giovedì,Marzo 28 2024

Non tesserate Cacciari e Agamben tra i no-vax

É curioso che, mentre a sinistra si scopre il contributo intellettuale di giornalisti e autori di tutt’altra formazione (come Veneziani e Solinas), dall’altra parte si aspettino con buone dosi di gioia e fraintendimenti le esternazioni-bordate degli Autori che venendo anche dalla sinistra comunista oggi sono i primi e assoluti detrattori dei partiti formatisi da quella

Non tesserate Cacciari e Agamben tra i no-vax

É curioso che, mentre a sinistra si scopre il contributo intellettuale di giornalisti e autori di tutt’altra formazione (come Veneziani e Solinas), dall’altra parte si aspettino con buone dosi di gioia e fraintendimenti le esternazioni-bordate degli Autori che venendo anche dalla sinistra comunista oggi sono i primi e assoluti detrattori dei partiti formatisi da quella tradizione. Così il teorico dell’operaismo Cacciari e il più originale foucaultiano degli studi critici italiani, Agamben, sono strattonati dai corifei del duo Lega-Fratelli d’Italia (destra di lotta e di governo, anfibia tra fedeltà all’esecutivo e cavalcate nel malcontento di pancia) come no-vax, no-mask, no-lockdown, no-sanità pubblica. 

In questo caso, come in tutti gli altri in cui le montature social distruggono l’analisi politica e giuridica, è fondamentale tornare a quello che i due hanno effettivamente scritto in tutti questi mesi, senza cedere un millimetro a infamie, approssimazioni, opportunismi. Cacciari fu un feroce avversario dei confinamenti domiciliari tra primo e secondo governo Conte. Aveva ragione da vendere. L’alienazione psicologica del primo durissimo lockdown non era un problema da sottovalutare: bisognava portare anzi quel tema urgentemente sotto gli occhi della governance e dell’opinione pubblica. L’agibilità spaziosa di chi vive in villa, peraltro, attutiva l’immediata significazione materiale dell’isolamento, ma che dire, anche sotto questo profilo intuitivamente urbanistico, delle famiglie rumorosamente e coattivamente ritrovatesi in coabitazione da bilocale, col carico di nevrosi psicologiche e ristrettezze sostanziali? I dati degli ultimi diciotto mesi su dipendenze e violenze domestiche reclamano impattantemente che il problema ci fosse, eccome. 

Agamben ha originato invece un certo fervore a partire dall’annosa disputa sulle riaperture scolastiche in presenza. E qui bisogna intendersi: quando Agamben sventola il tema di un nuovo fascismo, dobbiamo utilizzare il “fuoco” giusto. Preservare la salute individuale e collettiva é perno del diritto democratico nello Stato sociale e pluralista di diritto; va certamente meno bene quando il diaframma giustificativo della questione sanitaria diventa la massima unità di misura per ogni restrizione normativa. I due temi non sono sovrapponibili: l’emergenza deve etimologicamente contenere la sua soluzione per esser costituzionale. Se la norma sull’emergenza si dilata sfruttando il perdurare dell’emergenza medesima il bilanciamento degli interessi e la separazione dei poteri vanno in tilt. 

Curioso che plaudano alcune uscite agambeniane sui pericoli di un nuovo totalitarismo, viepiù, quelli che negano risolutamente ogni nuovo rischio di fascismi nella società occidentale. L’argomento di Agamben, terminologicamente certo scivoloso come pochi, è davvero promettente e costruttivo quando lo riconduciamo al binario di formazione entro cui è nato. Siamo sinceri: la scuola italiana ha ormai endemiche disfunzioni e parimenti le restano rocciose eccellenze culturali, relazionali, cognitive che sono state e possono ancora essere base per una formazione più fine e più inclusiva della sola digitalizzazione. Si è regolamentato troppo per segmenti di mondo pandemico: nel pieno della scuola dell’obbligo troppi giovanissimi hanno cambiato orari di lezione e metodi di apprendimento anche quattro volte all’anno.

Agamben ci invitava a riflettere su questi rischi totalitari e non altri: la formazione come asettico parcheggio orario non serve, non funziona e nemmeno disciplina e produce. Né in senso materiale né in senso immateriale. Chiarito il background di entrambi, non sullo specifico della loro opera di ricerca e studio che investirebbe dalla teologia politica alle categorie del diritto pubblico fino alla storia dei saperi in Occidente, ma sull’ancor più stretto campo della pratica di governo al tempo del Covid-19, possiamo approcciare con serenità le critiche alla fase vaccinale formulate dai due. Chi scrive peraltro non le condivide in toto. Al contrario, l’utilità del supporto vaccinale non è stata ancora smentita, piuttosto va dimostrandosi l’esatto contrario. Persino nel primo lockdown, addirittura l’anti-influenzale generico ebbe una qualche dignità di protezione.

Ricordiamo le salme portate dai carri armati, gli anziani “sterminati” nei presidi di cura? Lì l’universalità della copertura anti-influenzale avrebbe aiutato in due sensi: diagnostica meno tardiva in sintomatologie para-influenzali e, probabilmente, risposte immunologiche più reattive. Certo è che la politica occidentale tutta abbia scopertamente puntato sui vaccini: il drastico calo da sola somministrazione di prima dose in Inghilterra, la riapertura complessiva negli Stati Uniti e in Israele (per alcuni mesi e fino quasi ad adesso, non poche settimane), la risposta incentivante e promozionale in Francia, il Paese che era stato caratterizzato dalla più alta crescita esponenziale di contagi. E certo è che di soli vaccini non si vive: se non tutti lo fanno se non per strumentalità contingenti (viaggi, servizi ludici e assicurativi, ecc.), il meccanismo di immunizzazione si inceppa e forse l’incentivo promozionale come fattore unico di sostegno vaccinale non basta né eticamente né pragmaticamente.

Se il virus si modifica, non scompaiono morti e contagi e i nuovi focolai resteranno sempre il banco di prova di qualunque misura restrittiva e di qualsivoglia tentato approccio solidaristico, interregionale e intergenerazionale, ai temi della cura TUTTI (non solo in ambito di Covid: screening, libertà di circolazione, interventistica non d’urgenza). E insomma i due filosofi non incitano a buttare le mascherine, a fare assembramento in console o ai comizi, a rifiutare i vaccini o a cianciare di cure alternative e precoci. Ricordiamolo. Leggiamoli a tutto campo. Non sono affatto i no-vax che volevano scuole chiuse e multinazionali aperte, riaperture a pioggia per un voto e sussidi per due, e tantomeno relazioni di cura basate sulla ricchezza e sul consumo o, per i giuristi, sui rapporti di debito-credito. Battere una pandemia oggi è avere e avere avuto gli ammortizzatori giusti per ogni evenienza avversa anche solo ipotizzabile domani. Prendere in faccia un’onda è brutto, uno tsunami è peggio.