domenica,Settembre 15 2024

Da Lupi ad avvoltoi

«Forse non è un caso che, al posto nostro, la promozione in Serie A tocchi a una società come il Chievo Verona. Una realtà che, economicamente, non sarebbe mai esistita senza i soldi delle pay tv e il calcio moderno». Cito a memoria, ma fu più o meno così che nella tarda primavera del 2001

Da Lupi ad avvoltoi

«Forse non è un caso che, al posto nostro, la promozione in Serie A tocchi a una società come il Chievo Verona. Una realtà che, economicamente, non sarebbe mai esistita senza i soldi delle pay tv e il calcio moderno». Cito a memoria, ma fu più o meno così che nella tarda primavera del 2001 Luca Scarpelli sulle pagine di Tam Tam salutò col groppo in gola l’esito di quel campionato. Come in tutte le altre occasioni precedenti, il “grande salto” era fallito di fronte a un avversario più scafato del Cosenza. Tra il 1989 e il 1992 l’Udinese, complice il “palo di Lombardo” e il gol di Maini a Lecce, aprì un ciclo che dura tutt’ora. Nel 1993 fu la Cremonese di Gigi Simoni a sorpassare i Lupi di Silipo. Nel 2001, appunto, i rossoblù di Zampagna e Lentini persero con il Chievo Verona entrambi gli scontri diretti: sei punti che, a parti invertite, avrebbero decretato la promozione del Cosenza.

A distanza di venti anni esatti, insomma, verrebbe da dire che la ruota è girata a nostro favore, che il vento è cambiato. Ieri sera è arrivata infatti la notizia che il presidente Guarascio aspettava, forse, dal 10 maggio scorso – o, chissà, da mesi prima, vista l’ignavia con cui ha amministrato questa stagione peggio delle altre. La Covisoc ha bocciato l’iscrizione del Chievo Verona: il ricorso verrà discusso giovedì. Voce che girava da tempo, negli ambienti sportivi, almeno dalla primavera scorsa. E dunque il sospetto, di cui ho scritto nei mesi scorsi, di aver “programmato” questa retrocessione (sapendo che di riffa o di raffa, tra Salernitana e Chievo, il Cosenza avrebbe comunque giocato in B il prossimo torneo) prende ancora più corpo.

È certamente questo, non lo scarso amore per questa maglia, a spingere una parte del tifo a disinteressarsi oggi dal possibile ripescaggio. La sensazione che, da quel pezzo di storia così lontano (e in parte così vicino, visto che un anno fa la vittoria del Chievo ci consegnò la permanenza in B), non abbiamo imparato niente.

Certo, giovedì potremmo guardarci negli occhi e pensare che, in fondo, questa riammissione fa pari e patta con quella (mancata) del 2003. Quella che, con un doppio carpiato, portò la Fiorentina in una serie B a 24 squadre al posto del Cosenza. A Firenze vivo ormai da più di dieci anni e, ogni volta che tocco il tasto, i tifosi viola mi rispondono di solito così: “Una delle pagine più nere della nostra storia”. Quando il verdetto non arriva dal campo, ma dalla contabilità, io ci trovo sempre poco da festeggiare. Soprattutto quando i conti sovvertono i risultati del campo. E vorrei che fosse così anche a Cosenza, qualora accadesse anche a noi.

Quando scrivo che “non abbiamo imparato niente”, voglio dire una cosa piuttosto semplice. Nella serie B degli anni Novanta, il Cosenza era davvero una Cenerentola al ballo. Una società che, spesso con bilanci troppo allegri, costruiva calcio dal basso. Udinese, Cremonese e Chievo presero il posto nostro per una serie di fortunate combinazioni, certo, ma soprattutto perché avevano progetti più solidi.

Il Cosenza targato Guarascio è l’opposto di quella gestione: conti in regola (almeno secondo i parametri Covisoc) senza alcuna programmazione. E l’esito si è visto qual è: ritrovarsi sempre nei bassifondi, rappresentati da una squadra di Bastardi senza gloria, senza nemmeno la simpatia che ispirano i personaggi di Quentin Tarantino.

A Firenze ricordano ancora il campionato di C2 di quindici anni fa come una stagione eroica. Più o meno come molti di noi rammentano i campi della serie D seguiti (in pochi) fino a non troppo tempo fa. Sanno però pure a Firenze che, senza il ripescaggio del 2003, non ci sarebbero stati i gol di Luca Toni, i quarti di Champions col Bayern, le finali di Coppa Italia e molto altro. Sanno insomma che quel “trucchetto” è servito a qualcosa: a sfuggire a un baratro nel quale avevano appena messo i piedi.

A Cosenza, invece, il presidente Guarascio è fermo da sessanta giorni. Non un direttore sportivo, non uno straccio di allenatore. Che dire: magari ci sorprende tutti e, giovedì sera, annuncerà l’ingaggio di quindici calciatori e di un intero staff tecnico in un colpo solo. Ne dubito. Credo invece che, sulla base di un ripescaggio maturato a metà luglio, il patron fonderà le giustificazioni per l’ennesima stagione arronzata. Il “trucchetto”, insomma, non servirà a niente. Non ricorderemo il 2021 come “l’anno del ripescaggio”, ma come quello di una delle più imbarazzanti retrocessioni della nostra storia. A suon di “braccetti” e “scivolamenti”.

C’è insomma un’inerzia che offende persino in un’occasione come questa. Nella quale ci saremmo aspettati di essere uniti, tifosi e società (a Salerno, per dire, non credo che abbiano tifato contro l’improbabile trust di Lotito). E dunque, comunque vada giovedì, vedo davvero poco da festeggiare. L’unico, vero beneficiario di un eventuale ripescaggio è il presidente silenzioso, quello che ha liquidato la retrocessione di Lignano Sabbiadoro con uno striminzito comunicato e poi si è messo sulla riva del fiume a tifare per il passaggio di almeno una società che liberasse un posto. I diritti tv di Sky, i contributi di Lega andranno a suo beneficio, lo sappiamo bene. A meno di una repentina conversione sulla via di Damasco, non serviranno a costruire una squadra dignitosa. Un eventuale ripescaggio non servirà a mettere una toppa su un errore di percorso (una retrocessione), ma a giustapporre uno straccio su una guarnizione spanata da tempo. E che, purtroppo, spanata rimarrà.

Per questo, per quanto mi riguarda, non c’è niente da applaudire. E niente da festeggiare. Nessuna attesa spasmodica da cullare verso giovedì. Questi sessanta giorni di immobile attesa odorano di avvoltoio: non c’è animale peggiore con cui essere costretti a immedesimarsi, per chi ha invece il lupo come simbolo.

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