Il pallone sgonfio
Sono passati diciassette giorni e sono ancora qua. Eugenio Guarascio è ancora il presidente del Cosenza Calcio, Stefano Trinchera ne è ancora il direttore sportivo e Roberto Occhiuzzi l’allenatore. Intendiamoci: non credevo di avere i superpoteri, quando scrissi a caldo Ancora qua state? E tuttavia, nella mia ingenuità da asini che volano, non pensavo nemmeno di trovare tutti
Sono passati diciassette giorni e sono ancora qua. Eugenio Guarascio è ancora il presidente del Cosenza Calcio, Stefano Trinchera ne è ancora il direttore sportivo e Roberto Occhiuzzi l’allenatore. Intendiamoci: non credevo di avere i superpoteri, quando scrissi a caldo Ancora qua state? E tuttavia, nella mia ingenuità da asini che volano, non pensavo nemmeno di trovare tutti al proprio posto.
A cominciare dalla triplice intesa che ha firmato il disastro della stagione 20/21. Con retroscena fantozziani, come quello degli 800mila euro per la valorizzazione di under 23: sarebbe bastato non dimenticarsi dell’esistenza di Sueva e Bouah, spariti dai radar rispettivamente a marzo e tra gennaio e aprile, per non perdere quel “tesoretto”. Il destino vuole che si tratti, più o meno, della somma incassata per la cessione di Baez a gennaio. A casa mia, avrebbero detto: “Mo’ t’ha sì ‘mparata a lezione?”.
Mille battute (spazi compresi) di un comunicato sono invece state ritenute sufficienti dal presidente per liquidare la quinta retrocessione dei Lupi in serie C. A due settimane di distanza, le rileggo e non posso che sorridere per il loro essere letteralmente fuori dal mondo. Dal “mondo dei fatti”, intendo. “Per la prima volta in dieci anni facciamo un passo indietro” è falso. Una prova su tutte: il 31 luglio 2020 il Cosenza si era salvato con gli stessi punti dell’anno prima, ma ben cinque posizioni più giù. Era un campanello d’allarme e nessuno, evidentemente, ha inteso ascoltarlo. A cominciare dal presidente.
“Adesso è il momento di reagire, immaginare e programmare il futuro” è invece già stato destituito di ogni fondamento dalle “non azioni” che sono seguite in queste due settimane. Negato un confronto pubblico, che la stampa aveva richiesto. Nessuna scelta su nuovi ds e allenatori. E voi direte: “Ma neppure Virtus Entella e Reggiana hanno ancora fatto niente di simile”. E io vi rispondo che è vero, ma la Virtus Entella ha un settore giovanile all’avanguardia e la Reggiana si è data ancora sette giorni di tempo per farlo. L’unica “reazione” del patron rossoblù si riassume nel fastidio, espresso da vero cuordileone soltanto in privato, per la fortissima contestazione di ultras e tifosi al grido di Guarascio vattene e nella chiusura alle due trattative (Di Donna e iGreco) che, finora, si erano affacciate per l’acquisto del Cosenza. Dunque, Guarascio vuole stare ancora qua.
Intendiamoci: l’ipotesi dell’esproprio gode di solide garanzie costituzionali, ma pare che in questo caso non sia una strada praticabile. Dunque, è evidente che il presidente di una società di calcio dispone del suo bene come meglio crede. Ha la facoltà di trarne profitto, ma pure quella di farla fallire (come Jep Gambardella). Guarascio è convinto che il Cosenza, in serie C, abbia un valore vicino a 2,5 milioni. Piuttosto costoso come hobby. Ed è in questa distanza, tra valore e passatempo, che temo si continuerà a non capirsi.
Tre anni fa, il Monza (39 campionati di serie B nella sua storia) passò a Berlusconi. Per 3 milioni. Direi che basta questo per capire quanto sia destituita di fondamento la valutazione del patron rossoblù.
Ancora. Due anni fa, con una partita magistrale il Cosenza mandò la Salernitana a un passo dalla serie C. Ora Lotito l’ha messa “in vendita” per una cifra vicina ai 40 milioni. Somma forse esagerata, ma che corrisponde al valore che Lotito ha “trasferito” ai granata. Riportandoli in serie A. Investendo in giocatori (Tutino e Casasola, tanto per citare due nomi e farci del male).
Invece il valore che Eugenio Guarascio ha dato al Cosenza, nei fatti, è zero. Zero è quanto ha stanziato nel mercato. Zero è quanto ha puntato sul settore giovanile. Zero corrisponde a quanto ha trasferito nelle strutture (palloni e poltroncine a parte, per i quali il mondo gli sarà eternamente grato).
In seconda elementare io avevo uno zaino terribile: sembrava una roba da militare. Pregai per Natale di averne uno nuovo: nell’educazione siberiana dei miei, uno strappo al bilancio familiare senza precedenti. Eppure, lo ebbi. Un Invicta Jolly bellissimo. Il patto era, semplicemente, che lo avrei trattato bene. Il mio Jolly ha retto trent’anni. Sono passati i Jolly Pro, i Reflex, i Magnum e tutti mi dicevano che il mio era vecchio, ma io avevo promesso di trattarlo bene. E me lo sono messo in spalla anche dopo l’università.
Sono stato io a dare valore al mio zaino, non il mercato. E, se pensate che io sia solo un inguaribile romantico, vi sbagliate. Quando dovete liberarvi di una cantina in tempi brevi, fissate una cifra a prescindere dal valore affettivo o economico delle cose che contiene. Se invece avete un album Panini del 1975/76 e tutto il tempo a disposizione, state certi che prima o poi qualcuno da spennare lo troverete. Chiunque, dopo il disastro di Lignano Sabbiadoro, avrebbe capito su quale dei due tavoli fosse necessario giocare.
Guarascio, invece, ha scelto di non scegliere. L’incontro col sindaco Occhiuto, i messaggi incrociati con le “cordate”, dimostrano che non vuole “liberarsi” del Cosenza. E nemmeno alzare la posta. Tecnicamente si chiama ammuina: dichiarare un prezzo inaccessibile e, poi, dire che le trattative sono saltate (come accadde con Presta, un anno e mezzo fa). E questo nonostante (opinione personale) vedere Pagliuso dietro Di Donna e Moggi alle spalle di iGreco odora tanto di fumum fugere in ignem (ho una formazione classica, permettetemi di farlo pesare una volta tanto).
Perché Guarascio è convinto davvero di aver commesso nel 2021 il primo passo indietro in dieci anni di gestione, senza capire invece che passi avanti il Cosenza per meriti suoi non ne ha fatto nemmeno il 18 giugno 2018. E non vuole nemmeno “giocare al rialzo”. Eugenio Guarascio è Mazzarò, il protagonista di una magistrale novella di Verga. Uno che “è fatto solo per la roba” e il Cosenza è roba sua.
L’estate 2021 segna quindi l’ingresso in una fase nuova. Resta presidente un imprenditore convinto di essere quello del “semBra impossiBile” dell’Adriatico e che, invece, è indelebilmente quello del Cosenza in linea con la pandemia. Resta in un mondo, quello del calcio, che conosce ormai il suo metodo applicato ad alti livelli e sa che Cosenza non è una piazza alla quale ambire per fare carriera. Resta con una gestione “alla carlona”, che il tifoso rossoblù ha tollerato prima per mancanza di alternative, poi per “gli stipendi sempre in regola” (un po’ come i treni che arrivavano sempre puntuali), quindi per il ritorno in serie B; ragioni per tollerarla ancora, ora, non ne ha più. Resta con una rosa in grado ad oggi di giocare appena un “calciotto”, affidando a un nuovo direttore sportivo il compito (difficile) di fare mercato (ancora una volta) in ritardo. Resta con la disistima della città e della piazza, che mai così chiara si era manifestata nella storia recente. Un’altra classe politica avrebbe accompagnato il patron alla porta o preteso segnali immediati, ma è evidente che “il coraggio uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Una cosa va ammessa. Ed è che rivendicare il pallone è mio, come si faceva da bambini alla villetta, è forse la più grossa prova di forza offerta finora dal patron. Ai miei tempi, tuttavia, se il prepotente di turno era uno scarparo, si usciva tutti dal campo. E il pallone si sgonfiava in un amen.