“Il divin codino”, talento e coraggio rimarginano ogni cicatrice
Il “Divin Codino” è il nome del film visibile su Netflix che racconta gli esordi, la carriera, gli infortuni e la vita privata di Baggio.
Quando Francesco De Gregori nel 1982 componeva “La leva calcistica della classe ‘68”, non immaginava lontanamente che 12 anni più tardi durante Italia-Brasile il dischetto diventasse fatale per Roberto Baggio: per tutti il “Divin codino” per via della sua nota capigliatura.
Il “Divin Codino” è anche il nome del film visibile sulla piattaforma Netflix che racconta gli esordi, la carriera, gli infortuni e la vita privata del campione Baggio. Intenso, ma breve. Forse troppo breve. In poco meno di un’ora e mezza scorre davanti lo schermo la carriera di Baggio, con un focus sulla finale Italia-Brasile 1994 e quel calcio di rigore mandato nel cielo di Pasadena, che sarà il suo incubo per tutta la vita. Un calcio di rigore calciato in aria lascia incredula l’Italia intera che soffre insieme al talento di Caldogno. Pochi giorni prima un risentimento aveva lasciato tutti con il fiato sospeso, ma Baggio per la finale doveva esserci e mai avrebbe immaginato quel finale.
Quello che viene fuori dalla pellicola è un Roberto Baggio, interpretato da Andrea Arcangeli, combattente, ma a tratti incompreso, un talento “incompiuto”, complici anche gli infortuni, fino a essere escluso dai Mondiali del 2002, beffa probabilmente mai digerita tanto da indurlo due anni dopo a lasciare il calcio giocato.
Ma torniamo agli esordi.
La carriera di Baggio nasce in una provincia veneta a Vicenza, ma già a 18 anni viene acquistato dalla Fiorentina qualche giorno prima che arrivasse la sentenza peggiore per ogni calciatore: rottura del legamento crociato, menisco e collaterale. 220 punti. Chiunque si sarebbe arreso, la paura avrebbe prevalso sul talento e sul coraggio, ma non Roberto Baggio che alla sentenza ha risposto “Quand’è che posso tornare a giocare?”. Nemmeno la Fiorentina si è arresa, che ci crede e lo rileva ugualmente. Baggio non deluderà tanto da conquistarsi la convocazione ai mondiali del ’90. Sarà solo il primo degli infortuni che Baggio dovrà sopportare.
Le ginocchia di Baggio ospiteranno più cicatrici e il dolore accompagnerà allenamenti e partite. Un dolore sempre più invasivo negli ultimi anni. Il calcio diventa per Baggio gioia e dolore, dolore fisico irresistibile, ma fino alla fine combatte e nonostante la sua bravura resta addirittura per qualche mese senza squadra. Sarà poi il Brescia di Carlo Mazzone nel 2000 l’ultima squadra italiana a credere in lui. Ma nella carriera di Baggio i fulmini a ciel sereno non sono finiti.
“Che poi Roberto in fondo tutto questo amore è pure figlio del coraggio
di quel campione che toccava ogni pallone come se fosse la vita
lo so potrà sembrarti un’esagerazione
ma pure quel rigore
a me ha insegnato un po’ la vita”
E’ il 2002 quando arriva un’altra notizia negativa durante un match allo Stadio Tardini di Parma: rottura del legamento crociato. Questa volta è toccato all’altro ginocchio e a pochi mesi dal mondiale. Baggio vuole arrendersi, mollare. Ma alla fine si sottopone a un nuovo intervento e 81 giorni dopo dall’immagine del campione riverso a terra con il viso coperto di lacrime e fango, Baggio, contro ogni pronostico, è pronto e aspetta solo la chiamata di Trapattoni. La telefonata arriva, ma deluderà Baggio e gli italiani: Trapattoni liquida il “divin codino”e segna intimamente il suo ritiro al calcio giocato che avverrà fisicamente nel maggio 2004 a San Siro al termine di Milan-Brescia.
È un racconto veloce ma toccante, sfiora l’intimità e la fragilità del calciatore, il rapporto con Andreina resistente alla distanza e agli strappi, la relazione conflittuale con il papà, la ricerca della serenità nella fede buddista incontrata per caso tramite un venditore di dischi. E nel buddismo che trova la forza di reagire. Che poi alla fine nella vita in qualcosa si deve pur credere. Baggio da quel momento inizia a meditare due ore al giorno, pratica spesso invisa agli allenatori. “Non sei uomo spogliatoio” si sentiva ripetere. Il giocatore di talento spesso fa fatica a essere accettato, è quasi un fastidio per l’allenatore.
Il “divin codino” è una metafora della vita: non conta quanti ostacoli incontrerai ma quanta forza avrai nel superarli. Vincerai se il talento, il coraggio e la forza la faranno da padrone sovrastando paure e frustrazioni. Quando la vita diventa una corsa a ostacoli non resta che attrezzarsi per superarli se non si vuole finire per essere schiacciati da essi. E Baggio lo fa con maestria fino all’ultimo, finchè le ginocchia non si sono opposte definitivamente.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, | non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, | un giocatore lo vedi dal coraggio, | dall’altruismo e dalla fantasia.
— De Gregori
Vi lascio con un personale ricordo di Roberto Baggio: è maggio del 2004, quel maggio che porterà il campione per sempre lontano dal calcio giocato. Un piccolo gruppo di ultrà assiste agli allenamenti del Brescia e inneggia al “divin codino” insegnando il coro anche agli “ospiti” e faceva più o meno così: “In Italia c’è un numero 10 che è un gran campione, tutti volevano che andasse a giocare in Giappone…. Trapatto’ portalo agli Europei con lui vinciamo i trofei”.
Del resto, il divin codino è il calciatore di tutti e quando si parla di un fuoriclasse non ci sono bandiere né rivalità. Ma nonostante gli auspici la carriera di Baggio finirà così con l’amarezza di non aver indossato per l’ultima volta la maglia azzurra, quella che ogni calciatore sente sua più di qualunque altra.