Elogio del montaggio (e di Julia Roberts)
Ieri sera, per uno di quei collegamenti strani che avvengono nelle serate in famiglia, mi sono imbattuto due volte in Julia Roberts (che è sempre un bel vedere). La prima nei panni di Trilli in Hook, insieme ai miei figli, e poi subito dopo all’interno di una serie Netflix. Si intitola The movies that made us e racconta, da Dirty
Ieri sera, per uno di quei collegamenti strani che avvengono nelle serate in famiglia, mi sono imbattuto due volte in Julia Roberts (che è sempre un bel vedere). La prima nei panni di Trilli in Hook, insieme ai miei figli, e poi subito dopo all’interno di una serie Netflix. Si intitola The movies that made us e racconta, da Dirty dancing a Jurassic Park i film dell’infanzia dei boomer come me. Niente di eccezionale, ma una di quelle cose piene di curiosità che ti tengono sveglio. Tipo che non avevo mai fatto caso che Pretty woman era stato prodotto dalla Disney – e, insomma, passare dalla Sirenetta a Vivian Ward fu un bel salto. Non sapevo nemmeno che la sceneggiatura originaria si intitolava Tremila, ovvero la somma in dollari pattuita tra Edward e Vivian, ma soprattutto che il film aveva inizialmente non solo un altro epilogo ma proprio uno svolgimento molto diverso, più oscuro. E così era stato in gran parte girato.
Insomma, salta fuori che gran parte del merito degli oltre 400 milioni di dollari d’incassi andrebbero ascritti a Priscilla Nedd, cioè colei che curò il montaggio. Perché, a riprese terminate, riuscì a dare al film un senso completamente diverso da quello iniziale.
A quante cose somiglia questa roba qui? Praticamente alla vita. Passi un anno a cercare lavoro, non lo trovi, poi lo trovi e tutto torna a correre: mentre ti arrabatti in quei dodici mesi, ti vedi sull’orlo di un precipizio; quando svolti l’angolo, quei dodici mesi li dimentichi presto e cominci a lamentarti del collega che si scaccola, dei turni e del riscaldamento che non funziona. Tenere insieme l’uno e l’altro è solo questione di montaggio.
Esattamente centosessanta giorni fa il Cosenza retrocedeva a vele spiegate in serie C, dopo un’annata balorda. Credo che questa cosa un buon montatore cinematografico, in qualsiasi film sul campionato dei Lupi 2021/’22, dovrebbe mettercela per forza. Tante, troppe cose sfuggirebbero alla comprensione, senza quell’elemento. Il mercato, le goleade di Firenze e Brescia, i quattro risultati utili consecutivi, la lingua a terra nei secondi tempi con Alessandria e Frosinone.
Lungi dall’essere una giustificazione per chi finanzia la nave, questa è una cosa che siamo obbligati a ricordarla noi. La storia di Vivien, dopo il bacio finale sulla scala antincendio, io me l’immagino come una storia normale, alti e bassi come tutte le coppie. Ma se quei due dimenticano che il loro amore è nato dal marciapiede, sono fottuti. E noi, se dimentichiamo Lignano Sabbiadoro, siamo fottuti esattamente come loro.
Ora, se noi guardiamo la graduatoria, vediamo il Cosenza nell’insolita posizione di metà classifica. Insolita nel senso che, nelle ultime quattro stagioni di B, non era mai accaduto (se non con Braglia, alla fine delle prima). Insolita anche perché la metà classifica è una soglia difficile da interpretare. I miei amici, per esempio, sono divisi. Se ci pensi, abbiamo solo quattro punti in meno del Lecce, dice uno. E solo due in più della zona playout, risponde un altro, con Crotone, Spal, Monza e Parma che tra due o tre giornate ci staranno davanti. Paolo Sorrentino potrebbe chiosare Hanno tutti ragione, ma lui è uno che ha una certa dimestichezza col montaggio e certi errori non li commetterebbe.
Mentre le vittorie contro Como e Crotone ci avevano indicato la possibilità di una rosa numericamente adeguata, il punto ottenuto tra Alessandria e Frosinone (che con appena un po’ di fortuna potevano essere quattro) ci dice che oggi siamo maledettamente corti. Il calo nella ripresa di Situm meriterebbe un cambio, che ora non abbiamo. Allo stesso modo Corsi sarebbe un buon innesto da secondo tempo. Ma il vero problema è davanti, dove un altro come Gori non lo abbiamo. E il down fisico delle due punte, finora, è sempre coinciso con il momento più critico delle nostre partite. Perché la squadra non riesce più a salire, Caso si incaponisce in azioni personali (e, vivaddio, a vent’anni lo farei anch’io) (prima di prendermi una sana tirata d’orecchi nello spogliatoio) e, sotto pressione, l’errore è dietro l’angolo, com’è accaduto a Pirello e Vigorito negli ultimi due match.
E qui torniamo al montaggio, perché non si può dimenticare che questa rosa è stata allestita in un mese in cui le altre completavano la preparazione – e noi una preparazione vera, canonica, non l’abbiamo fatta. Siamo passati dalla sceneggiatura alle riprese troppo velocemente (e, aggiungerei, con pochi spiccioli), sicché ci sta che infortuni e cali di forma siano purtroppo la costante della nostra stagione.
Insomma, è corretto dire che siamo a quattro punti dal Lecce e ne abbiamo due in più del Como e della Spal, ma è pure sbagliato. L’unica cosa vera è che il Cosenza ha undici punti e che undici punti, dopo otto giornate, sono un tesoro. Potrei sbagliarmi, ma credo che sarà una stagione di alti e bassi imprevedibili – e noi, a Cosenza, siamo maestri nel trasformare i bassi in n’a simu appattata e gli alti in stannu saglimu. Invece sia gli alti che i bassi saranno incomprensibili se non rimettiamo al centro del nostro montaggio le lacrime di Lignano – lacrime piante ognuno a casa sua, perché gli stadi erano pure chiusi. Senza il marciapiede, insomma, Vivian non avrebbe mai ricevuto da Edward un mazzo di rose in cima alle scale antincendio.
Un altro che dovrà fare un grosso lavoro al montaggio è Zaffaroni, atteso da un poker di partite molto toste: Benevento in trasferta, Ternana in casa, Lecce fuori e il derby con la Reggina. Mi stupirei se riuscissimo a fare più di quattro punti. Ma non lo escluderei neppure. Ed è per questo che mi ritrovo a tessere oggi l’elogio del montaggio. Perché qualsiasi cosa accada dipenderà dalla nostra capacità di essere i registi del montaggio di questa stagione.