Quella violenza non ha nulla di nostalgico
Stiamo ai fatti. Il 9 ottobre, durante una manifestazione indetta per protestare contro le misure amministrative in tema di green pass, un gruppo di organizzazioni di estrema destra ha scientemente assalito la sede del primo sindacato italiano, mettendo a ferro e fuoco locali, adiacenze e vie limitrofe. Stando poi alle notizie investigative di cui v’è
Stiamo ai fatti. Il 9 ottobre, durante una manifestazione indetta per protestare contro le misure amministrative in tema di green pass, un gruppo di organizzazioni di estrema destra ha scientemente assalito la sede del primo sindacato italiano, mettendo a ferro e fuoco locali, adiacenze e vie limitrofe. Stando poi alle notizie investigative di cui v’è pubblica contezza, il raid era pianificato da tempo, sulle chat riservate di quegli stessi gruppi, partiti e associazioni. È stato un saccheggio violento, con rischi e danni per persone e cose.
Ci permettiamo di trovare, al fine di valutare cosa sia successo il 9 ottobre, del tutto irrilevanti due considerazioni che stiamo sentendo da pochi opinionisti, forse in cerca di stimmate e allori. Certo che le misure governative dal marzo dell’anno scorso ad oggi erano perfettibili: lo scrivevamo già quando chiudevano tutte le attività sociali, ma restava aperta la grande fabbrica, ammalando e con diagnosi tardive migliaia di lavoratori. Certo che i vaccini sono arrivati prestissimo e con poco “rodaggio”. Intanto da quando si sono diffusi i vaccini, la mortalità si è rasoiata pressoché del 90 %. Certo che il green pass, e quella alternativa stretta tra doppia dose vaccinale e tamponi continuativi, non sanerà i mesi in cui pendolari, studenti, anziani, malati hanno viaggiato in convogli e luoghi (anche di cura) stipati oltre ogni limite di distanziamento sociale. Intanto l’introduzione del green pass ha dato il via alle riaperture integrali, incentivando i vaccini stessi. Contestare l’esistenza di un algido diritto pandemico, che a tutto deroga, non passa per vandalizzare i luoghi istituzionali, che siano del sindacato o dei partiti di segno opposto.
Quanto, poi, ai sindacati, su di essi si può dire tutto e il suo contrario. Hanno oscillato a lungo. Hanno avuto forme blande di opposizione sociale, che rallentavano la decisione politica e produttiva senza esprimere nuovo radicalismo nelle relazioni industriali. E non sono mancati fronti comuni con parti governative e datoriali, anche nei momenti in cui queste ultime adottavano paradossalmente politiche a danno tanto della libera circolazione di merci e persone quanto del lavoro, della produzione e della redistribuzione. Questo discorso riguarda però la maggior parte dei corpi intermedi nella società italiana. Se accettassimo le loro deficienze come ragione giustificativa di attentati, cosa si dovrebbe fare con ospedali, aeroporti, impianti sportivi? La libertà sindacale è straordinariamente ancora più importante quando i suoi “reggitori professionali” la esercitano male: va ripresa con gli strumenti del conflitto, della contestazione, della selezione degli argomenti, della partecipazione dal basso.
Andiamo ora al merito del 9 ottobre. Siamo stanchi anche noi della querelle “fascismo/antifascismo”. Siamo stanchi soprattutto che belanti parti contrapposte si contendano la bandiera repubblicana assumendosi persino il verbo dell’intelligenza. Il fascismo del 2021 non può essere fenomenologicamente identico al fascismo del 1941. Essere antifascisti non si esaurisce, d’altra parte, al perimetro delle disposizioni costituzionali, perché bisogna capirsi su cosa stiamo intendendo per fascismo. Il fascismo come regime governativo e come periodo storico è quello di Mussolini dalla marcia su Roma alla Resistenza. Il fascismo di cui al divieto costituzionale di ricostruzione non è solo quello, ma ogni cosa che, simulando differenza da quel modello, lo voglia in realtà mantenere, imporre e sopravvivere. C’è il fascismo contro cui indirettamente interveniva, forse non sempre con pulizia e tecnica di strumenti giuridici, la legge Mancino del 1993, fulminando almeno su carta l’odio e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi e nazionali – il kit di propaganda, in effetti, dei diversi neofascismi dell’ultimo trentennio.
E c’è fascismo, come sintesi sbrigativa a lungo sciattamente adottata dalla destra alla sinistra, inteso in quanto “estrema destra”, la destra propagandistica, che si compiace di essere cialtrona se ha occultato le proprie scorrettezze e si compiace di essere nel giusto se vuole nascondere invece la propria cialtroneria. Non ci interessano questa “destra” e questo “fascismo”: se essi prendessero i voti in proporzione alle loro visualizzazioni e copertine, sarebbero la maggioranza bulgara da quando sono nati. Ci interessa piuttosto che il popolo “risentito”, quelle porzioni di categorie sociali che hanno sviluppato insofferenza preventiva a tutto, non affidino mai agli strateghi del disordine o della semplice ripetizione a comando degli stessi slogan tutti i loro problemi e tutti i loro disagi. Non è piazza del Popolo la piazza che davvero può rispondere ai loro drammi. Quella li ingloba, divora, usa e sputa.