Carlo Cuccomarino, suonava a sinistra la lira di Orfeo
Ho perso in un viaggio a Roma uno dei più bei dischi di Nick Cave: Abattoir Blues and the Lyre of Orpheus. Un album doppio, inconsuetamente carico nonostante l’immaginario evocativo e lirico della sua copertina. Ne parlavo con Carlo Cuccomarino, che era la mia interfaccia di riferimento sul versante musicale. Carlo troneggiava senza cattedra e
Ho perso in un viaggio a Roma uno dei più bei dischi di Nick Cave: Abattoir Blues and the Lyre of Orpheus. Un album doppio, inconsuetamente carico nonostante l’immaginario evocativo e lirico della sua copertina. Ne parlavo con Carlo Cuccomarino, che era la mia interfaccia di riferimento sul versante musicale. Carlo troneggiava senza cattedra e senza scettri, men che meno corone, nel suo negozio di dischi, una perla della musica cosentina. Aveva ancora gli espositori con l’elastico, di quelli fruibili, toccabili, coi dischi che prendi a mani nude e che magari senti col proprietario dopo un pomeriggio di pioggia. E anche questo la diceva lunga su che persona fosse. L’apparenza asprigna del militante deluso celava una generosità semplice, torrenziale, disponibile.
Ovviamente sarebbe anche troppo poco riassumere il percorso di Carlo Cuccomarino identificandolo nel suo “Orfeo Dischi“, spoglio del resto perché zeppo all’inverosimile di musica che altrimenti non avremmo mai sentito e conosciuto. Carlo era, se hanno ancora un senso queste categorie, un “operaista”, nel senso che aveva seguito il percorso dei partiti operai e della loro eresia di movimento e contestazione. Un devoto laico di quel malinteso e troppo represso e accerchiato movimento collettivo che veniva e viene chiamato “autonomia”, e che prima si era abbeverato generosamente del lavorio teorico di tantissimi intellettuali, pubblicazioni, fogli fotocopiati in proprio, letture, musiche, concerti, iniziative, lotte. Era tra quelli che hanno consentito alla città di sperimentare metodi dell’azione e della rivendicazione che non nascevano a Cosenza, ma che alle nostre latitudini potevano germogliare una bellezza nuova, un sentire diverso e comune, un percorso di condivisione.
Carlo, o Carletto più spesso chiamato, progetti ne lanciava tantissimi e tanti, forse ancora di più, ne partecipava. Uno della prima leva di Radio Ciroma, una bella boccata d’ossigeno che (dis)educò gioiosamente buona parte dei giovanissimi nei primi Novanta cosentini e che tutt’oggi proietta le frequenze delle sue trasmissioni, della sua musica, del suo ritmo tra scantinati e rivoluzione globale, tra indigeni e accenti delle confluenze, tra speciali e nuovi innesti. Carlo, ancora, ricercatore autonomo, uno che provò a fare con altri un esperimento editoriale di rivista critica meridionale, Sud Comune, che intersecava il pensiero meridiano con la riflessione negriana sulla categoria politica e giuridica del “comune”. La città non capì forse appieno le potenzialità di quell’esperimento, che era perfettamente coerente tuttavia a un percorso di vita.
Un pensatore da dribbling, da finta a rientrare, sempre con l’ossessione del “lavoro vivo”: tra i primi a percepire la forza disgregativa di part time, job on call e altre diavolerie. Per dirne una, un recentissimo De Gregori canta, in Acido Seminterrato, “vai vent’anni a scuola, non mollare: trovati un posto in un call center per mangiare”. Si tirava gioiosamente l’orario di chiusura dopo i pomeriggi passati a comprare le magliette dei gruppi (forse entro ancora in quella degli MC5, dovessi trovarla la metterei), a discutere di America e impero, di dischi e band, senza il minimo complesso. Scoprivi che conosceva Alec Empire e Trent Reznor, che si divertiva a far suonare il live dei Black Crowes e che sulla fiducia (se non lo compravi ti voleva bene lo stesso: lo aveva preso per te, quando vuoi è qui) ti conservava le rarities che associava ai tuoi gusti musicali.
Ho le bsides degli Suede, i remix salsa ed elettronica di Beck, un EP dei Massive Attack e introvabili primi lavori di Massimo Volume e Giardini di Mirò grazie a Carlo Cuccomarino. Ogni volta che ci si incrociava lanciava una discussione, un invito, un momento di confronto. Sempre più dentro e sempre più contro all’indifferente male radicale del nostro tempo: la costruzione del potere che ha smesso di essere costituzione di moltitudine. Per avventura potevi trovarti in mano un cd mai visto prima e lui con la coda dell’occhio già sapeva cosa dire: “questo è un gran disco”. E oggi un altro giorno è andato, la sua musica ha finito.