Piripicchio
Quando giocavo a nascondino, da piccolo, c’era un piccolo escamotage per farla franca. Va detto che ero una frana, di solito uno dei primi a essere scoperti, e mi toccava attendere il miracoloso cento per tutti per salvarmi. A volte, invece, giocavo la carta del piripicchio. Il piripicchio era quella parola magica che indicava una presunta irregolarità nel gioco in
Quando giocavo a nascondino, da piccolo, c’era un piccolo escamotage per farla franca. Va detto che ero una frana, di solito uno dei primi a essere scoperti, e mi toccava attendere il miracoloso cento per tutti per salvarmi. A volte, invece, giocavo la carta del piripicchio. Il piripicchio era quella parola magica che indicava una presunta irregolarità nel gioco in corso. Il potere del piripicchio era di interrompere ogni cosa. Quando lo urlavi, uscivano tutti dai nascondigli. Una specie di reset. A quel punto bastava dire che no, non era la tua maglietta rossa che era stata vista dietro al muretto, ma una siepe di ibiscus. E allora ripartiva la conta.
Chissà se esiste ancora sulla costa tirrenica cosentina, il piripicchio, più o meno l’equivalente di o gol o rigore delle partite di calcio nei giardini pubblici. Di sicuro qualcosa di molto simile è avvenuto in seno al Consiglio federale della Figc, che ieri sulla serie B avrebbe dovuto assumere una decisione semplice: prendere atto delle due pronunce della Covisoc e della “cassazione” del collegio di garanzia del Coni contro il Chievo Verona e varare la riammissione in serie B del Cosenza. Invece piripicchio e palla al centro.
Ci sono due possibili spiegazioni a un inedito assoluto come questo. La prima è il “complotto”. Il presidente Gravina e i “poteri forti”, il patron Campedelli e le lobby, le cavallette e via dicendo. Tendo personalmente a non dare credito a questo genere di tesi. La seconda è più semplice, ma non meno grave: nella stessa seduta, il Consiglio federale ha discusso la riforma dei prossimi campionati. E, siccome il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare, in caso di riammissione del Cosenza e di un successivo pronunciamento del Tar favorevole al Chievo, la Figc si sarebbe trovata a gestire la “patata bollente” di un calendario da rifare con una B a ventuno squadre. Ha preferito insomma calpestare il principio di “legalità” per risibili ragioni di comodo (e di profitto, legate alla futura riforma). Ha scelto l’ordine formale in luogo del rispetto rigoroso delle regole. E, a tutela di questa singolare procedura, ha delegato al presidente federale Gravina, attese le motivazioni di Coni e gli esiti del giudizio al Tar, l’ultima decisione sulle composizioni dei campionati. Ed è la tesi che mi convince di più.
Il fatto che mi convinca non vuol dire ovviamente che la condivida. Tutt’altro. Decidendo di non decidere (o di “aspettare prima di decidere”) la Federcalcio, forse senza rendersene conto fino in fondo, ha sfiduciato l’operato di un proprio organo (la Commissione di vigilanza, cioè la Covisoc) e quello del Coni. Ha cestinato l’esclusione, per fondatissimi motivi, di cinque società di calcio (e di una in particolare, il Chievo, reduce da un decennio di bilanci allegri) e, nell’apparenza del principio l’ultima parola spetta a Gravina, in realtà ha demandato l’ultima parola a un organo esterno: un tribunale amministrativo dello Stato. Di fatto, inoltre, ha lasciato capire a tutte le altre che vorranno evadere l’Iva nei prossimi anni (e vedrete che, a causa delle politiche sulla pandemia, ce ne saranno parecchie) che un’eventuale tripla pronuncia negativa di Covisoc e Coni non conterà nulla. Una “porticina” aperta, per gli evasori, la Figc potrebbe tenerla aperta sempre.
C’è chi ostenta sicurezza, perché in fondo il Consiglio Federale ha stabilito la priorità di riammissione del Cosenza e l’ufficialità sarà solo questione di tempo. E può darsi che abbia ragione. Faccio però sommessamente notare che le motivazioni di una sentenza sportiva sono un atto tecnico. Che, semmai, dovrebbe interessare più il Chievo che la Figc. E che le ragioni dell’esclusione dei clivensi sono raccolte in quel comunicato diramato il 16 luglio scorso: il Coni, infatti, non è entrato nel merito della questione.
A questo punto, appaiono purtroppo profetiche e sinistre le parole pronunciate il 22 luglio scorso dall’ex allenatore dei clivensi, Mario Beretta, oggi consigliere di Federcalcio: “Spero riescano a risolvere questa situazione anche con l’intervento del Coni (corsivo mio, ndr)”. Spiegato bene: “Spero che il Coni chiuda un occhio, altrimenti potrebbe pensarci la Figc”. Eppure mi pare di ricordare che, nel 2003, tutta questa dolcissima cautela nei confronti del Cosenza non ci fu affatto. Forse perché, all’epoca, il presidente rossoblù era in carcere (e la presunzione d’innocenza in Italia vale evidentemente solo tra le Repubbliche Autonome di Voghera e Arcore). Forse perché c’era in ballo una serie B con Fiorentina, Napoli, Catania e Genoa. E quindi soldi, diritti televisivi, sponsor e un “prodotto” da vendere. Esattamente come, per anni, è stata “venduta” all’opinione pubblica una presunta favola del Chievo. Che ora, parafrasando Esopo, verrebbe da ribattezzare la favola della volpe e dell’Iva.
A tal proposito, purtroppo, avevo avvertito quanto fosse rischiosa la “strategia dell’attesa”. Cosa farà infatti, ora, il presidente Guarascio? Presumibilmente, attraverso lo studio legale Tonucci & partners, si preparerà a un’estate di ricorsi. Legittimamente lavorerà di sponda, tra i rapporti che ha all’interno di Lega e Federcalcio, per ottenere garanzie. Nel frattempo, ora più di prima, quale tipologia di allenatore e quali calciatori accetterebbero di firmare per una società “in bilico” tra due categorie? Quale razza di progetto, dopo due mesi e mezzo di stallo, sarà possibile imbastire da qui all’inizio della stagione 2021/22?
La spiego meglio, perché due settimane fa scrivendo di “lupi e avvoltoi” con alcuni lettori ci siamo capiti male. Primo: sto parlando ancora una volta della società, non dei tifosi. Secondo: il Chievo, carte alla mano, dovrebbe essere già sparito dai radar professionistici. E, terzo, il Cosenza stare al suo posto: in serie B. Chiaro? Bene. Detto questo: quale dirigente d’azienda fonderebbe su un condono tutte le proprie strategie imprenditoriali?
È possibile che il tifo, almeno sulla protesta contro la mancata ratifica della riammissione, si saldi attorno al Cosenza. E, aggiungo, sarebbe bene che accadesse. Ma, nella società della comunicazione, quale spendibilità ha l’immagine di una squadra, che si allena con 6 elementi in organico al Real Cosenza (con tutto il rispetto, eh: ci ho giocato per anni), in un “braccio di ferro” del genere? E quale ne avrebbe avuto invece (e qui, sia ben chiaro, sto declinando un’iperbole del terzo periodo dell’irrealtà) una società che avesse assunto come allenatore un “Ringhio” Gattuso, ossia un personaggio calcistico di primo piano, capace già oggi di uscire nel dibattito pubblico e dichiarare: “Vi rendete conto che io ho una squadra, dei ragazzi e uno staff nel limbo? Una società che paga regolarmente tasse e stipendi e, fino al 2 agosto, non avremo uno straccio di certezza della categoria nella quale giocheremo, perché il Chievo Verona non ha trovato gli F24 per versare l’Iva da sei anni a questa parte?”.
E lo ripeto ancora una volta: il Cosenza oggi non ha sei giocatori in rosa e, solo da una settimana, un direttore sportivo, perché la Figc ha deciso di aspettare il Tar. Questa strategia (rischiosissima) è responsabilità diretta di una società che ama gioca col fuoco (sulla pelle dei tifosi, mai sulla propria).
Ma non ho alcun dubbio che sia giusto, necessario, doveroso stare dalla parte del Cosenza, in questa vicenda. Come lo fu quando ci ritrovammo con 9 punti di penalizzazione nel 1995 (manco fossimo incappati nel Totonero). Perché nei comportamenti della società Cosenza calcio vedo l’incapacità che condanna il Sud e la Calabria all’immobilismo secolare. E questo mi fa rabbia. Ma in quelli della Figc e del Chievo Verona, purtroppo, c’è la “summa” di ciò che non sopporto nel mondo del calcio e, più in generale, in questo Paese: la furbizia, l’arte del sotterfugio, la dilazione, l’evasione delle tasse e ciò che ne consegue (l’alterazione, di fatto, dei risultati dei campionati), la prepotenza, la tolleranza del sopruso e l’ignavia, il troncare, sopire di manzoniana memoria.
Verrebbe davvero voglia di urlare piripicchio, dimenticare il calcio e occuparsi piuttosto di curling, davanti a un sistema fatto così.