche con l’umanità di chi il Covid l’ha vissuto sulla propria pelle. Il suo è il racconto di chi ha affrontato senza paura “una guerra”, ha “visto la morte in faccia” e ore si gode la rinascita di una terra che ha pagato un prezzo altissimo.  

“Ricordo ogni istante della sera del 20 febbraio: ricevo una telefonata di Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della Protezione Civile, il quale mi avvisa che c’è il primo contagiato per Covid. Non ho paura, ma capisco subito la gravità della situazione e penso bene di mettermi in contatto con i vertici dell’ospedale e di decidere per la chiusura”. Poche ore dopo Codogno diventa la città simbolo dell’emergenza coronavirus e viene ‘isolata’. “Realizzare la zona rossa è stata la scelta più difficile della mia carriera, anche rispetto a situazioni che ho affrontato alla Criminalpol o nelle vesti di questore di Milano, Catania o da vicario di Roma. È stata una misura che pesava sulla vita di 50mila persone, sulle loro libertà e sul loro lavoro con reazioni umane difficilmente prevedibili”.  

Una decisione frutto di una collaborazione tra istituzioni – “devo ringraziare i vertici delle forze dell’ordine, tutti fin dalle primissime ore si sono messi a disposizione con ogni mezzo” – e le associazioni di imprese. “Quando Codogno e la provincia di Lodi erano considerati luoghi infetti ed era difficile far arrivare anche beni di prima necessità non posso dimenticare la serietà dell’allora presidente di Assolombarda Carlo Bonomi e di Carlo Sangalli alla guida di Confcommercio Milano. Il mondo ci guardava e noi siamo riusciti a dare una buona prova” dice Cardona, 64 anni, calabrese di nascita ma lodigiano d’adozione.  

In 38 anni di servizio nel settore dell’ordine e della sicurezza pubblica, dopo aver trattato casi di sequestri e aver vissuto gli anni del terrorismo, il Covid resta un capitolo “che può riempiere un intero libro. Quando dicono che è stata una guerra non è sbagliato, ci siamo rimboccati tutti le maniche e abbiamo lottato per la sopravvivenza. Non immaginavo l’infezione si sarebbe propagata così velocemente e con un numero così alto di morti. Il mio umore è cambiato, e non nascondo l’angoscia, quando vedevo crescere il numero delle vittime. Tutte le sere – racconta Cardona – sentivo i sindaci e il loro bollettino era sempre più drammatico. C’è stato chi come il sindaco di Cassano d’Adda nell’elenco dei decessi ha contato anche la madre”.  

Numeri che in cittadine di provincia hanno volti conosciuti e allargano il dolore di una famiglia a quello di una comunità. “Non potrò mai dimenticare la mia visita all’ospedale di Lodi a inizio marzo. C’erano non meno di 200 persone ricoverate e assistite da medici e infermieri, le barelle e le bombole di ossigeno erano ovunque”.  

E in ospedale Cardona c’è stato non poco, strappando un biglietto della lotteria per il ritorno a casa. “Sono stato fortunato, grazie a chi mi ha spronato e sorretto e ai sanitari che mi hanno curato tra cui il professor Alberto Zangrillo, io sono vivo ma penso a tutte quelle famiglie che hanno perso un proprio caro. So molto bene cos’è la solitudine e come questo virus ti resta dentro”. Una sensazione intima e fisica.  

“All’inizio non riuscivo a fare due gradini e mi mancava il respiro, camminavo un minuto e dovevo fermarmi. L’attività fisica è importante per il recupero e da calabrese testardo ogni giorno aggiungevo un minuto alla passeggiata nel cortile della Prefettura. Oggi – dice Cardona – corro dieci chilometri in meno di un’ora, corro perché farlo mi dice che sono vivo. Il corpo ha recuperato, ma il coronavirus ti lascia una visione della vita diversa. Ai negazionisti bisognerebbe fare un Tso (trattamento sanitario obbligatorio, ndr). Io ho visto la morte in faccia e bisogna che chiunque capisce quanto è importante proteggersi e seguire le regole”.  

Da Roma, a fine dicembre 2020 è diventato commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti, Cardona ora vede ‘risorgere’ la sua seconda casa.  

“Lodi e la provincia non sono più la terra degli untori, ma di chi con il proprio lavoro sta tornando a far crescere il Pil. Sono molto grato agli imprenditori che hanno contribuito affinché tutto potesse ripartire in sicurezza, sono l’immagine dell’Italia seria, che si rimbocca le maniche e funziona. Da cittadino, prima che da prefetto, ho capito con certezza che ce l’avremmo fatta quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è venuto in città. Il suo sguardo, la sua saggezza dialettica, ci ha fatto capire che era il momento della ripresa, la sua presenza – conclude Cardona – è stata fondamentale per Codogno e per l’intero Paese che in dodici mesi è passato dal lockdown al piano vaccini dimostrando una grande capacità di reazione”. 

Fonte: AdnKronos