Fuori dai calcoli
L’operaio si avvicina al microfono. Si vede che non è quello il suo lavoro. Che nel suo lavoro, nella formazione al suo lavoro, l’idea di trovarsi a parlare, un giorno, davanti a duemila persone di Piazza della Signoria non deve averlo mai sfiorato prima. Fatica persino a regolare l’asta alla sua altezza, mentre una bambina,
L’operaio si avvicina al microfono. Si vede che non è quello il suo lavoro. Che nel suo lavoro, nella formazione al suo lavoro, l’idea di trovarsi a parlare, un giorno, davanti a duemila persone di Piazza della Signoria non deve averlo mai sfiorato prima. Fatica persino a regolare l’asta alla sua altezza, mentre una bambina, la figlia, gioca coi suoi braccialetti seduta sui gradini dell’arengario. Davanti a lui ci sono più di duemila persone.
L’operaio si chiama Dario Salvetti e, fino al 9 luglio scorso, non avevo idea di chi fosse. E conoscevo di sfuggita anche la fabbrica in cui è membro dell’Rsu, la Gkn di Campi Bisenzio, di cui ora invece parlano tutti per i 422 licenziamenti comunicati per mail dalla proprietà, il fondo di investimento inglese Melrose.
È l’11 agosto e a Firenze tanta gente in piazza, in piena estate, non si era mai vista. Anche se l’11 agosto, a Firenze, è un anniversario importante: la liberazione della città, nel 1944, dalle forze nazifasciste. Dario finisce di regolare il microfono e dice questo: «Loro, la proprietà, avevano calcolato tutto. I licenziamenti in piena estate, la disperazione, la nostra protesta, le polemiche, la solidarietà che avremmo avuto. E fin qui noi siamo stati dentro il loro calcolo. E poi avevano calcolato che ad agosto, tra le ferie e le città deserte, le piazze vuote, sarebbero subentrate rassegnazione e isolamento. Ecco, noi per vincere dobbiamo uscire dai loro calcoli. E stasera mi sento di dire che iniziamo a essere fuori dai loro calcoli».
Sono vent’anni che faccio questo mestiere e di vertenze lavorative ne ho seguito molte. Troppe. Poche mi hanno emozionato come questa. Per emozione non intendo stare dalla loro parte: farei male il mio lavoro. Intendo confrontarsi con una consapevolezza molto alta della posta in gioco e del gioco delle parti in causa, degli strumenti a disposizione, della civiltà necessaria e della fermezza, dell’ostinazione con cui utilizzarli a seconda dei casi.
Tutto questo avviene alla vigilia di Fiorentina-Cosenza e, nella assoluta diversità delle situazioni in gioco (sottolinearlo mi pare doveroso), anche in riva al Crati qualcuno aveva calcolato tutto. Forse non la retrocessione di Lignano Sabbiadoro, ma sicuramente la possibilità di una riammissione (che, con molto comodo, il presidente Gravina ha ratificato solo il 3 agosto). Forse non la contestazione di ultrà e tifosi, ma sicuramente la gioia per il quarto campionato in B che avrebbe fatto scivolare molta polvere sotto il tappeto.
Il presidente Guarascio ha calcolato benissimo anche la sua assenza (piuttosto irrituale) alle presentazioni del ds Goretti e del tecnico Zaffaroni (quest’ultimo senza che nemmeno fosse esonerato e ringraziato per il lavoro svolto Roberto Occhiuzzi). Essere presente lo avrebbe esposto a qualche domanda. Più passa il tempo, più l’urgenza di quelle domande sarà superata dagli eventi: il debutto in Coppa, le prime giornate di campionato, i risultati. Il calcolo è questo: più acqua passa sotto i ponti, più sarà facile liquidare come vecchie questioni che in realtà restano urgenti.
Sia Goretti che Zaffaroni hanno infatti sottolineato l’enorme difficoltà di allestire una rosa in tempi così ristretti. E sicuramente non è a loro che andrebbe rivolta la domanda perché ci si è trovati a ripartire da soli sei elementi? Badate bene: sono convinto che, dopo la scorsa stagione, un repulisti fosse necessario e doveroso. Ma siamo sicuri che le scarse prospettive contrattuali che i vari Petrucci, Sciaudone, Legittimo e compagnia avevano in rossoblù non abbiano influito in qualche modo (anche) sui risultati?
Finora il mercato ha portato in rossoblù sei elementi: Del Favero (il cui ennesimo infortunio alla spalla ha spinto a reclutare last minute Saracco), i difensori centrali Minelli e Venturi, il laterale Panico (gli ultimi due a costo zero, ma a titolo definitivo), il centrocampista Boultam. Gori, Carraro, Rigioni e Vaisanen sono in dirittura d’arrivo, ma 10+6 a casa mia fa 16 e a questo Cosenza, ad oggi, anche aggregando qualche Primavera, mancano ancora tra i 4 e i 6 calciatori (e sarebbe auspicabile tutti di profilo medio alto).
La costruzione di una squadra è un’operazione complessa. Che comincia dal basso, da fondamenta che rimarranno invisibili, eppure reggeranno tutto. Proprio per questo sarebbe stato necessario già a luglio un intervento solido, forte, anche su giocatori giovani ma affamati, che componessero un telaio di possibili valorizzazioni reali (se ci pensate bene, e al di là degli arzigogoli contabili e contrattuale, i veri beneficiari delle operazioni Riviere e Falcone sono stati, appunto, Riviere e Falcone). Ma fino al 27 luglio non avevamo nemmeno un ds e il budget ora a disposizione di Goretti, per sua stessa ammissione, è lo stesso di chi lo ha preceduto. Si poteva pensare a una dichiarazione di facciata, mentre i rifiuti che per ora stanno arrivando da alcuni calciatori in risposta alle offerte rossoblù ci dicono che, evidentemente, le proposte non sono particolarmente appetibili.
In tutto questo, mi appresto a vedere il Cosenza a pochi passi da casa mia, nella città in cui vivo da dieci anni. In una cornice che ho sempre adorato: quella Coppa Italia che lascia incrociare i sogni delle piazze della serie B con i primi passi delle grandi squadre di A. Da bambino la Coppa Italia voleva dire la fine dell’estate e l’avvicinarsi del ritorno a scuola, ma c’erano davvero pochi appuntamenti che attendessi con tanta passione. Vedere la Juve o l’Inter al San Vito, Maradona stringere la mano a Marulla, Vincenzino Riccio zittire l’Olimpico laziale con una rovesciata, tornare di notte con gli amici verso il mare dopo un Cosenza-Lecce 0-2 e realizzare, all’altezza della Crocetta, st’anno però la squadra è bbùana.
Invece, alla serata di gala del Franchi, il Cosenza si presenta con un vestito povero e lacero. Con uomini contati e scelte obbligate. E un allenatore insediatosi da appena sette giorni. Dal canto suo, la Fiorentina ci arriva dopo uno 0-0 col Montevarchi, dunque in pieno rodaggio col nuovo tecnico Italiano e forse non in grandissima salute (e, in partite così, quel che conta davvero sono i duelli individuali e le motivazioni, di cui ha parlato Zaffaroni). Forse, e a prescindere dal risultato che verrà, sarebbe il caso che a Cosenza si trovi un modo per essere davvero fuori dai calcoli di chi sta trattando ancora una volta questa piazza come non merita.