A rasa rasa
Odio il Carnevale. O, meglio, lo odiavo. Da bambino mi sarò vestito tre volte in tutto: da Spaventapasseri (insieme a mia madre, che era entusiasta di quel costume), Pinocchio e Cavaliere di Malta. Mio padre, che odiava il Carnevale pure lui, si limitava a scattare le foto. A pensarci bene odiare non è il verbo adatto. Perché,
Odio il Carnevale. O, meglio, lo odiavo. Da bambino mi sarò vestito tre volte in tutto: da Spaventapasseri (insieme a mia madre, che era entusiasta di quel costume), Pinocchio e Cavaliere di Malta. Mio padre, che odiava il Carnevale pure lui, si limitava a scattare le foto. A pensarci bene odiare non è il verbo adatto. Perché, per esempio, al tempo stesso desideravo con tutte le mie forze partecipare a Carnevale olé su Rete Alfa e invidiavo tutti quelli che sfilavano sulle note di Santamaria de Portugal degli Albatros. C’era qualcosa che mi attirava e respingeva al tempo stesso, che non ho ancora capito.
Le cose sono cambiate quando, cinque anni fa, ho messo piede per la prima volta al Carnevale di Viareggio. Ho scoperto una tradizione centenaria, nella quale si intrecciano i maestri d’ascia dei cantieri navali, l’arte della cartapesta, la satira che sfida la censura. In poche parole, le radici di questi luoghi.
È possibile provare nostalgia per una cosa del genere, mentre nel mondo infuria una pandemia? La risposta è sì. Ero molto perplesso quando, nei mesi scorsi, è stato annunciato un carnevale universale tra fine settembre e ottobre, per recuperare quello saltato a febbraio causa zona rossa. Poi, tra coriandoli e costumi fuori stagione, ho visto un’anziana viareggina commuoversi sugli spalti: “Sono nata nel 1954, ma questo è il corso mascherato più bello di tutti. Perché l’abbiamo aspettato troppo a lungo”.
Beh, anche io al gol di Situm ho provato qualcosa di simile. Se contro il Vicenza mi era piaciuta molto la capacità del Cosenza di non impanicarsi dopo il rigore di Meggiorini, al Curi la squadra di Zaffaroni è stata brava ad affrontare diverse fasi della gara. Ha incassato in avvio (e Vigorito si è fatto trovare sempre pronto e reattivo), ma poi ha chiuso in attacco il primo tempo. È partita bene nella ripresa, fino alla rete del vantaggio del Perugia. Non si è demoralizzata e ha trovato il pari, rischiando persino l’1-2 con Gori. Infine, dopo l’assurda espulsione di Palmiero, ha retto sedici minuti in inferiorità numerica.
Questo ha dato un’identità alla squadra in venti giorni. Io ho 39 anni e non so chi sono, per dire, ho scritto agli amici a fine partita. E credo che il mio stupore sia pure il vostro. Chi avrebbe mai scommesso un euro, a Ferragosto, su un Cosenza con 4 punti alla quarta giornata, gli stessi della Spal, uno in più del Crotone e uno in meno del Lecce (tanti auguri al ds Trinchera per la prima vittoria, sicuro inizio di una travolgente cavalcata verso i vertici della classifica)?
Il Cosenza di Zaffaroni è ordinato, riempie bene gli spazi con esterni e mezzali quando c’è da difendere, li attraversa velocemente in ripartenza grazie alla rapidità di Caso e Gori, li occupa discretamente in manovra. Difetti ce ne sono, intendiamoci. Ancora troppo timido Boultam, una mezzala dev’essere una spina nel fianco, ma se il mister insiste a schierarlo credo che abbia le sue buone ragioni. Meglio di altre volte Sy, ma più attenzione, per favore. E la squalifica di Palmiero contro il Como obbliga a individuare un sostituto al Professore: temo che in futuro la coperta possa essere corta anche in difesa, vista la centralità di Rigione, e in attacco.
Eppure, proprio come la signora di Viareggio, abbiamo aspettato troppo a lungo tutto questo. Ripeto: difetti ce ne sono, questa non è una squadra perfetta, Caso non è Urban e Zaffaroni non è Bruno Giorgi. Ma la tigna con cui Gori va a conquistare il possesso palla sulla linea di fondo e impegna Chichizola sul primo palo, l’ordine discreto di Palmiero, il gol di Situm, l’intervento in scivolata di Corsi che lo ha propiziato: tutto questo, per me, è come il Carnevale di Viareggio a settembre per quella signora.
Una cosa è certa, e non la scrivo per dar meriti o tirare la croce addosso a nessuno: la vittoria col Vicenza e il pari di Perugia dimostrano la centralità dell’allenatore nel calcio. Non tanto durante la partita, quando i calciatori nemmeno lo sentono (e devono continuare a non sentirlo, capito Nagelsmann?), ma nel lavoro settimanale, nella costruzione di un gruppo e nella tessitura di una tela dove anche un giocatore a lungo criticato come Corsi (anche da me, e credo con molte ragioni, viste certe prestazioni delle scorse stagioni) riesce a trovare rapidamente il proprio posto. A Firenze, per dire, Italiano ha vinto tre partite di fila con gli stessi effettivi di Iachini, a parte Odriozola e Nico Gonzalez – il che vuol dire che uno ha trasmesso un’idea di gioco e l’altro no, e indovinate chi è uno e chi l’altro.
Per esempio, chi ha visto gli allenamenti settimanali del Cosenza racconta di essere rimasto impressionato da Eyango. Se non lo abbiamo visto in campo, forse, è perché il suo posto in questa tela non è pronto. E così molti altri elementi che, tra infortuni e scelte tecniche, non sono ancora scesi in campo. Quindi è ancora presto per capire se questa sia una rosa davvero corta oppure no.
Quando realizzano i carri, i mastri di Viareggio partono dal bozzetto, passano per scheletri e cartapesta, curano i dettagli di luci e movimenti, scelgono musica e coreografia, tengono il segreto su qualche effetto sorpresa. E uno di loro, Alessandro Avanzini, una mezza leggenda da queste parti, venerdì mi confessava tutte le sue paranoie. Perché siamo a settembre e il martedì grasso 2022 cade tra soli cinque mesi – un po’ pochini per tutto il lavoro che vi ho descritto. Ma ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, mi ha sorriso. A rasa rasa, avrei voluto rispondergli. Ma converrete con me che certa saggezza locale conviene tenerla per sé.