giovedì,Marzo 28 2024

Csm, verbali di Amara e ‘loggia Ungheria’: nomi citati smentiscono avvocato

“Io facevo parte di una loggia massonica coperta formata da persone che ho incontrato attraverso persone di origini messinesi, dove questa loggia è particolarmente forte”. E’ quanto si legge nei verbali dell’avvocato siciliano Piero Amara, relativa alla presunta loggia “Ungheria”, pubblicati da ‘La Verità’. Verbali il cui contenuto viene seccamente smentito dai nomi tirati in

Csm, verbali di Amara e ‘loggia Ungheria’: nomi citati smentiscono avvocato

“Io facevo parte di una loggia massonica coperta formata da persone che ho incontrato attraverso persone di origini messinesi, dove questa loggia è particolarmente forte”. E’ quanto si legge nei verbali dell’avvocato siciliano Piero Amara, relativa alla presunta loggia “Ungheria”, pubblicati da ‘La Verità’. Verbali il cui contenuto viene seccamente smentito dai nomi tirati in ballo da Amara e che appaiono non privi di contraddizioni e circostanze che non tornano. 

Secondo il quotidiano, il “6 dicembre 2019 Amara era a Milano, davanti ai pm Laura Pedio e Paolo Storari. Presenti anche un colonnello della Finanza e tre stenotipisti. Con Amara il suo avvocato, Salvino Mondello, perché il leguleio siracusano era stato convocato come persona indagata”. Quello “del 6 dicembre 2019 – evidenzia ‘La Verità’ – ha l’aria di essere il primo” dei nove “misteriosi verbali” di “cui si parla. E’ la prima volta in cui il testimone assistito parla della loggia ‘Ungheria’, chiamata così perché si riuniva a Roma in piazza Ungheria, nell’abitazione di un importante magistrato. Lì, secondo Amara, sarebbero state decise le sorti di più di una toga. A introdurre Amara nella loggia sarebbe stato Gianni Tinebra, ex capo del Dap. Magistrato ‘con cui avevo ottimi rapporti’, dice Amara. Il giudice è passato a miglior vita e non può confermare. Al contrario di tutti i citati nel verbale che, contattati dalla Verità, hanno smentito categoricamente”. 

Stando al racconto di Amara, prosegue ‘La Verità’, ne farebbero parte “magistrati, forze dell’ordine, alti dirigenti dello Stato e alcuni imprenditori”. Amara, prosegue il quotidiano, “ha anche affermato di conservare ‘una lista di circa 40 persone’, che però, stando al verbale, non avrebbe consegnato. Anche perché nessuno gliel’ha chiesto. Accuse bomba non verificate, insomma. A Milano nessuno ha ritenuto di dover indagare per decidere se Amara sia un pentito genuino o un calunniatore? Forse perché, come ha detto il pm romano Paolo Ielo, era un testimone fondamentale nel processo sulle corruzioni al Consiglio di Stato, procedimento in cui ha cominciato a parlare. Anche se, secondo il pm Stefano Fava, che voleva arrestarlo, ha consentito di mettere sotto accusa solo ‘quattro pensionati’…”. 

Ma “anche nel processo Eni a Milano (finito con assoluzioni) – prosegue ‘La Verità’ -, le sue dichiarazioni sono state utilizzate per provare a disarcionare il giudice Marco Tremolada. Sicuramente Amara e Calafiore (suo collega, ndr) sono stati teste di ariete, specializzati in accuse a magistrati. Adesso dalla Procura di Milano fanno sapere che a maggio 2020 avevano iscritto sul registro degli indagati proprio Amara, il sodale Calafiore e il collaboratore Alessandro Ferraro. Ma fino a quando non ha parlato Nino Di Matteo tutta questa storia restava nei corridoi, ma nessuno ne scriveva”. 

Per ‘La Verità’, “l’attenzione dei pm milanesi è caduta su un appunto denominato ‘keepwild’. Il primo nome che compare è quello di Carlo Maria Capristo, ex procuratore di Trani e poi di Taranto, imputato a Potenza per tentata concussione e arrestato un anno fa. Nell’appunto, che risalirebbe al 2015, si fa riferimento alle domande presentate da Capristo alla Procura generale di Perugia, a quella di Firenze e a quella di Taranto. Le correnti, è scritto nel keepwild, ‘hanno già deciso che vada a Taranto o a Perugia’. Alla fine andrà a Taranto. Amara spiega ai pm milanesi che ‘Capristo era molto amico’ di un suo conoscente, ‘Filippo Paradiso’, poliziotto pugliese che in passato ha prestato servizio negli uffici di diretta collaborazione di vari sottosegretari alla presidenza del Consiglio. Sarebbe stato il poliziotto a dire ad Amara che ‘all’interno del Csm c’era un veto’ su Capristo ricollegabile a Luca Lotti”. 

Subito dopo ‘La Verità’ evidenzia: “Paradiso sapeva – afferma Amara -, ‘che io avevo fortemente finanziato, tramite Bacci (Andrea Bacci, ndr), Lotti, e che quindi avevo un potere nei suoi confronti’. Amara parla di un incontro a casa sua a Roma, al quale Lotti non si sarebbe presentato e a tarda serata avrebbe mandato un messaggio a Bacci invitandoli a raggiungerlo. ‘Non ricordo il nome del ristorante’, dice Amara, ‘ma era un luogo che Lotti frequentava abitualmente’. E per Amara ‘avere il placet di Lotti significava avere la maggioranza al Csm, in quanto aveva rapporti sia con Ferri che con Palamara che con la componente laica del Pd’. Lotti e Cosimo Ferri smentiscono in toto”. E, prosegue ‘La Verità’, “sembra che, come sempre, Amara mescoli pezzi di verità e menzogne per confondere le acque. L’incontro con Lotti, per esempio, fu casuale. ‘Tornava dal calcetto’, dice Bacci alla Verità. Non si trattava, insomma, di un appuntamento. E non ci fu una cena. ‘Lotti mangiò per i fatti suoi’. Capristo si avvicinò al politico e i due parlarono. Sugli altri punti del racconto più di qualcosa non torna. Bacci, per esempio, smentisce pure la storia del finanziamento”. 

Non c’è solo Capristo, spiega ‘La Verità’, “nella versione di Amara. Spunta il nome di Lucia Lotti, ex capo della Procura di Gela ora procuratore aggiunto a Roma. La ricostruzione parte da lontano. Amara sostiene che la pm le fu presentata nel 2008 da un avvocato che gli ‘prospettò la volontà della dottoressa di andare a ricoprire l’incarico a Gela’. Gli fu detto anche che la Lotti sapeva che al Csm non aveva l’appoggio del consigliere Udc e pertanto chiese di parlare con lui ‘per risolvere questo problema’. Amara racconta di aver incontrato Saverio Romano, esponente nazionale dell’Udc, dal quale avrebbe ottenuto ‘la sua disponibilità’. Aggiungendo, ‘per me Gela era una sede molto importante per gli interessi dell’Eni’. La pm, contattata dalla Verità, si è detta ‘stupefatta’. Ha confermato di conoscere Amara, perché si occupava, da avvocato, di reati ambientali ma con lui, ha spiegato, ‘ci sono stati solo rapporti professionali’. Alla domanda sulla loggia la pm è scoppiata a ridere. Poi si è detta ‘senza parole’. E anche Saverio Romano trasecola. ‘Non ci credo nemmeno se lo vedo. Non ho mai fatto parte di logge massoniche’. Poi aggiunge: ‘Mai incontrato né sentito parlare di queste persone. Sa, immagino che in una loggia ci si conosca, io nemmeno quello’…”. 

“Altro magistrato – prosegue ‘La Verità -, si parte da un appunto di Calafiore: ‘So che l’attuale procuratore generale di Torino scese a Roma per incontrare Amara per avere l’appoggio dei laici’. Amara aggiunge: ‘Si tratta del dottor Saluzzo (Francesco Enrico Saluzzo, ndr)’. E parte con la storia. La premessa è che Michele Vietti, già vicepresidente del Csm, gli mandò Saluzzo a Roma. ‘Io’, spiega Amara, ‘già sapevo che faceva parte dell’Ungheria e comunque la circostanza mi fu confermata dal modo in cui mi salutò premendomi l’indice tre volte sul polso mentre mi stringeva la mano’. Anche Saluzzo, secondo Amara, aveva bisogno di Luca Lotti per ‘problemi i laici del Pd’. Sennonché Saluzzo al telefono dice a chiare lettere: ‘Amara? Io non so neanche chi è questo qua’. E la loggia? ‘Non ne ho la minima idea. Non sono iscritto ad associazioni, a una confraternita né a circoli ricreativi’…”. 

Si parla “anche di Milano”, scrive poi ‘La Verità, “e della presenza di toghe della Procura del capoluogo lombardo nella loggia coperta. Amara risponde: ‘Sì, Livia Pomodoro’. Pomodoro è stata presidente del Tribunale milanese dal 2007 al 2015. Contattata dalla Verità, non riesce a capacitarsi del perché sia stato fatto il suo nome. ‘Sono andata in pensione nel 2015, non frequento più le aule di giustizia e non conosco la persona di cui mi sta parlando. Né so di logge o a cosa servissero’. 

Ma la lista è lunga. Per Amara c’è Luigi Bisignani, il giornalista da poco assolto nel processo Opl 245. “Il problema è che non si capisce come mai Amara faccia rientrare nella loggia sia Vincenzo Armanna sia Bisignani, dal momento che il primo è diventato al processo l’accusatore delle tangenti. Bisignani, contattato, si mette a ridere. ‘L’unica cosa che mi viene in mente è bar Hungaria dove negli anni ’70 facevano i più buoni hamburger di Roma. Quando uscivo dall’Ansa mi tenevano sempre un tavolo’…”. 

A “un certo punto – aggiunge ‘La Verità’ – i pm domandano di un appunto in cui si fa riferimento a Maurizio Musco, magistrato di Siracusa. Amara si sarebbe speso per salvare Musco dal trasferimento che volevano ‘Severino (Paola Severino, ndr) e la Marcegaglia’. La storia, però, è diversa. Fu infatti la Severino, legale di Claudio Descalzi, da ministro nel 2012 a chiedere l’allontanamento di Musco da Siracusa per il ‘reiterato uso distorto delle funzioni’ di pm. E nel 2017 Musco è stato condannato a 18 mesi in Cassazione per abuso d’ufficio. Secondo Amara anche Severino farebbe parte della loggia come l’ex presidente Emma Marcegaglia, che caso vuole fosse presidente dell’Eni proprio quando l’avvocato siciliano fu cacciato”. L’ex ministro, sottolinea ‘La Verità, “smentisce: ‘Posso solo dirle di non essere mai stata iscritta ad alcuna loggia’. Marcegaglia anche: ‘Non ho mai fatto parte di nessuna loggia di sorta. Non ho mai conosciuto né incontrato in vita mia l’avvocato Amara. Sono pronta a tutelare la mia onorabilità in ogni debita sede competente’”. 

“Non è l’unica – conclude ‘La Verità’ – ad annunciare azioni giudiziarie contro Amara. Ora di lui si sta occupando la Procura di Perugia. In zona Cesarini (alla vigilia della richiesta di rinvio a giudizio) le sue dichiarazioni sono state usate anche per consolidare le accuse contro Palamara, Fabrizio Centofanti e i loro coindagati. Ma sulla superloggia bocche cucite. Per ora”. 

Fonte: AdnKronos