giovedì,Marzo 28 2024

Nasce la rete degli imprenditori meridionali, contro lo scippo al Sud dei soldi del Recovery Fund

di Pino Aprile (direttore Lacnews24.it) – E ora gli imprenditori del Sud hanno deciso di avere voce in capitolo sulle scelte del Paese che li riguardano e in quelle del governo sull’impiego delle risorse del Recovery Fund. Soldi assegnati da Bruxelles all’Italia in proporzione più che doppia, rispetto a quanto riconosciuto in media a ogni altro

Nasce la rete degli imprenditori meridionali, contro lo scippo al Sud dei soldi del Recovery Fund

di Pino Aprile (direttore Lacnews24.it) – E ora gli imprenditori del Sud hanno deciso di avere voce in capitolo sulle scelte del Paese che li riguardano e in quelle del governo sull’impiego delle risorse del Recovery Fund. Soldi assegnati da Bruxelles all’Italia in proporzione più che doppia, rispetto a quanto riconosciuto in media a ogni altro Paese europeo, per una sola ragione: ridurre il divario Nord-Sud, realizzando nel Mezzogiorno quanto i governi nazionali hanno sempre negato: ferrovie, autostrade, connessioni… Invece, ancora una volta, i fondi destinati al Sud vengono dirottati al Nord, non per diminuire, ma per aumentare la distanza fra il troppo che si dà ai più ricchi, con i soldi di tutti, e il troppo poco che si lascia alle regioni depredate di infrastrutture e diritti. Se l’Italia è divisa in due la ragione è una sola: scelte politiche a favore di una parte e a danno di un’altra. Il resto sono chiacchiere e pregiudizi.

Contro lo scippo al Sud (complici il ministero del Mezzogiorno e la gran parte dei parlamentari meridionali) delle risorse del Recovery Fund, tramite il Pnrr, Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, si è levata sia la protesta dei presidenti delle Regioni del Sud (per la prima volta uniti in un’azione politica comune in mezzo secolo); sia quella di centinaia di sindaci meridionali di ogni schieramento e sfumatura politica della Rete Recovery Sud, che si sono riuniti a Borgia, in Calabria, hanno manifestato dinanzi al Parlamento, nelle piazze delle città del Mezzogiorno, a cominciare da Napoli, incontrando (inutilmente, per l’inconsistenza dell’interlocutrice) la ministra Mara Carfagna, sino a portare la loro indignazione e le loro ragioni a Bruxelles, dinanzi alla Commissione della presidente Ursula von der Leyen, grazie alla petizione del parlamentare europeo Piernicola Pedicini, del Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, quello da cui sono partite le idee e le iniziative contro lo scippo delle risorse e per primo ha dimostrato, conti alla mano, l’entità del furto.

La voce che adesso si aggiunge e finora era incredibilmente mancata (tranne solitarie proteste di un paio di presidenti di sezioni locali di Confindustria, specie in Puglia), è quella degli imprenditori. Che forse avrebbe dovuto essere la prima. Perché? Secondo i criteri di ripartizione dei fondi del RF adottati dall’Unione Europea (in rapporto alla popolazione, al numero dei disoccupati e all’inverso del reddito medio), al Mezzogiorno dovrebbe andare il 70 per cento dei soldi del Recovery Fund, più di 140 miliardi, su circa 200; il governo, con trucchi da spacciatori di pentole fallate alla sagra della porchetta (inclusione di fondi già stanziati per il Sud, e che niente hanno a che fare con il RF, “anticipo” di altri fondi “estranei” e già assegnati, che si sa sin da ora non saranno restituiti, e altre trovate truffaldine dello stesso, infimo livello), dice di aver destinato al Mezzogiorno il 40 per cento dei soldi (quindi il 30 per cento in meno); ed è pure un 40 finto, spudoratamente taroccato.

Il professor Gianfranco Viesti è andato a spulciare le cifre segnate nel Pnrr del governo Draghi e ha scoperto che di miliardi veri, per il Sud, non ce ne sono 145 (quanti dovrebbero essercene; e questo si sapeva, purtroppo), ma nemmeno gli 82 di cui mena bando il governo, ovvero il 40 per cento con il trucco (e una batteria di pentole lesionate in omaggio), ma soltanto 22; ovvero appena il 10 per cento. È la più grande rapina ai danni del Sud, nella storia dell’Italia unita (si fa per dire…).

Sorprende che gli ultimi a insorgere contro l’indegno saccheggio (invece di 70 per cento al Sud e 30 al Centro-Nord, 10 al Sud e 90 al Centro-Nord) siano proprio i più direttamente danneggiati, gli imprenditori meridionali che vedranno quelle risorse rimbalzare sul diritto del Sud e le loro aziende, per andare ad arricchire ancor di più chi trasforma la pretesa in diritto. Le opere che l’Unione europea chiede per il Sud potrebbero veder in prima fila le imprese meridionali, visto che, oltretutto, la spesa dovrebbe passare, in buona parte, per gli enti locali, specie i Comuni.

Invece, così, gli imprenditori del Sud sono esclusi; sorte che rischia di toccare pure ai Comuni, per le scelte del governo mirate a favorire le regioni più ricche e la ormai sfiatata ma prepotente “locomotiva” che, come disse l’allora ministro al Mezzogiorno, Peppe Provenzano, dal resto del Paese «prende e non restituisce».

Provo a raccontarla con le parole di un amico fondatore di una importante azienda nel Sud e che ha avuto ruoli di rilievo, diversi anni fa, in Confindustria: tanti imprenditori meridionali aderiscono a Confindustria (ne sono una fetta quasi insignificante in peso politico: poco più del 7 per cento, quasi soltanto piccole aziende, un po’ anche medie). Non costa poco far parte del “club dei ricchi”. E che vantaggi se ne hanno? Il presidente di Confindustria (quel Carlo Bonomi che ha la stessa modernità e idee di rapporti di lavoro da “sciur padrun da li beli braghi bianchi”) va dal governo a pretendere interventi per sanare la inventata Questione Settentrionale; e il governo soccorre i ricchi, sottraendo al Mezzogiorno e agli imprenditori meridionali pure le risorse assegnate dall’Unione europea, con il RF.

Quindi, gli imprenditori meridionali pagano Confindustria perché Confindustria dirotti altrove i fondi destinati all’economia meridionale? Non sembra il migliore dei loro affari! Fa ricordare quella strepitosa battuta del film “Brutti, sporchi e cattivi” (e a pronunciarla era un terrone), quando l’acquirente della baracca scopre che ha versato i soldi (800mila lire), ma il clan che la occupa non intende lasciarla: «Io non mi faccio fottere a gratis, figurati a pagamento…».

Adesso, però, è sorto il primo nucleo della Rete degli imprenditori del Sud, l’equivalente, nel mondo dell’economia, della rete Recovery Sud dei sindaci meridionali. Non nasce in alternativa a Confindustria, ma quale interlocutore informato e con idee chiare, sia delle associazioni datoriali, che dei sindacati, del governo. Attorno al nucleo iniziale stanno aderendo titolari di aziende di ogni settore: dall’energia al turismo, dall’agricoltura all’edilizia, dalla comunicazione alla meccanica, dalla produzione ittica a quella vinicola… Riferimenti, per ora, il creatore di Omnia Energia, Vincenzo D’Agostino, calabrese, e Raffaele Cariglia, pugliese, coordinatore di tante iniziative imprenditoriali. La Rete sta ripercorrendo già le tappe di quella dei sindaci, che passò a centinaia di aderenti in meno di dieci giorni.

A breve, dovrebbe essere indetta una conferenza-stampa per la presentazione ufficiale. La Rete imprenditori del Sud, Ris, si propone di rappresentare e difendere i diritti del Mezzogiorno, in Italia e a Bruxelles, insieme alla Rete Recovery Sud dei sindaci e ai presidenti delle Regioni meridionali, per impedire il saccheggio delle quote di fondi europei che spettano al Sud. La falsificazione logica della “locomotiva” e della presunta Questione settentrionale è sì figlia di prepotenza e avidità, ma soprattutto di disinformazione, di pregiudizi accettati come descrizione della realtà. La Ris potrebbe essere utilissima alla stessa Confindustria e al Nord, per far comprendere quali e quanti errori siano stati fatti nella valutazione delle ragioni storiche e attuali del divario Nord-Sud e come impedire lo sviluppo del Mezzogiorno, negando infrastrutture e servizi di livello europeo, si traduca in un danno grave per le regioni settentrionali (specie Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) e l’intero Paese.

Prima o poi doveva succedere. Da movimenti di cittadini ai sindaci, ai presidenti di Regione, agli imprenditori… il Mezzogiorno comincia a far sentire davvero la sua voce. E lo si è visto con lo stop al varo della razzista Autonomia differenziata, avverso la quale si mobilitarono centinaia di docenti universitari, scrittori, professionisti e oltre 60mila persone firmarono l’appello contro “La secessione dei ricchi”; lo si è visto quando il M24A-ET è riuscito, con una analisi poi replicata da parlamentari, enti di ricerca e presidenti di Regioni del Sud, a rendere dominante nell’agenda politica nazionale il tema della corretta ripartizione delle risorse del RF, e a portare a Bruxelles la voce dei sindaci del Sud.

Il vento è cambiato e il Sud, dalla politica di base all’economia stende la sua Rete.

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